I BACCANALI A ROMA…(Livio; Storia di Roma: XXXIX, 8-10)
- Adriano Torricelli
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I BACCANALI A ROMA…
(Livio; Storia di Roma: XXXIX, 8-10)
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Il racconto fatto da Livio di come i Baccanali, pratiche religiose orgiastiche d’origine asiatica e in particolare greca, si diffusero (e furono inoltre scoperte e perseguitate...) nella Roma nel secondo secolo a.C.
Tali espressioni di religiosità e spiritualità erano particolarmente invise a gran parte delle classi dirigenti romane, che temevano la corruzione proveniente dal vicino e moralmente disinvolto mondo ellenico, il quale proprio in quegli anni iniziava a penetrare nella società e nella cultura romane, anche grazie a circoli intellettuali come quello degli Scipioni, di orientamento decisamente popolare e “progressista”.
È facile capire come la descrizione che Livio dà di queste pratiche religiose sia a dir poco esagerata (ut quisque introductus sit, velut victimam tradi sacerdotibus. eos deducere in locum, qui circumsonet ululatibus cantuque symphoniae et cymbalorum et tympanorum pulsu, ne vox quiritantis, cum per vim stuprum inferatur, exaudiri possit), e come essa entri in contrasto con la capillare diffusione di tali pratiche in una fetta consistente, seppure nascosta, della società italica dell’epoca.
L’allarmismo nei confronti di questa forma nuova di religiosità può per molti versi ricordare quello che, qualche secolo dopo, sarà suscitato dalla religione cristiana, anch'essa accusata dai benpensanti e dalla gente comune di gravissime immoralità (stupri, incesti…) nonché di entrare in conflitto con lo spirito dello stato romano, allora peraltro oramai divenuto principato!
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TESTO LATINO:
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8. [3]... graecus ignobilis in Etruriam primum venit nulla cum arte earum, quas multas ad animorum corporumque cultum nobis eruditissima omnium gens invexit, sacrificulus et vates; [4] nec is qui aperta religione, propalam et quaestum et disciplinam profitendo, animos errore imbueret, sed occultorum et nocturnorum antistes sacrorum. [5] initia erant quae primo paucis tradita sunt deinde vulgari coepta sunt per viros mulieresque. additae voluptates religioni vini et epularum, quo plurium animi illicerentur. [6] cum vinum animos incendisset, et nox et mixti feminis mares, aetatis tenerae maioribus, discrimen omne pudoris exstinxissent, corruptelae primum omnis generis fieri coeptae, cum ad id quisque, quo natura pronioris libidinis esset, paratam voluptatem haberet. [7] nec unum genus noxae, stupra promiscua ingenuorum feminarumque erant, sed falsi testes, falsa signa testamentaque et indicia ex eadem officina exibant: [8] venena indidem intestinaeque caedes, ita ut ne corpora quidem interdum ad sepulturam exstarent. multa dolo, pleraque per vim audebantur. occulebat vim quod prae ululatibus tympanorumque et cymbalorum strepitu nulla vox quiritantium inter stupra et caedes exaudiri poterat.
9. huius mali labes ex Etruria Romam veluti contagione morbi penetravit. primo urbis magnitudo capacior patientiorque talium malorum ea celavit: tandem indicium hoc maxime modo ad Postumium consulem pervenit. [2] P. Aebutius, cuius pater publico equo stipendia fecerat, pupillus relictus, mortuis deinde tutoribus sub tutela Duroniae matris et vitrici T. Sempronii Rutili educatus fuerat. [3] et mater dedita viro erat et vitricus, quia tutelam ita gesserat ut rationem reddere non posset, aut tolli pupillum aut obnoxium sibi vinculo aliquo fieri cupiebat. [4] Via una corruptelae Bacchanalia erant. Mater adulescentem appellat: se pro aegro eo vovisse ubi primum convaluisset, Bacchis eum se initiaturam; damnatam voti benignitate deum exsolvere id velle. decem dierum castimonia opus esse: decimo die cenatum, deinde pure lautum in sacrarium deducturam. [5] scortum nobile libertina Hispala Faecenia, non digna quaestu cui ancillula adsuerat, etiam postquam manumissa erat, eodem se genere tuebatur. [6] huic consuetudo iuxta vicinitatem cum Aebutio fuit, minime adulescentis aut rei aut famae damnosa: ultro enim amatus appetitusque erat et maligne omnia praebentibus suis meretriculae munificentia sustinebatur. [7] quin eo processerat consuetudine capta ut post patroni mortem, quia in nullius manu erat, tutore ab tribunis et praetore petito, cum testamentum faceret, unum Aebutium institueret heredem.
10.haec amoris pignora cum essent, nec quicquam secretum alter ab altero haberent, per iocum adulescens vetat eam mirari, si per aliquot noctes secubuisset: [2] religionis se causa ut voto pro valetudine sua facto liberetur, Bacchis initiari velle. id ubi mulier audivit, perturbata “dii meliora!” inquit: mori et sibi et illi satius esse quam id faceret; et in caput eorum detestari minas periculaque, qui id suasissent. [3] admiratus cum verba tum perturbationem tantam adulescens parcere exsecrationibus iubet: matrem id sibi adsentiente vitrico imperasse. [4] “vitricus ergo” inquit “tuus—matrem enim insimulare forsitan fas non sit—pudicitiam famam spem vitamque tuam perditum ire hoc facto properat.” [5] eo magis mirabundo quaerentique quid rei esset, pacem veniamque precata deorum dearumque, si coacta caritate eius silenda enuntiasset, ancillam se ait dominae comitem id sacrarium intrasse, liberam numquam eo accessisse. [6] scire corruptelarum omnis generis eam officinam esse; et iam biennio constare neminem initiatum ibi maiorem annis viginti. [7] ut quisque introductus sit, velut victimam tradi sacerdotibus. eos deducere in locum, qui circumsonet ululatibus cantuque symphoniae et cymbalorum et tympanorum pulsu, ne vox quiritantis, cum per vim stuprum inferatur, exaudiri possit. [8] orare inde atque obsecrare ut eam rem quocumque modo discuteret nec se eo praecipitaret, ubi omnia infanda patienda primum, deinde facienda essent. [9] neque ante dimisit eum quam fidem dedit adulescens ab his sacris se temperaturum.
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TESTO TRADOTTO:
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[8] Tutto ebbe inizio da un Greco sconosciuto.
Questi venne in Etruria, non già come portatore di una delle arti che in gran numero, per ornamento dello spirito e del corpo, il popolo più colto di tutti ha introdotto presso di noi: era invece un sacrificatore, un indovino, e neppure di quelli che impregnano di errore le menti con una religione manifesta, professando pubblicamente sia il fine di lucro sia la credenza, ma un sacerdote di cerimonie occulte e notturne.
Si trattava di rituali iniziatici che in un primo momento furono comunicati a pochi, in seguito cominciarono ad essere divulgati fra uomini e donne. Al culto religioso si aggiunsero i piaceri del vino e dei banchetti, onde gli animi di più persone venissero adescati. Il vino e la notte e la promiscuità fra maschi e femmine e fra minori e adulti cancellarono ogni limite di pudore: il primo effetto fu la depravazione di qualunque specie; ciascuno aveva a portata di mano la soddisfazione del piacere cui era più incline. La violenza indistinta su uomini liberi e donne non era peraltro l'unico crimine: dalla medesima officina uscivano false testimonianze, contraffazione di firme e di testamenti, delazioni; e così pure filtri magici e omicidi di parenti, eseguiti in modo tale che a volte non restavano neppure i cadaveri. Molti erano i reati di frode, ma i più di violenza. Questa però restava nascosta: le urla e lo strepito di timpani e cembali coprivano la voce di chi invocava aiuto fra stupri e eccidi.
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[9] Il flagello penetrò dall'Etruria in Roma come una contagiosa pestilenza. Per tutta una prima fase restò celato: la vastità dell'Urbe era meglio disposta a contenere e a tollerare simili orrori. Infine una denuncia pervenne al console Postumio, nel modo appunto che qui di seguito riferiremo.
Publio Ebuzio, orfano di un cavaliere statale, dopo la morte dei tutori designati era stato allevato sotto la tutela della madre Duronia e del patrigno Tito Sempronio Rutilo. La madre era devotissima al nuovo marito; d'altra parte questi aveva amministrato la tutela in modo tale che non gli conveniva renderne conto: perciò bramava o di eliminare il pupillo o di tenerlo in pugno con un ricatto. E l'unica via per traviarlo erano i baccanali.
La madre chiamò dunque il ragazzo e gli disse che, quando egli era stato malato, lei aveva fatto voto, non appena fosse guarito, di iniziarlo ai baccanali; obbligata ora dalla benevolenza degli dèi a rispettare il voto, intendeva assolverlo. Erano necessari dieci giorni di castità: il decimo giorno, dopo la cena e il bagno purificatore, lo avrebbe condotto nel luogo sacro dell'iniziazione.
Orbene c'era una prostituta piuttosto nota, la liberta Ispala Fecennia, la quale invero non avrebbe meritato di fare quel mestiere: ma vi s'era adattata da quando era una schiavetta, e anche dopo ch'era stata affrancata si guadagnava da vivere in quel modo. Costei, vicina di casa di Ebuzio, aveva una relazione col giovane, nient'affatto dannosa per le sostanze o la reputazione di lui: che infatti era amato e desiderato senza secondi fini; cosicché, mentre i suoi lo rifornivano poco e male in ogni cosa, era sovvenzionato dalla generosità di una puttanella. Anzi, tutta presa da questa relazione, Fecennia era giunta a tal punto che, dopo la morte del patrono, poiché non era sotto la potestà di nessuno, avendo chiesto un tutore ai tribuni e al pretore, aveva fatto testamento e nominato Ebuzio unico erede.
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[10] Tale era il legame d'amore fra i due, né avevano segreti l'uno per l'altra. Stando così le cose, il ragazzo disse alla donna, in tono scherzoso, di non meravigliarsi se per qualche notte si fosse tenuto lontano dal letto di lei. Il motivo era religioso: per assolvere un voto connesso alla sua guarigione, voleva farsi iniziare ai baccanali.
Appena la donna sentì questo, esclamò turbatissima:
«Che gli dèi non vogliano!»
E aggiunse che piuttosto era meglio che tutti e due morissero; e imprecando stornava minacce e pericoli sul capo di coloro che lo avevano consigliato a ciò.
Stupefatto per queste parole e per il forte turbamento di lei, Ebuzio le disse di risparmiarsi le imprecazioni: ché era sua madre a volerlo, col consenso del patrigno.
«Dunque si tratta del tuo patrigno – disse Fecennia – se proprio non devo accusare tua madre! È lui che non vede l'ora di rovinare con questa azione l'onore, la reputazione, l'avvenire e la vita tua!»
Il ragazzo era tanto più sbigottito e chiedeva che significasse tutto ciò; allora Fecennia, dopo aver invocato la grazia e il perdono degli dèi e delle dee, se l'amore che aveva verso di lui la costringeva a rivelare cose su cui c'era l'obbligo del silenzio, raccontò che lei da ancella, come accompagnatrice della padrona, s'era introdotta nel luogo sacro dell'iniziazione; da libera invece non c'era mai entrata. Sapeva che quella era la fucina di ogni corruzione; e le constava che ormai da due anni non vi era stato iniziato nessuno che fosse ultraventenne. Chiunque vi fosse stato introdotto veniva consegnato in mano ai sacerdoti, quasi vittima predestinata; quelli lo scortavano nel luogo dell'iniziazione, il quale risuonava tutt'intorno di ululati e di un concerto fatto di cembali e di timpani percossi insieme, affinché non si udissero le grida di aiuto. Perciò Fecennia pregava e scongiurava l'amante di scrollarsi di dosso quell'affare in qualunque modo, e di non precipitarsi nel luogo dove gli sarebbero toccati tutti gli orrori, da patire sulla propria pelle prima, poi da infliggere ad altri. E non lo lasciò andare, prima che il giovane si fosse impegnato sulla parola ad astenersi dal partecipare a quei riti.
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TESTO SPIEGATO:
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8. [3]... graecus ignobilis in Etruriam primum venit nulla cum arte earum, quas multas ad animorum corporumque cultum nobis eruditissima omnium gens invexit, sacrificulus et vates; [4] nec is qui aperta religione, propalam et quaestum et disciplinam profitendo, animos errore imbueret, sed occultorum et nocturnorum antistes sacrorum.
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Un greco ignobile/di umili originigiunse in Etruria in primo luogo/all’inizio (primum) con/portando con sé nessuna arte di quelle che (cum nulla arte earum quas...) molte/in gran quantità (multas) il popolo più erudito di tutti (eruditissima omnium gens) ci mostrò (nobis invexit) per la cura delle anime e dei corpi, un sacerdote di sacrifici e vate; né (era...) colui che/uno che(nec is qui) con aperta religione, pubblicamente (propalam) proclamando un vantaggio e una disciplina, imducesse gli anni all’errore, ma il primo sacerdote (antistes) di riti occulti e notturni.
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[5] initia erant quae primo paucis tradita sunt deinde vulgari coepta sunt per viros mulieresque. additae voluptates religioni vini et epularum, quo plurium animi illicerentur.
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Gli inizi erano (quelli...) che/furono che in un primo tempo (primo)[*] (i segreti...) erano trasmessi a pochi, quindi furono presi a/iniziarono a essere divulgati (vulgari coepta sunt) tra uomini e donne. Furono aggiunti alla religione i piaceri del vino e dei banchetti, perché (quo) gli animi di più persone cadessero nella licenza (plurium animi illicerentur).
[*] nota la differenza tra primum: per la prima volta e primo: all’inizio, in un primo tempo.
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[6] cum vinum animos incendisset, et nox et mixti feminis mares, aetatis tenerae maioribus, discrimen omne pudoris exstinxissent, corruptelae primum omnis generis fieri coeptae, cum ad id quisque, quo natura pronioris libidinis esset, paratam voluptatem haberet.
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Quando il vino aveva acceso gli animi, e la notte e i maschi mescolati alle femmine (et mixti feminis mares), di età tenera/ragazzinicon dei maggiori/con adulti (aetatis tenerae maioribus), avevano estinto ogni discrimine/limite del pudore, per la prima volta (primum) corruttele di ogni tipo cominciavano a emergere (fieri coeptae sunt), poiché ciascuno (quisque) aveva preparata/sotto mano la voluttà per ciò a cui (voluptatem ad id quo) la natura della (sua...) libidine fosse più incline (natura pronioris libidinis esset; “pronior”: comparativo di “pronus”: prono a, incline a...).
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[7] nec unum genus noxae, stupra promiscua ingenuorum feminarumque erant, sed falsi testes, falsa signa testamentaque et indicia ex eadem officina exibant: [8] venena indidem intestinaeque caedes, ita ut ne corpora quidem interdum ad sepulturam exstarent.
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Né un unico tipo di crimine (avveniva...), (ma...) vi erano stupri misti di uomini liberi e femmine (stupra promiscua ingenuorum feminarumque), ma falsi testimoni, falsi segni e testamenti e rivelazioni uscivano dalla medesima officina: in quel medesimo luogo (indidem) dei veleni e degli omicidi intestini/tra familiari (avvenivano...) cosicché/in modo tale che (ita ut) nemmeno i corpi (ne corpora quidem) restassero alle volte (interdum) per la sepoltura.
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multa dolo, pleraque per vim audebantur. occulebat vim quod prae ululatibus tympanorumque et cymbalorum strepitu nulla vox quiritantium inter stupra et caedes exaudiri poterat.
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Molte cose con il dolo, la maggior parte (pleraque) con la forza venivano osate. Nascondeva la forza/violenza il fatto che (occulebat vim quod) di fronte ai lamenti dei timpani e allo strepito dei cimbali nessuna voce poteva essere udita da fuori (nulla vox exaudiri poterat) di coloro che imploravano pietà (quiritantium) tra stupri e omicidi.
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9. huius mali labes ex Etruria Romam veluti contagione morbi penetravit. primo urbis magnitudo capacior patientiorque talium malorum ea celavit: tandem indicium hoc maxime modo ad Postumium consulem pervenit.
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Il flagello di questo male giunse a Roma dell’Etruria come per il contagio di una malattia. In un primo tempo la grandezza della città, in quanto maggiormente grande/capace e maggiormente tollerante (urbis magnitudo, capacior patientiorque) celò le cose di questi mali/la realtà di questi mali (talium malorum ea): alla fine (tandem) un indizio al console Postumio giunse esttamente in questo modo (maxime hoc modo).
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[2] P. Aebutius, cuius pater publico equo stipendia fecerat, pupillus relictus, mortuis deinde tutoribus sub tutela Duroniae matris et vitrici T. Sempronii Rutili educatus fuerat.
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P. Ebuzio, il padre del quale (cuius pater) aveva fatto/inaugurato gli stipendi per l’ordine equeste (publico equo), un ragazzo orfano (pupillus relictus), essendo poi morti i tutori (mortuis deinde tutoribus), era stato educato sotto la tutela della madre Duronia e del patrigno T. Sempronio Rutilio.
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[3] et mater dedita viro erat et vitricus, quia tutelam ita gesserat ut rationem reddere non posset, aut tolli pupillum aut obnoxium sibi vinculo aliquo fieri cupiebat.
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E la madre era dedita all’uomo/al patrigno e il patrigno, dal momento che aveva portato avanti la tutela (del ragazzo...) in modo tale che (ita... ut) non potesse renderne ragione, desiderava o che il pupillo fosse spazzato via/di sbarazzarsi del pupillo (tolli pupillum) o che diventasse concolpevole con se stesso (obnoxium sibi fieri) attraverso un qualche vincolo.
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[4] Via una corruptelae Bacchanalia erant. Mater adulescentem appellat: se pro aegro eo vovisse ubi primum convaluisset, Bacchis eum se initiaturam; damnatam voti benignitate deum exsolvere id velle. decem dierum castimonia opus esse: decimo die cenatum, deinde pure lautum in sacrarium deducturam.
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Unica via (Via una) della corruttela erano i Baccanali. La madre chiama il ragazzo: (disse...) che sé/lei aveva promesso per lui malato/per la sua malattia (se pro aegro eo vovisse), non appena fosse guarito (ubi primum convaluisset), che lo avrebbe iniziato a Bacco (Bacchis eum se initiaturam); (disse...) che Dio voleva (deum velle) che (lei...), condannata dalla generosità del (suo...) voto a assolverlo (damnatam voti benignitate exsolvere id). Era necessaria una castità di dieci giorni; (disse...) che al decimo giorno (lui...) che aveva cenato (cenatum), in seguito puramente/molto ben lavato (deinde pure lautum->partic. perf. di “lavo, lavas, lavi, lavatum/lautum, lavare”) lo avrebbe portato nel sacrario (in sacrarium deducturam esse).
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[5] scortum nobile libertina Hispala Faecenia, non digna quaestu cui ancillula adsuerat, etiam postquam manumissa erat, eodem se genere tuebatur.
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Nobile prostituta (scortum nobile) la libertina Hispala Fecennia, non degna del guadagno/del lavoro a cui (quaestu cui) da giovane ancilla si era avvicinata (ancillula adsuerat->=adfuerat), anche che era stata liberata dalla schiavitù (postquam manumissa erat), con lo stesso tipo (di lavoro...) sostentava se stessa (se tuebatur).
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[6] huic consuetudo iuxta vicinitatem cum Aebutio fuit, minime adulescentis aut rei aut famae damnosa: ultro enim amatus appetitusque erat et maligne omnia praebentibus suis meretriculae munificentia sustinebatur.
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A costei era consuetudine/Ella aveva una frequentazione (huic consuetudo fuit) a causa della vicinanza fisica (iuxta vicinitatem) con Ebuzio, minimamente/per nulla essendo dannosa o/sia per i beni sia per la fama del ragazzo: inoltre (ultro) difatti, era amato e desiderato (da lei...), e, i suoi procurandogli tutto negligentamente/con molta parsimonia (maligne omnia praebentibus suis), era sostentato dalla munificenza della piccola meretrice.
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[7] quin eo processerat consuetudine capta ut post patroni mortem, quia in nullius manu erat, tutore ab tribunis et praetore petito, cum testamentum faceret, unum Aebutium institueret heredem.
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Anzi (quin), presa l’abitudine/una volta preso quest’anadazzo (consuetudine capta), (la cosa...) era andata avanti (processerat) a tal punto che (eo... ut) dopo la morte del patrono (di Hispala Fecennia...), poiché non era in affido a nessuno (in nullius manu erat), essendo stato richiesto (per lei...) un tutore dai tribuni e dal pretore (tutore ab tribunis et praetore petito), quando fece testamento (cum testamentum faceret), istituì come unico erede Ebuzio.
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10. haec amoris pignora cum essent, nec quicquam secretum alter ab altero haberent, per iocum adulescens vetat eam mirari, si per aliquot noctes secubuisset: [2] religionis se causa ut voto pro valetudine sua facto liberetur, Bacchis initiari velle.
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Questi essendo i pegni d’amore (tra loro...), né alcun segreto avendo l’altro/l’uno per l’altro (alter ab altero), per gioco il ragazzo le vieta di stupirsi se, per un certo numero di notti (per aliquot noctes) avrebbe dormito da solo (secubuisset): (disse che...) voleva/doveva essere inziato a Bacco (se Bacchis initiari velle), a causa della religione/per un motivo religioso (religionis causa), per essere liberato da un voto fatto per la sua salute/guarigione (ut voto pro valetudine sua facto liberetur).
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id ubi mulier audivit, perturbata “dii meliora!” inquit: mori et sibi et illi satius esse quam id faceret; et in caput eorum detestari minas periculaque, qui id suasissent.
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Quando la donna udì queste cose disse: “li dei (ci riservino...) cose migliori!” : morire sia per se stessa/lei sia per quello/lui (mori et sibi et illi) sarebbe stato meglio che se (satius esse quam; nota l’infinito storico del discorso indiretto) se (lui...) facesse/avesse fatto quella cosa (id faceret); e augurava (detestari; sempre infinito storico...) minacce e pericoli sul capo di coloro che (lo...) avevano spinto a ciò (minas periculaque in caput eorum, qui id suasissent).
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[3] admiratus cum verba tum perturbationem tantam adulescens parcere exsecrationibus iubet: matrem id sibi adsentiente vitrico imperasse.
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Guardando con stupore sia le parole che tanta inquietudine (admiratus cum verba tum perturbationem tantam; “tum... cum”: correlativo, tanto... quanto), il ragazzo ordinò che ponesse fine alle esecrazioni/agli insulti; (disse che...) la madre gli comandava ciò assentendo il patrigno/con l’assenso del patrigno (adsentiente vitrico).
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[4] “vitricus ergo” inquit “tuus—matrem enim insimulare forsitan fas non sit—pudicitiam famam spem vitamque tuam perditum ire hoc facto properat.”
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Disse (lei...): “Il tuo patrigno allora – la madre infatti, forse non sarebbe destino/possibile (fas non sit) incolparla (di tanto...) (insimulare) - con questo fatto accelera (hoc facto properat) che (tu...) vada perduto/che tu vada in rovina (perditum te ire): il pudore, la fama, la speranza e la tua vita (pudicitiam famam spem vitamque tuam).
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[5] eo magis mirabundo quaerentique quid rei esset, pacem veniamque precata deorum dearumque, si coacta caritate eius silenda enuntiasset, ancillam se ait dominae comitem id sacrarium intrasse, liberam numquam eo accessisse.
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A quello ancora più asterrefatto e che chiedeva (eo magis mirabundo quaerentique) di spiegarsi (“quid rei esset”), avendo pregato la pace e il perdono degli dei (pacem veniamque precata deorum dearumque) se per una pietà obbligata verso di lui/forzata dagli eventi dall’amore per il suo amante (coacta caritate eius) avesse raccontato cose da non rivelare (silenda enuntiasset), disse che da ancella/schiava come compagna della padrona (ait se ancillam dominae comitem) era entrata in quel sacrario (id sacrarium intrasse), (ma...) da libera mai più là aveva avuto accesso (liberam numquam eo accessisse).
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[6] scire corruptelarum omnis generis eam officinam esse; et iam biennio constare neminem initiatum ibi maiorem annis viginti.
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(Disse...) che sapeva che quella era l’officina di ogni genere di corruzioni; e che già da un biennio era stabilito (iam biennio constare) che nessuno degli iniziati Lì (fosse...) maggiore di vent’anni.
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[7] ut quisque introductus sit, velut victimam tradi sacerdotibus. eos deducere in locum, qui circumsonet ululatibus cantuque symphoniae et cymbalorum et tympanorum pulsu, ne vox quiritantis, cum per vim stuprum inferatur, exaudiri possit.
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Come ciascuno/ogni persona era stata introdotta, (disse...) che come una vittima era portata dai sacerdoti. Che essi (la...) portavano in un luogo che risuona degli ululati e del rumore dell’orchestra (circumsonet ululatibus cantuque symphoniae) e della percussione dei cimbali e dei timpani (et cymbalorum et tympanorum pulsu), affinché la voce di colui che implora (ne vox quiritantis), mentre con la violenza gli è inferto uno stupro, possa essere udita da fuori (exaudiri possit).
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[8] orare inde atque obsecrare ut eam rem quocumque modo discuteret nec se eo praecipitaret, ubi omnia infanda patienda primum, deinde facienda essent. [9] neque ante dimisit eum quam fidem dedit adulescens ab his sacris se temperaturum.
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(Disse...) che pregava quindi e implorava (orare inde atque obsecrare) che questa cosa/decisione allontanasse in qualsiasi modo e non si precipitasse lì, dove tutte le cose ignobili erano prima da subire (ubi omnia infanda patienda primum,...), quindi da fare (deinde facienda essent). Né lo lasciò andare prima che il ragazzo desse la parola(ante dimisit eum quam fidem dedit adulescens) che si sarebbe tenuto lontano da questi luoghi sacri (ab his sacris se temperaturum esse).
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