DEMOSTENE RESPINGE LE ACCUSE INFAMANTI RIVOLTEGLI DA ESCHINE…
[Demostene - Per la corona; par. 270-274]
Un brano tratto dall’orazione “Per la corona” [*] in cui Demostene si difende dall’accusa rivoltagli da Eschine, altro gigante dell’oratoria classica, di essere la causa delle disgrazie che hanno funestato Atene in seguito alla lotta (da lui promossa e incentivata come politico e come oratore) contro gli invasori macedoni, Filippo II e il figlio Alessandro, e di non meritare perciò la “corona”, ovvero un riconoscimento pubblico dei propri meriti.
In sostanza, Demostene si difende dicendo: 1) non è colpa delle mie scelte politiche (che miravano peraltro a difendere Atene e la Grecia tutta dai sovrani macedoni) se le cose non sono andate bene per la nostra città; come prova il fatto che la stessa disgrazia si è abbattuta su tutta l’Ellade, il che significa anche su tanta gente che non ho certo potuto influenzare coi miei discorsi.
2) In secondo luogo, voi tutti avevate approvato al tempo le mie proposte, in quanto in esse vedevate il bene e il vantaggio comune (τὸ συμφέρον). Quindi non è giusto che adesso io venga accusato e punito per esse. Piuttosto, se il nostro operato non è stato il migliore, piangiamo insieme la sorte comune. Inoltre, solo colui che ha errato volontariamente può essere a buon diritto punito!
[*] IL PROCESSO PER LA CORONA
Nel 337, Ctesifonte, politico ateniese, propose di assegnare a Demostene una corona d'oro, come riconoscimento dei servizi resi alla città. Vi si oppose, facendo ricorso a pretesti formali, Eschine, altro famoso oratore dell'epoca come Licurgo e Iperide. Il processo fu celebrato nel 330, sette anni dopo. Alla vibrata contestazione di Eschine (Contro Ctesifonte), Demostene rispose con l'orazione Per la corona, il suo capolavoro e la più lunga orazione greca che ci è pervenuta: in essa difende appassionatamente la propria politica antimacedone di cui rivendica, al di là degli insuccessi, il coraggio, il disinteresse e persino la necessità. L'efficacia dell'orazione fu tale che Eschine, non avendo riportato neppure un quinto dei voti dei giudicanti, conformemente alla legge fu costretto ad andare in esilio.(Preso da: http://www.sapere.it/sapere/strumenti/studiafacile/letteratura-greca/L-et--classica/L-oratoria--Lisia--Isocrate--Demostene/Approfondimenti/a-Il-processo-per-la-corona.html?fbclid=IwAR3ZJrvKpLNdx-h_0heERWLzdyKls-j7mxKvTQthqtHjXMN17iLvtnwBH7s.Un lungo testo (pdf) sull’orazione “Per la corona”: https://www.academia.edu/19779701/Demostene_Per_la_corona._Antologia_e_complementi)
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TESTO GRECO:
[270] Βούλομαι δὲ τῶν ἰδίων ἀπαλλαγεὶς ἔτι μικρὰ πρὸς ὑμᾶς εἰπεῖν περὶ τῶν κοινῶν. εἰ μὲν γὰρ ἔχεις, Αἰσχίνη, τῶν ὑπὸ τοῦτον τὸν ἥλιον εἰπεῖν ἀνθρώπων ὅστις ἀθῷος τῆς Φιλίππου πρότερον καὶ νῦν τῆς Ἀλεξάνδρου δυναστείας γέγονεν, ἢ τῶν Ἑλλήνων ἢ τῶν βαρβάρων, ἔστω, συγχωρῶ τὴν ἐμὴν εἴτε τύχην εἴτε δυστυχίαν ὀνομάζειν βούλει πάντων [271] αἰτίαν γεγενῆσθαι. εἰ δὲ καὶ τῶν μηδεπώποτ' ἰδόντων ἐμὲ μηδὲ φωνὴν ἀκηκοότων ἐμοῦ πολλοὶ πολλὰ καὶ δεινὰ πεπόνθασι, μὴ μόνον κατ' ἄνδρα, ἀλλὰ καὶ πόλεις ὅλαι καὶ ἔθνη, πόσῳ δικαιότερον καὶ ἀληθέστερον τὴν ἁπάντων, ὡς ἔοικεν, ἀνθρώπων τύχην κοινὴν καὶ φοράν τινα πραγμάτων [272] χαλεπὴν καὶ οὐχ οἵαν ἔδει τούτων αἰτίαν ἡγεῖσθαι. σὺ τοίνυν ταῦτ' ἀφεὶς ἐμὲ τὸν παρὰ τουτοισὶ πεπολιτευμένον αἰτιᾷ, καὶ ταῦτ' εἰδὼς ὅτι, καὶ εἰ μὴ τὸ ὅλον, μέρος γ' ἐπιβάλλει τῆς βλασφημίας ἅπασι, καὶ μάλιστα σοί. εἰ μὲν γὰρ ἐγὼ κατ' ἐμαυτὸν αὐτοκράτωρ περὶ τῶν πραγμάτων ἐβουλευόμην, ἦν ἂν τοῖς ἄλλοις ῥήτορσιν ὑμῖν ἔμ' αἰτιᾶσθαι· [273] εἰ δὲ παρῆτε μὲν ἐν ταῖς ἐκκλησίαις ἁπάσαις, ἀεὶ δ' ἐν κοινῷ τὸ συμφέρον ἡ πόλις προὐτίθει σκοπεῖν, πᾶσι δὲ ταῦτ' ἐδόκει τότ' ἄριστ' εἶναι, καὶ μάλιστα σοί (οὐ γὰρ ἐπὶ εὐνοίᾳ γ' ἐμοὶ παρεχώρεις ἐλπίδων καὶ ζήλου καὶ τιμῶν, ἃ πάντα προσῆν τοῖς τότε πραττομένοις ὑπ' ἐμοῦ, ἀλλὰ τῆς ἀληθείας ἡττώμενος δηλονότι καὶ τῷ μηδὲν ἔχειν εἰπεῖν βέλτιον), πῶς οὐκ ἀδικεῖς καὶ δεινὰ ποιεῖς τούτοις νῦν ἐγκαλῶν ὧν τότ' [274] οὐκ εἶχες λέγειν βελτίω; παρὰ μὲν τοίνυν τοῖς ἄλλοις ἔγωγ' ὁρῶ πᾶσιν ἀνθρώποις διωρισμένα καὶ τεταγμένα πως τὰ τοιαῦτα. ἀδικεῖ τις ἑκών· ὀργὴν καὶ τιμωρίαν κατὰ τούτου. ἐξήμαρτέ τις ἄκων· συγγνώμην ἀντὶ τῆς τιμωρίας τούτῳ. οὔτ' ἀδικῶν τις οὔτ' ἐξαμαρτάνων εἰς τὰ πᾶσι δοκοῦντα συμφέρειν ἑαυτὸν δοὺς οὐ κατώρθωσεν μεθ' ἁπάντων· οὐκ ὀνειδίζειν οὐδὲ λοιδορεῖσθαι τῷ τοιούτῳ δίκαιον, ἀλλὰ συνάχθεσθαι.
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TRADUZIONE LETTERALE SPIEGATA E, SOTTO, TRADUZIONE LIBERA (MIA!!!)
[ NOTA: Solitamente inserisco una traduzione letteraria del testo (su cui posso controllare inoltre la correttezza della mia), ma in questo caso non ho trovato traduzioni italiane online, quindi ho dovuto scrivere anche la traduzione libera...
In ogni caso ho controllato la mia versione su questo pdf in inglese, un interlineare molto preciso e affidabile: https://warburg.sas.ac.uk/pdf/hkh593b2791636.pdf?fbclid=IwAR0WEAR5hqNEV3m1NUAglJZ0Sh2t__BYp0aGoU7ti6QO3sCGxVmB2rGgWIc. (Per la parte inerente questo brano, vedere le pagine del testo da 201 in poi, o da 205 in riferimento al pdf!)
Si può inoltre consultare questa pagina: http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus%3Atext%3A1999.01.0072%3Aspeech%3D18%3Asection%3D270, e le seguenti, sempre in inglese… ]
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[270] Βούλομαι δὲ τῶν ἰδίων ἀπαλλαγεὶς ἔτι μικρὰ πρὸς ὑμᾶς εἰπεῖν περὶ τῶν κοινῶν.
VOGLIO, DOPO AVER ESAURITO GLI ARGOMENTI PRIVATI (τῶν ἰδίων ἀπαλλαγεὶς->part. pass. nom. sing. masch. aor. di ἀπαλλάσσω: allontano) ANCORA ALCUNE PICCOLE COSE DIRVI INTORNO A QUELLI ( =argomenti) PUBBLICI.
Vorrei, ora che ho esaurito i temi privati, dirvi ancora alcune cose in merito a quelli pubblici.
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εἰ μὲν γὰρ ἔχεις, Αἰσχίνη, τῶν ὑπὸ τοῦτον τὸν ἥλιον εἰπεῖν ἀνθρώπων ὅστις ἀθῷος τῆς Φιλίππου πρότερον καὶ νῦν τῆς Ἀλεξάνδρου δυναστείας γέγονεν, ἢ τῶν Ἑλλήνων ἢ τῶν βαρβάρων, ἔστω, συγχωρῶ τὴν ἐμὴν εἴτε τύχην εἴτε δυστυχίαν ὀνομάζειν βούλει πάντων [271] αἰτίαν γεγενῆσθαι.
SE/QUALORA DA UNA PARTE (εἰ μὲν...) INFATTI, O ESCHINE, HAI/TU ABBIA LA POSSIBILITÀ (ἔχεις...) DI DIRE (...εἰπεῖν) DEGLI/TRA GLI UOMINI SOTTO QUESTO SOLE (τῶν ὑπὸ τοῦτον τὸν ἥλιον εἰπεῖν ἀνθρώπων) QUALE (ὅστις: pronome interrogativo, con sfumatura indefinita: quale mai...?) È RIMASTO ILLESO (ἀθῷος... γέγονεν->3^ sing. ind. perf. da γίγνομαι: divento, sono) PRIMA DA FILIPPO (τῆς Φιλίππου πρότερον) E ORA DALLA POTENZA DI ALESSANDRO, O DEGLI/TANTO TRA GLI ELLENI O DEI/QUANTO TRA I BARBARI, SIA (ἔστω: 3^ sing. imperat. pres. da εἰμί: sono; ha qui valore concessivo), AMMETTO (συγχωρῶ= συγχωρέω) (ALLORA...) ESSER STATA (γεγενῆσθαι: inf. att. perf. da γίγνομαι: divento, sono) MIA LA CAUSA/COLPA DI TUTTE LE COSE/I PROBLEMI, SIA CHE (εἴτε=sivein latino) FORTUNA (τύχην) SIA CHE SFORTUNA (δυστυχίαν) VUOI/VOGLIA (TU...) CONSIDERAR(LA).
Se infatti, o Eschine, potrai citare qualcuno sotto a questo sole il quale, greco o barbaro, non abbia subito danno prima da Filippo e poi dalla potenza di Alessandro, ebbene allora ammetterò che mia fu - fortuna o sfortuna che tu la voglia definire - la causa di tutti i problemi.
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εἰ δὲ καὶ τῶν μηδεπώποτ' ἰδόντων ἐμὲ μηδὲ φωνὴν ἀκηκοότων ἐμοῦ πολλοὶ πολλὰ καὶ δεινὰ πεπόνθασι, μὴ μόνον κατ' ἄνδρα, ἀλλὰ καὶ πόλεις ὅλαι καὶ ἔθνη, πόσῳ δικαιότερον καὶ ἀληθέστερον τὴν ἁπάντων, ὡς ἔοικεν, ἀνθρώπων τύχην κοινὴν καὶ φοράν τινα πραγμάτων [272] χαλεπὴν καὶ οὐχ οἵαν ἔδει τούτων αἰτίαν ἡγεῖσθαι.
SE DALL’ALTRA PARTE/TUTTAVIA (...δὲ) MOLTI DI QUELLI CHE MAI MI HANNO VISTO (τῶν μηδεπώποτ' ἰδόντων ἐμὲ; μηδεπώποτε: mai; ἰδόντων: part. plur. genit. masch. aor. att. di ὁράω (aoristo: εἶδον): vedo; conosco) NÉ HANNO UDITO (ἀκηκοότων: part. plur. genit. masch. perf. att. di ἀκούω: sento) LA MIA VOCE HANNO PATITO (πεπόνθασι: 3^ plur. att. ind. perf. di πάσχω: sento, provo) MOLTE COSE/TRAVERSIE E TREMENDE (δεινὰ), NON SOLO SINGOLARMENTE (κατ' ἄνδρα: letter., per (singolo) uomo; κατά ha qui valore distributivo), MA ANCHE INTERE CITTÀ E POPOLI (...il verbo reggente è sempre πεπόνθασι e predic. è πολλὰ καὶ δεινὰ), QUANTO (πόσῳ: dat. sing. neutro di πόσος: quanto grande?; pronome interrog.; ha qui valore avverbiale: di quanto?) PIÙ GIUSTAMENTE E PIÙ VERAMENTE/CON PIÙ VERITÀ (δικαιότερον καὶ ἀληθέστερον; i due accusat. hanno, come spesso accade, un valore avverbiale) BISOGNAVA (ἔδει) RITENERE (ἡγεῖσθαι) CAUSA DI QUESTE COSE (vale a dire, le disgrazie che gli vengono imputate...) LA SORTE COMUNE DI/A TUTTI, COME APPARE/È EVIDENTE (ὡς ἔοικεν), GLI UOMINI E UN QUALCHE SVILUPPO DRAMMATICO (φοράν τινα χαλεπὴν) DEGLI EVENTI E NON (οὐχ) UNA TALE/SIMILE (CAUSA...; cioè la sua azione) (οἵαν: da οἷος, οἵα, οἷον: pronome che qui sta per: capace di, tale da, simile).
Se però in molti, e non solo singoli individui ma anche intere città o popoli, che non mi hanno mai conosciuto né hanno mai sentito la mia voce, hanno dovuto subire tante e tremende disgrazie, quanto sarebbe stato più giusto considerare come causa di tutto la sorte a quanto pare comune a tutti gli uomini e una certa piega drammatica che hanno preso gli eventi, e non un simile fattore [e cioè l’operato di Demostene...]?
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σὺ τοίνυν ταῦτ' ἀφεὶς ἐμὲ τὸν παρὰ τουτοισὶ πεπολιτευμένον αἰτιᾷ, καὶ ταῦτ' εἰδὼς ὅτι, καὶ εἰ μὴ τὸ ὅλον, μέρος γ' ἐπιβάλλει τῆς βλασφημίας ἅπασι, καὶ μάλιστα σοί.
TU DUNQUE, SCAGLIANDO/LANCIANDO QUESTE COSE/ACCUSE (ταῦτ' ἀφεὶς->part. nom. masch. sing. da ἀφ-ἵημι: lancio, scaglio) ACCUSI (αἰτιᾷ: 2^ sing. ind. att. da αἰτιάομαι: incolpo) ME AVENTE VISSUTO COME CITTADINO/CHE HO VISSUTO COME CITTADINO (πεπολιτευμένον: part. perf. nom. masch. sing. medio da πολιτεύω: sono cittadino, abito da cittadino) PRESSO COSTORO, E SAPENDO (εἰδὼς->part. nom. masch. sing. da οἶδα: ho visto, so (è il perf. di ὁράω)) CHE, ANCHE SE NON TUTTO, UNA PARTE DELL’OFFESA SCAGLI CONTRO TUTTI (ἅπασι), E SOPRATTUTTO CONTRO TE (STESSO...).
Tu difatti, scagliando queste accuse, accusi me, che ho vissuto come libero cittadino presso costoro, sapendo però che, se non tutta, una parte del tuo disprezzo ricade su tutta la comunità, e in particolare su te stesso!
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εἰ μὲν γὰρ ἐγὼ κατ' ἐμαυτὸν αὐτοκράτωρ περὶ τῶν πραγμάτων ἐβουλευόμην, ἦν ἂν τοῖς ἄλλοις ῥήτορσιν ὑμῖν ἔμ' αἰτιᾶσθαι·
SE INFATTI DA UNA PARTE (μὲν...), DA SOLO (κατ' ἐμαυτὸν: letter., con me stesso), COME UN AUTOCRATE DECIDEVO/AVESSI DECISO INTORNO AGLI AFFARI/ALLE COSE IMPORTANTI, ERA DOVERE/SAREBBE STATO DOVERE (ἦν ἂν: imperf. di εἰμί: sono, ma qui sta per “era dovere”; + ἂν) ACCUSARMI (ἔμε αἰτιᾶσθαι) AGLI/PER GLI ALTRI VOSTRI ORATORI (τοῖς ἄλλοις ῥήτορσιν ὑμῖν);
Infatti se da solo, come un autocrate, ho deciso degli affari pubblici, sarebbe stato dovere degli altri oratori della vostra città accusarmene, ...
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[273] εἰ δὲ παρῆτε μὲν ἐν ταῖς ἐκκλησίαις ἁπάσαις, ἀεὶ δ' ἐν κοινῷ τὸ συμφέρον ἡ πόλις προὐτίθει σκοπεῖν, πᾶσι δὲ ταῦτ' ἐδόκει τότ' ἄριστ' εἶναι, καὶ μάλιστα σοί ...
SE DALL’ALTRA (...δὲ) ERAVATE PRESENTI (παρῆτε: 3^ plur. ind. imperf. di παρ-εἰμί: sono presso) IN/A TUTTE LE RIUNIONI, SEMPRE IN COMUNE LA CITTÀ SI PROPONEVA/CERCAVA (προὐτίθει: 3^ sing. ind. att. imperf. di προ-τίθημι: metto davanti; ricerco) DI TROVARE L’UTILE (τὸ συμφέρον), (E...) A TUTTI QUESTE COSE SEMBRAVANO ESSERE ALLORA LE MIGLIORI, E SOPRATTUTTO A TE (μάλιστα σοί)
...se però eravate tutti presenti a tutte le riunioni pubbliche, la città sempre collegialmente ha indagato su ciò che era il proprio utile, e a tutti queste cose [proposte da Demostene...] sono apparse allora le migliori, e in particolare a te ...
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(οὐ γὰρ ἐπὶ εὐνοίᾳ γ' ἐμοὶ παρεχώρεις ἐλπίδων καὶ ζήλου καὶ τιμῶν, ἃ πάντα προσῆν τοῖς τότε πραττομένοις ὑπ' ἐμοῦ, ἀλλὰ τῆς ἀληθείας ἡττώμενος δηλονότι καὶ τῷ μηδὲν ἔχειν εἰπεῖν βέλτιον),...
(INFATTI NON PER BENEVOLENZA (ἐπὶ εὐνοίᾳ) CEDEVI A ME (ἐμοὶ παρεχώρεις->3^ sing. imperf. ind. att. di παρα-χωρέω: cedo a; τινι τινος: a qualcuno in/riguardo a qualcosa) QUANTO A SPERANZE E AD ARDORE E A ONORI (ἐλπίδων καὶ ζήλου καὶ τιμῶν), LE QUALI COSE TUTTE (ἃ πάντα) ERANO A FAVORE (προσῆν: 3^ sing. ind. imperf. di προσ-εἰμί: sono a favore) DELLE COSE FATTE ALLORA (τοῖς τότε πραττομένοις) SOTTO DI ME/PER MIA INIZIATIVA (ὑπ' ἐμοῦ), MA ESSENDO CONQUISTATO DALLA VERITÀ (τῆς ἀληθείας ἡττώμενος->part. pres. nom. masch. sing. da ἡσσάομαι: sono vinto, conquistato) (CEDEVI A ME...) EVIDENTEMENTE (δηλονότι: avverb.) ANCHE PER IL NON AVERE NIENTE DA DIRE DI MIGLIORE (καὶ τῷ μηδὲν βέλτιον ἔχειν εἰπεῖν)),
...(e difatti non di buona voglia hai ceduto a me le speranze, la convinzione e gli onori - tutte cose che erano a favore delle cose fatte per mio consiglio - bensì perché soggiogato dalla verità non avevi evidentemente nulla di meglio da proporre) ...
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πῶς οὐκ ἀδικεῖς καὶ δεινὰ ποιεῖς τούτοις νῦν ἐγκαλῶν ὧν τότ' [274] οὐκ εἶχες λέγειν βελτίω;...
COME (πῶς) NON AGISCI/AGIRESTI INGIUSTAMENTE (ἀδικεῖς) E (NON...) FAI/FARESTI COSE TERRIBILI PROTESTANDO ORA PER QUESTE COSE, DELLE QUALI/RISPETTO ALLE QUALI NON AVEVI DA/SAPEVI DIRE DI MEGLIO (εἶχες λέγειν βελτίω)?
[se questo è vero...] allora come potresti dire di non agire in modo ingiusto e di non fare cose tremende, protestando adesso per tutte le cose rispetto a cui non avevi saputo dire nulla di migliore?
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παρὰ μὲν τοίνυν τοῖς ἄλλοις ἔγωγ' ὁρῶ πᾶσιν ἀνθρώποις διωρισμένα καὶ τεταγμένα πως τὰ τοιαῦτα.
DIFATTI (τοίνυν) IO VEDO PRESSO TUTTI GLI ALTRI UOMINI (παρὰ τοῖς ἄλλοις πᾶσιν ἀνθρώποις) IN QUALCHE MODO (πως) (ESSERE STATE...) CHIARITE E ORDINATE/STABILITE TALI COSE (διωρισμένα καὶ τεταγμένα: due partic. pass. perfetti da διορίζω e τάσσω: chiarisco e ordino) (intendi, quelle che chiarisce nelle frasi seguenti...).
E infatti io so che presso tutte le altre genti, si è oramai affermata e stabilita in qualche modo questa regola: ...
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ἀδικεῖ τις ἑκών· ὀργὴν καὶ τιμωρίαν κατὰ τούτου. ἐξήμαρτέ τις ἄκων· συγγνώμην ἀντὶ τῆς τιμωρίας τούτῳ.
AGISCE INGIUSTAMENTE QUALCUNO VOLENTE/VOLENDO (ἑκών: aggettivo): IRA E VENDETTA CONTRO QUESTO! HA ERRATO/DEVIATO (ἐξήμαρτέ: 3^ sing. aor. ind. att. di ἐξ-ἁμαρτάνω: erro) QUALCUNO NON VOLENTE/NON VOLENDO (ἄκων: aggettivo): COMPRENSIONE/INDULGENZA (συγγνώμην) PIUTTOSTO CHE LA VENDETTA (ἀντὶ τῆς τιμωρίας) A/CONTRO QUESTO (τούτῳ)!
se uno agisce in modo ingiusto volontariamente, allora ira e vendetta si scaglino contro di lui! Se qualcuno ha deviato dal giusto involontariamente, si abbia comprensione per lui e non vendetta!
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οὔτ' ἀδικῶν τις οὔτ' ἐξαμαρτάνων εἰς τὰ πᾶσι δοκοῦντα συμφέρειν ἑαυτὸν δοὺς οὐ κατώρθωσεν μεθ' ἁπάντων· οὐκ ὀνειδίζειν οὐδὲ λοιδορεῖσθαι τῷ τοιούτῳ δίκαιον, ἀλλὰ συνάχθεσθαι.
NON AGENDO INGIUSTAMENTE/QUALORA NON AGISCA INGIUSTAMENTE QUALCUNO, NÉ DEVIANDO/E QUALORA NON DEVII, AVENDO DATO/AFFIDATO (δοὺς: part. nom. sing. masch. aor. att. da δίδωμι: do) SE STESSO (ἑαυτὸν) ALLE COSE CHE APPAIONO (εἰς τὰ δοκοῦντα) CONVENIRE/FARE LA CONVENIENZA A/DI TUTTI (πᾶσι συμφέρειν), (EGLI...) NON HA AGITO IL GIUSTO/HA SBAGLIATO (κατώρθωσεν: 3^ sing. aor. att. ind. da κατ-ὀρθόω: raddrizzo; dispongo correttamente) TRA/ASSIEME A TUTTI (μεθ' ἁπάντων): (È...) GIUSTO/COSA GIUSTA (δίκαιον) NON INSULTARE NÉ DARE CONTRO A UN TALE INDIVIDUO, MA CONTRISTARSI (CON LUI...) (συνάχθεσθαι: inf. pres. di συνάχθομαι: mi condolgo).
Se infine qualcuno non abbia gito ingiustamente e non si sia nemmeno discostato da quello che appariva a tutti il bene comune, dal momento che vi si era affidato, questi ha errato insieme a tutti gli altri: non è quindi giusto insultarlo e dargli contro, bensì contristarsi con lui [per la sorte comune...]!
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Traduzione libera per esteso:
Vorrei, ora che ho esaurito i temi privati, dirvi ancora alcune cose in merito a quelli pubblici.Se infatti, o Eschine, potrai citare qualcuno sotto a questo sole il quale, greco o barbaro, non abbia subito danno prima da Filippo e poi dalla potenza di Alessandro, ebbene allora ammetterò che mia fu - fortuna o sfortuna che tu la voglia definire - la causa di tutti i problemi.Se però in molti, e non solo singoli individui ma anche intere città o popoli, che non mi hanno mai conosciuto né hanno mai sentito la mia voce, hanno dovuto subire tante e tremende disgrazie, quanto sarebbe stato più giusto considerare come causa di tutto la sorte a quanto pare comune a tutti gli uomini e una certa piega drammatica che hanno preso gli eventi, e non un simile fattore [e cioè l’operato di Demostene...]?Tu difatti, scagliando queste accuse, accusi me, che ho vissuto come libero cittadino presso costoro, sapendo però che, se non tutta, una parte del tuo disprezzo ricade su tutta la comunità, e in particolare su te stesso!Infatti se da solo, come un autocrate, ho deciso degli affari pubblici, sarebbe stato dovere degli altri oratori della vostra città accusarmene; se però eravate tutti presenti a tutte le riunioni pubbliche, la città sempre collegialmente ha indagato su ciò che era il proprio utile, e a tutti queste cose [proposte da Demostene...] sono apparse allora le migliori, e in particolare a te (e difatti non di buona voglia hai ceduto a me le speranze, la convinzione e gli onori - tutte cose che erano a favore delle cose fatte per mio consiglio - bensì perché soggiogato dalla verità non avevi evidentemente nulla di meglio da proporre), [se questo è vero...] allora come potresti dire di non agire in modo ingiusto e di non fare cose tremende, protestando adesso per tutte le cose rispetto a cui non avevi saputo dire nulla di migliore?E infatti io so che presso tutte le altre genti, si è oramai affermata e stabilita in qualche modo questa regola: se uno agisce in modo ingiusto volontariamente, allora ira e vendetta si scaglino contro di lui! Se qualcuno ha deviato dal giusto involontariamente, si abbia comprensione per lui e non vendetta!Se infine qualcuno non abbia gito ingiustamente e non si sia nemmeno discostato da quello che appariva a tutti il bene comune, dal momento che vi si era affidato, questi ha errato insieme a tutti gli altri: non è quindi giusto insultarlo e dargli contro, bensì contristarsi con lui [per la sorte comune...]!
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