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Cornelio Nepote: De viris illustribus – Degli uomini illustri; Introduzione

Cornelius Nepos - Cornelio Nepote De viris illustribus – Degli uomini illustri Liber de excellentibus ducibus exterarum gentium – Il libro dei più eccellenti duci tra le genti straniere


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Un po' come Plutarco, anche Cornelio Nepote (I sec. a.C.) più che di storia si occupò di biografie (...e ciò anche se va detto che, rispetto allo scrittore di Cheronea, vissuto più di un secolo dopo, egli trattò l'argomento con molta minore profondità!)

Nell'introduzione alle sue celebri “Vite degli uomini illustri” egli si sofferma su quella che oggi potremmo forse definire la relatività dei costumi in vigore tra i diversi popoli. Cornelio Nepote si rivolge in essa a quei connazionali, ignoranti e di corte vedute, che leggeranno il suo scritto e che, all’interno di esso e delle sue biografie (come in Plutarco peraltro, dedicate a personalità in parte - soprattutto! - greche e in parte romane), troveranno cose che potranno disturbare il loro personale senso del pudore e della morale, apparendo per così dire inconciliabili con la “vera” grandezza e la “vera” rettitudine morale, e quindi con personalità illustri.

Nepote fa notare loro, che ogni popolo ha in realtà elaborato nel corso del tempo una propria etica e delle proprie consuetudini, sulla base soprattutto di quanto è stato tramandato dai propri antenati (mos maiorum), e che quindi non sarebbe corretto giudicare un popolo in base ai costumi di un altro!

Ma questa dichiarazione nulla toglie al fatto che, secondo Cornelio Nepote, vi sia una grandezza universale (caratterizzata da coraggio, intelligenza, astuzia, tempismo, spregiudicatezza, ecc.) di cui tali uomini con le loro imprese sarebbero un chiaro esempio, e in base alla quale meriterebbero di essere conosciuti e ammirati da tutti i popoli.

Nelle sue intenzioni difatti, le sue molteplici biografie, oltre a dare prova della sua grande erudizione storica, avrebbero dovuto risvegliare nei lettori romani il sentimento e l'ammirazione per la vera grandezza e nobiltà d’animo, in un’epoca (quale quella, caratterizzata da ripetute guerre intestine, che preluse alla fine della Repubblica e all’inizio dell’Impero) segnata da una marcata decadenza morale e da una conseguente situazione di disgregazione e insicurezza sociale.


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TESTO LATINO:


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Praefatio

1) Non dubito fore plerosque, Attice, qui hoc genus scripturae leve et non satis dignum summorum virorum personis iudicent, cum relatum legent, quis musicam docuerit Epaminondam, aut in eius virtutibus commemorari saltasse eum commode scienterque tibiis cantasse. 2) Sed hi erunt fere, qui expertes litterarum Graecarum nihil rectum, nisi quod ipsorum moribus conveniat, putabunt. 3) Hi si didicerint non eadem omnibus esse honesta atque turpia, sed omnia maiorum institutis iudicari, non admirabuntur nos in Graiorum virtutibus exponendis mores eorum secutos. 4) Neque enim Cimoni fuit turpe, Atheniensium summo viro, sororem germanam habere in matrimonio, quippe cum cives eius eodem uterentur instituto. At id quidem nostris moribus nefas habetur. Laudi in Creta ducitur adulescentulis quam plurimos habuisse amatores. Nulla Lacedaemoni vidua tam est nobilis, quae non ad cenam eat mercede conducta. 5) Magnis in laudibus tota fere fuit Graecia victorem Olympiae citari; in scaenam vero prodire ac populo esse spectaculo nemini in eisdem gentibus fuit turpitudini. Quae omnia apud nos partim infamia, partim humilia atque ab honestate remota ponuntur. 6) Contra ea pleraque nostris moribus sunt decora, quae apud illos turpia putantur. Quem enim Romanorum pudet uxorem ducere in convivium? Aut cuius non mater familias primum locum tenet aedium atque in celebritate versatur? 7) Quod multo fit aliter in Graecia. Nam neque in convivium adhibetur nisi propinquorum, neque sedet nisi in interiore parte aedium, quae gynaeconitis appellatur; quo nemo accedit nisi propinqua cognatione coniunctus. 8) Sed hic plura persequi cum magnitudo voluminis prohibet tum festinatio, ut ea explicem, quae exorsus sum. Quare ad propositum veniemus et in hoc exponemus libro de vita excellentium imperatorum.



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TESTO TRADOTTO E COMMENTATO:


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1) Non dubito fore plerosque, Attice, qui hoc genus scripturae leve et non satis dignum summorum virorum personis iudicent, cum relatum legent, quis musicam docuerit Epaminondam, aut in eius virtutibus commemorari saltasse eum commode scienterque tibiis cantasse.

Non dubito, Attico, che molti saranno (fore plerosque) coloro che (qui) giudicheranno questo genere di scritto con sufficienza (leve) e come non abbastanza degno della persona di sommi individui, quando leggeranno quanto riportato (relatum: part. da refero: riporto): chi insegnò la musica ad Epaminonda, o il fatto che sia ricordato tra le sue virtù (in eius virtutibus commemorari) il fatto che egli (eum) danzasse (saltasse=saltavisse) con facilità e sapientemente suonasse il flauto (tibiis cantasse->cantavisse).


2) Sed hi erunt fere, qui expertes litterarum Graecarum nihil rectum, nisi quod ipsorum moribus conveniat, putabunt.

Ma costoro press’a poco (fere) saranno (erunt) coloro che (qui) inesperti (expertes) delle lettere greche non riterranno corretto nulla, se non ciò che convenga ai loro costumi.


3) Hi si didicerint non eadem omnibus esse honesta atque turpia, sed omnia maiorum institutis iudicari, non admirabuntur nos in Graiorum virtutibus exponendis mores eorum secutos.

Costoro, se avessero appreso (si didicerint->cong. perf. da disco: imparo) che non le stesse cose sono oneste e turpi per tutti, ma che tutte le cose sono giudicate secondo le usanze degli avi, non si meraviglierebbero che noi (nos: trattasi di plurale maiestatis, e si riferisce a chi scrive!!!) abbiamo seguito (nos secutos (esse, sottint.)) nelle/per quanto concerne le virtù dei Greci da esporre pubblicamente (in Graiorum virtutibus exponendis) i loro costumi (intendi: dei Greci).


[Cioè: poiché le usanze si ereditano dai propri antenati, il che vale per tutti i popoli e quindi anche per i Greci, Nepote parlerà di quelle usanze che i Greci intendono come virtù, intendendole a sua volta come tali, anche se i romani in base alle proprie tradizioni non le riconoscerebbero come tali.]


4) Neque enim Cimoni fuit turpe, Atheniensium summo viro, sororem germanam habere in matrimonio, quippe cum cives eius eodem uterentur instituto.

Né infatti per Cimone, somma personalità tra gli Ateniesi, fu cosa turpe prendere in matrimonio la cugina (=soror germana), poiché (cum + congiuntivo, rafforzato da quippe) i suoi concittadini seguivano questa usanza (uterentur eodem instituto).


At id quidem nostris moribus nefas habetur.

E certamente ciò per i nostri costumi è considerato (habetur) cosa illegale (nefas: neutron, indeclinabile).


Laudi in Creta ducitur adulescentulis quam plurimos habuisse amatores.

È lodata (laudi ducitur: letteralm., è portata alla lode) a Creta la ragazzina che abbia avuto molti amanti.


Nulla Lacedaemoni vidua tam est nobilis, quae non ad cenam eat mercede conducta.

A Sparta (Lacaedemoni: caso locativo!) nessuna vedova è davvero (tam) nobile, la quale non vada/sia condotta (eat conducta) a una cena dietro compenso (mercade).


5) Magnis in laudibus tota fere fuit Graecia victorem Olympiae citari; in scaenam vero prodire ac populo esse spectaculo nemini in eisdem gentibus fuit turpitudini.

Fu consuetudine (fuit) pressoché (fere) per tutta la Grecia essere citato con grandi lodi il vincitore di Olimpia (=delle gare di teatro che vi si svolgevano); (e difatti...) in verità fu causa di nessuna vergogna (nemini... fuit turpitudini) andare in scena e dare uno spettacolo davanti a un pubblico (populo esse spectaculo: letter., al popolo essere di spettacolo) tra quelle stesse genti.


Quae omnia apud nos partim infamia, partim humilia atque ab honestate remota ponuntur.

Le quali cose tutte presso di noi sono considerate (ponuntur) in parte delle cose disonorevoli, in parte cose abbiette e lontane dall’onorabilità.


6) Contra ea pleraque nostris moribus sunt decora, quae apud illos turpia putantur.

Contro queste (usanze...) (Contra ea) sono la maggior parte delle cose oneste (pleraque decora) secondo i nostri costumi, le quali presso quelli sono ritenute turpitudini.


Quem enim Romanorum pudet uxorem ducere in convivium?

Infatti quale moglie è vergognoso (pudet: verbo impersonale) portare a una cena tra i Romani?


Aut cuius non mater familias primum locum tenet aedium atque (non) in celebritate versatur?

O quale madre non detiene (tra i Romani...) il dominio incontrastato della casa (=cuius non mater familias primum locum tenet medium: letteralm., “la madre di quale famiglia (cuius mater familias) non ha il primo posto (non primum locum tenet) all’interno della casa (aedium: letter., delle stanze della casa)”) e (non...) è versata negli affari pubblici (in celebritate: letteralm., nella celebrità)?


7) Quod multo fit aliter in Graecia.

La qual cosa (Quod) molto diversamente (aliter) accade (fit) in Grecia.


Nam neque in convivium adhibetur nisi propinquorum, neque sedet nisi in interiore parte aedium, quae gynaeconitis appellatur; quo nemo accedit nisi propinqua cognatione coniunctus.

Infatti (in Grecia...) (la donna...) non è accettata in un convivio se non (in quello...) dei parenti (propinquorum), né siede se non nella parte più interna della casa (in interiore parte aedium), che viene chiamata gineceo; dove (quo) nessuno accede se non (è...) legato(le) da stretta consagiuneità.


8) Sed hic plura persequi cum magnitudo voluminis prohibet tum festinatio, ut ea explicem, quae exorsus sum.

Ma qui tanto (cum...) la grandezza del volume quanto (tum...) la fretta di spiegarle (ut ea explicem; ea è riferito a plura), impedisce di tener dietro a (persequi) molte cose, che ho iniziato (a trattare...) (exorsus sum: perfetto da esordio, iris, orsus sum, iri: inizio).


Quare ad propositum veniemus et in hoc exponemus libro de vita excellentium imperatorum.

Perciò ci inoltreremo nel (nostro...) proposito (ad propositum veniemus) e in questo libro parleremo della vita degli più grandi imperatori.





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