ELOGIO DELL’OZIO E DELLA SOLITUDINE
(Seneca, De otio, estratti)
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Alcuni passi del De otio di Seneca, un breve scritto con cui il celebre filosofo vuole sfatare l’idea secondo cui il sapiente stoico dovrebbe dedicare tutta la propria esistenza alla vita attiva, ovvero all’attività politica e più in generale al soccorso e alla cura degli altri uomini.
(Certe Stoici vestri dicunt: «usque ad ultimum uitae finem in actu erimus, non desinemus communi bono operam dare, adiuvare singulos, opem ferre etiam inimicis senili manu. Nos sumus qui nullis annis vacationem damus et, quod ait ille vir disertissimus, canitiem galea premimus; nos sumus apud quos usque eo nihil ante mortem otiosum est ut, si res patitur, non sit ipsa mors otiosa».- Sono proprio i vostri stoici che dicono: “fino all’ultimo istante della vita saremo in attività, non cesseremo di impegnarci per il bene comune, di aiutare i singoli, di andar in soccorso anche ai nemici, pur con debole mano senile. Noi siamo quelli che a nessuna età concediamo il congedo, e, come dice quell’uomo eloquentissimo, ‘premiamo con l’elmo anche il capo canuto’; noi siamo quelli per i quali a tal punto non c’è alcun momento di inattività, che – se la cosa è possibile – non è inattiva neppure la morte stessa”)
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In realtà – spiega Seneca – non vi può essere agire corretto o virtuoso se prima non vi sia stata una seria riflessione su cosa sia la virtù, poiché, se l’agire per l’agire è indice di stupidità e superficialità, riflettere è invece una precondizione indispensabile per chi voglia agire bene, ovvero saggiamente e secondo virtù.
(Quomodo res adpetere sine ullo virtutum amore et sine cultu ingeni ac nudas edere operas minime probabile est (misceri enim ista inter se et conseri debent), sic inperfectum ac languidum bonum est in otium sine actu proiecta virtus, numquam id quod didicit ostendens. - Come il ricercare obiettivi materiali, senza alcun amore per le virtù e senza cura dell’intelligenza e il limitarsi ad azioni pure e semplici, non sono in alcun modo degni di approvazione (infatti questi aspetti si devono mescolare e intrecciare fra di loro), così una virtù che è abbandonata in un ritiro privo di azione, e che non mostra mai ciò che ha appreso, è un bene incompiuto e fiacco.)
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In realtà dunque, il vero stoico riflette per agire e prima di agire, e la sua vita quindi non è priva né di azione né di riflessione, né di ozio (otium) né di impegno pratico (negotium): questi due poli difatti, nella vita dello stoico si compenetreranno profondamente.
D’altronde, si può anche dare il caso che questi viva isolato dal mondo e propenda (come appunto nel caso dell’autore) molto più per un vita appartata e solitaria, dedita alla speculazione e al pensiero, che non per una vita dedita all’azione.
Che male vi sarebbe in ciò!? Difatti, solo tornando utile a se stesso attraverso la propria ricerca e il proprio perfezionamento interiore, il sapiente può poi tornare utile anche agli altri uomini, sia vicini sia lontani – sempre se essi sono disposti ad ascoltarlo.
(Hoc nempe ab homine exigitur, ut prosit hominibus, si fieri potest, multis, si minus, paucis, si minus, proximis, si minus, sibi. Nam cum se utilem ceteris efficit, commune agit negotium. Quomodo qui se deteriorem facit non sibi tantummodo nocet sed etiam omnibus eis quibus melior factus prodesse potuisset, sic quisquis bene de se meretur hoc ipso aliis prodest quod illis profuturum parat. - Ebbene questo si chiede ad un uomo, di giovare agli uomini, se è possibile a molti, se no a pochi, se no ai più vicini, se no a se stesso. Infatti quando si rende utile agli altri, svolge un’attività pubblica. Come chi peggiora se stesso non solo nuoce a sé, ma anche a tutti coloro ai quali avrebbe potuto giovare, se si fosse migliorato, così chiunque rende un buon servizio a se stesso, per questo stesso giova agli altri, per il fatto che prepara chi gioverà loro.)
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Chiude il testo (pervenutoci incompleto…) una dichiarazione di radicale estraneità alla vita politica che ha un sapore più che vagamente epicureo (si ricordino le tendenze eclettiche di gran parte della filosofia romana, alle quali Seneca non era affatto estraneo!).
Infatti, afferma Seneca, se lo stato – ogni stato! – respinge la virtù in generale e i sapienti non meno delle persone volgari e corrotte, è chiaro come il filosofo non possa dedicarsi davvero alla vita politica senza andare contro i suoi stessi principi.
(Interrogo ad quam rem publicam sapiens sit accessurus. Ad Atheniensium, in qua Socrates damnatur, Aristoteles ne damnetur fugit? in qua opprimit invidia virtutes? Negabis mihi accessurum ad hanc rem publicam sapientem. Ad Carthaginiensium ergo rem publicam sapiens accedet, in qua adsidua seditio et optimo cuique infesta libertas est… - Domando a quale stato si dedicherà il sapiente. Forse a quello degli Ateniesi, in cui Socrate viene condannato, Aristotele fugge per non essere condannato? Dove l’invidia travolge le virtù? Risponderai che il saggio non si dedicherà a questo stato. Dunque il saggio si dedicherà allo stato dei Cartaginesi, in cui c’è continua rivolta e libertà nemica dei migliori…)
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Ne deriva che, a conti fatti, il sapiente debba preferire estraniarsi dalla vita politica piuttosto che parteciparvi. Quest’ultima difatti, sarebbe effettivamente la sola cosa degna di essere preferita alla solitudine e all’ozio, ma solo se (cosa che non è) essa potesse essere degna del filosofo e della sua virtù!
(Si percensere singulas voluero, nullam inveniam quae sapientem aut quam sapiens pati possit. Quodsi non invenitur illa res publica quam nobis fingimus, incipit omnibus esse otium necessarium, quia quod unum praeferri poterat otio nusquam est - Se vorrò passare in rassegna gli stati uno a uno, non ne troverò nessuno che possa sopportare il sapiente o che il sapiente possa sopportare. Giacchè, se non si trova lo stato che ci rappresentiamo, la vita ritirata comincia ad essere per tutti necessaria, perché non esiste da nessuna parte la sola cosa che poteva essere preferita alla vita ritirata.)
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Con quest’ultima, fortissima, affermazione Seneca prende esplicitamente le distanze dallo stoicismo tradizionale, delineando un nuovo “ideale” di sapiente stoico: non più uomo delle piazze e dei luoghi pubblici, bensì individuo ritirato e ripiegato su stesso alla ricerca di un equilibrio e una pace interiori che gli derivano, in gran parte, proprio dall’avere tagliato i ponti col mondo, in particolare con le folle e con la politica, con i loro inganni e le loro seduzioni.
L’originalità di Seneca dunque, sta nell’avere delineato, pur all’interno della scuola stoica di cui si sentiva parte, un nuovo modello di sapiente, che cerca la comunione con Dio (ovvero la virtù o saggezza) non attraverso il sacrificio e l’eroismo, bensì attraverso una vita solitaria e defilata, dedita al perfezionamento interiore, lontana dagli eccessi e dai rivolgimenti della sorte che affliggono coloro che invece intendono l’esistenza come una ricerca del successo e del pubblico riconoscimento.
Una svolta teorica e pratica questa, avvenuta con ogni probabilità a partire dalla rottura con il giovane imperatore Nerone, di cui Seneca era stato pedagogo, un evento che costituì per lui una enorme “sconfitta” e che tante conseguenze ebbe sulla sua personalità e sul suo modo di intendere la filosofia.
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Testo originale, traduzione e note di spiegazione del testo latino:
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(Testo e traduzione libera da: http://www2.classics.unibo.it/Didattica/LatBC/SenOtioTxt.pdf?fbclid=IwAR16o45KqI75AjWe9FuCA6W2emax4q0IBfx3Q84YjLMl0MfJAT6_Z4w_NoY)
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I
1.1 *** Nobis magno consensu vitia commendant. Licet nihil aliud quod sit salutare temptemus, proderit tamen per se ipsum secedere: meliores erimus singuli. Quid quod secedere ad optimos viros et aliquod exemplum eligere ad quod vitam dirigamus licet? Quod <nisi> in otio non fit: tunc potest optineri quod semel placuit, ubi nemo intervenit qui iudicium adhuc inbecillum populo adiutore detorqueat; tunc potest vita aequali et uno tenore procedere, quam propositis diversissimis scindimus.[…]
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1.1. *** con grande consenso ci fanno sembrare piacevoli i vizi. Quand’anche non tentassimo null’altro che sia salutare, tuttavia sarà utile il solo ritiro, di per se stesso: saremo migliori da soli. Che dire del fatto che è lecito ritirarci presso gli uomini migliori e scegliere un qualche esempio verso il quale orientare la nostra vita? E ciò non accade <se non> nel ritiro. Allora si può mantenere ciò che si è deciso una volta per tutte, quando non interviene nessuno che distolga, con l’aiuto della folla, un proposito ancora debole; allora la vita – che noi dividiamo in propositi tra loro divergenti – può procedere con un andamento unico e costante. […]
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Note al testo latino:
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1.1: Licet: “Sebbene” (Licet nihil aliud quod sit salutare temptemus: Sebbene/Anche se nient’altro che sia salutare tenteremo)
Proderit: 3^ sing. indic. fut. di prosum, prodes, profui, prodesse: “sono a favore, sono utile” (proderit tamen per se ipsum secedere: Sarà utile tuttavia l’isolarsi per se stesso)
Quid quod…: Cosa il fatto che…? Cosa poi dire del fatto che…?
Quod <nisi> in otio non fit: La quale cosa non avviene (Quod non fit) se non nell’ozio (nisi in otio).
… ubi nemo intervenit qui iudicium adhuc inbecillum populo adiutore detorqueat: dove (ovvero nella solitudine) (ubi) nessuno viene che un proposito ancora debole (iudicium adhuc inbecillum) col popolo aiutante/con l’aiuto della gente (populo adiutore) storpi/rovini.
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II
1.4. Dices mihi: ‘quid agis, Seneca? deseris partes? Certe Stoici vestri dicunt: «usque ad ultimum uitae finem in actu erimus, non desinemus communi bono operam dare, adiuvare singulos, opem ferre etiam inimicis senili manu. Nos sumus qui nullis annis vacationem damus et, quod ait ille vir disertissimus, canitiem galea premimus; nos sumus apud quos usque eo nihil ante mortem otiosum est ut, si res patitur, non sit ipsa mors otiosa». Quid nobis Epicuri praecepta in ipsis Zenonis principiis loqueris? Quin tu bene <a>c naviter, si partium piget, transfugis potius quam prodis?’ ’
5. Hoc tibi in praesentia respondebo: ‘numquid vis amplius quam ut me similem ducibus meis praestem? Quid ergo est? non quo miserint me illi, sed quo duxerint ibo.’
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1.4. Mi dirai: «Che fai, Seneca? Abbandoni il tuo partito? Sono proprio i vostri stoici che dicono: “fino all’ultimo istante della vita saremo in attività, non cesseremo di impegnarci per il bene comune, di aiutare i singoli, di andar in soccorso anche ai nemici, pur con debole mano senile. Noi siamo quelli che a nessuna età concediamo il congedo, e, come dice quell’uomo eloquentissimo, ‘premiamo con l’elmo anche il capo canuto’; noi siamo quelli per i quali a tal punto non c’è alcun momento di inattività, che – se la cosa è possibile – non è inattiva neppure la morte stessa”. Perché esponi i precetti di Epicuro proprio nel bel mezzo dei principi di Zenone? Perché, se provi fastidio per il tuo partito, non diserti del tutto e risolutamente, piuttosto che tradirlo?»
5. Per il momento ti risponderò così: « Forse dovrei fare qualcosa di più che comportarmi in maniera simile ai miei capi? E dunque, quale conclusione? andrò non dove quelli mi indirizzeranno, ma dove mi guideranno».
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Note al testo latino:
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1.4: …opem ferre etiam inimicis senili manu: portare la (nostra….) opera anche ai nemici (opem ferre etiam inimicis) con mano senile/anche da vecchi (senili manu).
…qui nullis annis vacationem damus: quelli che in nessun anno/periodo (nullis annis) diamo (a noi stessi…) un’esenzione/mai ci riposiamo (vacationem damus)
et, quod ait ille vir disertissimus, canitiem galea premimus: e, ciò che disse (quod ait) quell’uomo eloquentissimo, la canizie/vecchiaia con l’elmo opprimiamo
usque eo… ut: a tal punto… che
si res patitur: se la cosa fosse possibile
Quid nobis …?: Perché a noi/ci…?
Quin tu bene <a>c naviter, si partium piget, transfugis potius quam prodis?: Perché non (Quin) tu, giustamente e con diligenza (bene ac naviter), se sei stanco delle parti/della fazione stoica (si partium piget), (ne…) esci (transfugis) piuttosto che (potius quam) (la…) tradisci/tradirla (prodis)?
1.5. numquid vis amplius quam ut me similem ducibus meis praestem?: Forse che in qualcosa (numquid) vuoi che (io…) sovrasti/superi (vis praestem) i miei duci/le mie guide (ducibus meis) più ampiamente che/piuttosto che (amplius quam) (vuoi…) me ((vis) me) come simile (ut similem) ai miei duci/a essi (ducibus meis)?// Pretendi forse che io, anziché essere simile alle mie guide, le superi in qualcosa?// Forse dovrei fare qualcosa di più che comportarmi in maniera simile ai miei capi?
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III
3.1. Hoc Stoicis quoque placere ostendam, non quia mihi legem dixerim nihil contra dictum Zenonis Chrysippive committere, sed quia res ipsa patitur me ire in illorum sententiam, quam si quis semper unius sequitur, non in curia sed in factione est. Utinam quidem iam tenerentur omnia et in aperto et confesso veritas esset nihilque ex decretis mutaremus! Nunc veritatem cum eis ipsis qui docent quaerimus.
2. Duae maxime et in hac re dissident sectae, Epicureorum et Stoicorum, sed utraque ad otium diversa via mittit. Epicurus ait: «non accedet ad rem publicam sapiens, nisi si quid intervenerit»; Zenon ait: «accedet ad rem publicam, nisi si quid inpedierit.»
3. Alter otium ex proposito petit, alter ex causa; causa autem illa late patet. Si res publica corruptior est quam adiuvari possit, si occupata est malis, non nitetur sapiens in supervacuum nec se nihil profuturus inpendet; si parum habebit auctoritatis aut virium nec illum erit admissura res publica, si valetudo illum inpediet, quomodo navem quassam non deduceret in mare, quomodo nomen in militiam non daret debilis, sic ad iter quod inhabile sciet non accedet.
4. Potest ergo et ille cui omnia adhuc in integro sunt, antequam ullas experiatur tempestates, in tuto subsistere et protinus commendare se bonis artibus et inlibatum otium exigere, virtutium cultor, quae exerceri etiam quietissimis possunt.
5. Hoc nempe ab homine exigitur, ut prosit hominibus, si fieri potest, multis, si minus, paucis, si minus, proximis, si minus, sibi. Nam cum se utilem ceteris efficit, commune agit negotium. Quomodo qui se deteriorem facit non sibi tantummodo nocet sed etiam omnibus eis quibus melior factus prodesse potuisset, sic quisquis bene de se meretur hoc ipso aliis prodest quod illis profuturum parat.
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3.1 Mostrerò che questo è il parere anche degli Stoici, non perché mi sia imposto come legge di non far nulla contro il detto di Zenone e di Crisippo, ma perché la questione stessa mi consente di aderire al loro parere: e se si segue sempre quello di uno solo, non si fa parte del senato, ma di una fazione. Magari tutta le conoscenze fossero già in nostro possesso, e la verità fosse scoperta e fuori di dubbio, e non modificassimo mai nulla dei nostri principi. Ora noi ricerchiamo la verità assieme a quelli stessi che la insegnano.
2. Le due scuole, quella degli epicurei e degli stoici, sono su posizioni lontanissime anche in questo, ma l’una e l’altra indirizzano al ritiro, pur per strade opposte. Epicuro dice: “Il saggio non si accosterà alla vita pubblica, a meno che non intervenga un fatto eccezionale”; Zenone dice: “si accosterà alla vita pubblica, a meno che un fatto eccezionale non glielo impedisca”.
3. Il primo si volge al ritiro per principio, il secondo in seguito ad una causa eccezionale, ma quella causa ha un vasto campo di applicazione. Se lo stato è troppo corrotto perché gli si possa portare aiuto, se è in mano ai malvagi, il saggio non si applicherà invano, né si spenderà, sapendo di non poter essere di alcun giovamento, se avrà poca autorevolezza o forza, e lo stato non gli vorrà accordare l’accesso, se la salute lo impedirà, come non metterebbe in mare una nave sfasciata, come non si arruolerebbe, se invalido, così non si accosterà ad un cammino che saprà essere impraticabile.
4. Dunque anche colui per il quale tutto è impregiudicato, prima che incontri qualche tempesta, può fermarsi al sicuro, e darsi subito all’esercizio della morale, coltivando le virtù, che possono essere praticate anche da chi vive nel più profondo ritiro.
5. Ebbene questo si chiede ad un uomo, di giovare agli uomini, se è possibile a molti, se no a pochi, se no ai più vicini, se no a se stesso. Infatti quando si rende utile agli altri, svolge un’attività pubblica. Come chi peggiora se stesso non solo nuoce a sé, ma anche a tutti coloro ai quali avrebbe potuto giovare, se si fosse migliorato, così chiunque rende un buon servizio a se stesso, per questo stesso giova agli altri, per il fatto che prepara chi gioverà loro.
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Note al testo latino:
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3.1 non quia mihi legem dixerim nihil contra dictum Zenonis Chrysippive commettere: non perché io abbia detto che (non quia dixerim) vi sia a me una legge/io sia succube di una legge che mi impone di (mihi legem (esse)) non affermare niente contro il detto/i detti di Zenone o Crisippo (nihil contra dictum Zenonis Chrysippive committere)
sed quia res ipsa patitur me ire in illorum sententiam: ma perché la cosa stessa/l’argomento stesso consente/impone (sed quia res ipsa patitur) che io vada contro/mi confronti con la sentenza/il pensiero di quelli (me ire in illorum sententiam)
quam si quis semper unius sequitur, non in curia sed in factione est: la quale (sentenza…) (quam) se sempre qualcuno segue di un medesimo (individuo) (si quis semper unius sequitur), non in un consesso ma in una fazione (egli…) è/si trova (non in curia sed in factione est).
Utinam quidem iam tenerentur omnia et in aperto et confesso veritas esset: Magari certo già tutte le cose fossero tenute/conosciute e in (modo…) aperto e riconosciuto la verità esistesse
3.2 utraque ad otium diversa via mittit: ciascuna delle due (utraque) all’ozio con diversa via giunge
3.3 causa autem illa late patet: ma quella causa largamente è aperta/è chiarissima a vedersi
corruptior est quam adiuvari possit: è più corrotta di quanto (corruptior est quam) possa essere aiutata/guarita
non nitetur sapiens in supervacuum nec se nihil profuturus inpendet: non si impegnerà il saggio in un supervuoto/senza alcuna possibilità di riuscita (non nitetur sapiens in supervacuum) né spenderà se stesso (nec se inpendet) per nulla essendo di vantaggio in futuro (nihil profuturus->partic. futuro di prosum, prodes…: sono utile a…)
nec illum erit admissura res publica, si valetudo illum inpediet: né lo stato lo ammetterà/accetterà (erit admissura), se la forza lo ostacolerà (illum inpediet)
quomodo navem quassam non deduceret in mare, quomodo nomen in militiam non daret debilis, sic ad iter quod inhabile sciet non accedet: come (quomodo) una nave squassata non dovrebbe essere stata portata (deduceret) in mare, come l’autorità (nomen) non dovrebbe essere stata data ai deboli, allo stesso modo (sic) per un viaggio che sappia superiore alle sue forze (inhabile) non dovrebbe (egli…) avventurarsi (accedet).
3.4 adhuc: fino ad ora
omnia in integro sunt: tutte le cose sussistono in (modo…) integro/sono integre
antequam ullas experiatur tempestates: prima che esperisca/sperimenti alcune tempeste/una qualche avversità (ullas tempestates)
in tuto subsistere: al sicuro (in tuto) ritirarsi
protinus: subito
3.5 nempe: appunto
commune agit negotium: compie un’impresa per il bene comune/di tutti
Quomodo… sic: come… così/allo stesso modo
non sibi tantummodo nocet sed etiam: non solo a se stesso nuoce ma anche…
eis quibus melior factus prodesse potuisset: a quelli a cui avrebbe potuto giovare (eis quibus prodesse potuisset) fatto(si) migliore (melior factus)
sic quisquis bene de se meretur: se qualcuno abbia reso servigio a se stesso (se se meretur-> voce del verbo mereo o mereor…)
hoc ipso aliis prodest quod illis profuturum parat: con questa cosa stessa (hoc ipso) agli altri giova (aliis prodest) poiché (quod) prepara se stesso (parat (se…)) a quelli giovante in futuro (illis profuturum->partic. futuro di prosum, prodes…: giovare; si lega a se)//per ciò stesso è utile anche agli altri, poiché pone le condizioni per aiutare anche loro.
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IV
6.2. Quomodo res adpetere sine ullo virtutum amore et sine cultu ingeni ac nudas edere operas minime probabile est (misceri enim ista inter se et conseri debent), sic inperfectum ac languidum bonum est in otium sine actu proiecta virtus, numquam id quod didicit ostendens.
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6.2. Come il ricercare obiettivi materiali, senza alcun amore per le virtù e senza cura dell’intelligenza e il limitarsi ad azioni pure e semplici, non sono in alcun modo degni di approvazione (infatti questi aspetti si devono mescolare e intrecciare fra di loro), così una virtù che è abbandonata in un ritiro privo di azione, e che non mostra mai ciò che ha appreso, è un bene incompiuto e fiacco.
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Note al testo latino:
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6.2. Quomodo res adpetere sine ullo virtutum amore et sine cultu ingeni ac nudas edere operas minime probabile est: Come cercare di ottenerle cose/aspirare a dei traguardi (Quomodo res adpetere) senza alcun amore delle virtù e senza (alcuna…) considerazione dell’intelligenza (sine ullo virtutum amore et sine cultu ingeni) e ottenere delle opere/raggiungere dei risultati (ac nudas edere operas) è cosa minimamente/molto poco approvabile/degna di approvazione (minime probabile est)
in otium sine actu proiecta virtus: una virtù abbandonata all’ozio (in otium proiecta virtus) senza azione (sine actu)
numquam id quod didicit ostendens: che mai dimostra (nei fatti…) (numquam ostendens->riferito a virtus) ciò che ha insegnato/dimostrato a parole (id quod didicit).
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V
8.1. Adice nunc [huc] quod e lege Chrysippi vivere otioso licet: non dico ut otium patiatur, sed ut eligat. Negant nostri sapientem ad quamlibet rem publicam accessurum; quid autem interest quomodo sapiens ad otium veniat, utrum quia res publica illi deest an quia ipse rei publicae, si omnibus defutura res publica est? Semper autem deerit fastidiose quaerentibus.
2. Interrogo ad quam rem publicam sapiens sit accessurus. Ad Atheniensium, in qua Socrates damnatur, Aristoteles ne damnetur fugit? in qua opprimit invidia virtutes? Negabis mihi accessurum ad hanc rem publicam sapientem. Ad Carthaginiensium ergo rem publicam sapiens accedet, in qua adsidua seditio et optimo cuique infesta libertas est, summa aequi ac boni vilitas, adversus hostes inhumana crudelitas, etiam adversus suos hostilis? Et hanc fugiet.
3. Si percensere singulas voluero, nullam inveniam quae sapientem aut quam sapiens pati possit. Quodsi non invenitur illa res publica quam nobis fingimus, incipit omnibus esse otium necessarium, quia quod unum praeferri poterat otio nusquam est.
4. Si quis dicit optimum esse navigare, deinde negat navigandum in eo mari in quo naufragia fieri soleant et frequenter subitae tempestates sint quae rectorem in contrarium rapiant, puto hic me vetat navem solvere, quamquam laudet navigationem. ***
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8.1. Aggiungi ora che secondo la scelta di Crisippo è lecito vivere ritirati: non intendo che uno la subisca, ma che la scelga. I nostri maestri affermano che il saggio non si dedicherà a qualsiasi specie di stato; ma che differenza fa il modo con cui il saggio giunge alla vita ritirata perché lo stato viene meno a lui o perché è lui a venir meno allo stato, se lo stato mancherà a tutti? Mancherà sempre a chi indagherà con attenzione.
2. Domando a quale stato si dedicherà il sapiente. Forse a quello degli Ateniesi, in cui Socrate viene condannato, Aristotele fugge per non essere condannato? Dove l’invidia travolge le virtù? Risponderai che il saggio non si dedicherà a questo stato. Dunque il saggio si dedicherà allo stato dei Cartaginesi, in cui c’è continua rivolta e libertà nemica dei migliori, un assoluto disprezzo per il bene e il giusto, una crudeltà inumana nei confronti dei nemici, ostile anche verso i propri concittadini? Fuggirà anche questo.
3. Se vorrò passare in rassegna gli stati uno a uno, non ne troverò nessuno che possa sopportare il sapiente o che il sapiente possa sopportare. Giacchè, se non si trova lo stato che ci rappresentiamo, la vita ritirata comincia ad essere per tutti necessaria, perché non esiste da nessuna parte la sola cosa che poteva essere preferita alla vita ritirata.
4. Se uno dice che la cosa migliore è darsi alla navigazione, poi afferma che si deve navigare in quel mare in cui spesso avvengono naufragi e ci sono tempeste improvvise che trascinano con violenza il timoniere in direzione contraria, credo, costui mi invita a non salpare, benché faccia l’elogio della navigazione. ***
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Note al testo latino:
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8.1. Adice nunc [huc]: Aggiungi ora
e lege Chrysippi: secondo la legge/le idee di Crisippo
otioso: oziosamente (avverbio)
non dico ut otium patiatur, sed ut eligat: non dico/intendo che (non dico ut…; ut + cong. ha valore dichiarativo/consecutivo, non finale) (chi è in ozio…) sopporti/subisca l’ozio (ut otium patiatur); ma che (lo…) elegga/scelga (ut eligat).
ad quamlibet rem publicam accessurum: a qualsivoglia stato avere accesso (accessurum (esse…))
quid autem interest quomodo sapiens ad otium veniat: ma cosa interessa (quid autem interest) in che modo/per quale ragione il sapiente giunga a ritirarsi (quomodo sapiens ad otium veniat)
…utrum quia …an quia: se perché… o perchè
…si omnibus defutura res publica est?: (quid interest… si) se a tutti lo stato verrà a mancare (defutura est->3^ sing. indic. futuro di de-sum: manco)?
Semper autem deerit fastidiose quaerentibus: e sempre (lo stato…) mancherà/sarà assente per coloro che cercano con insistenza/a chi indagherà con attenzione (fastidiose quaerentibus)
8.2. Interrogo: Chiedo
Negabis mihi accessurum (esse…)
optimo cuique: a qualisiasi ottimo (cittadino…)
summa aequi ac boni vilitas: sommo disprezzo (summa vilitas) dell’equo e del buono/dell’equità e del bene
8.3. nullam inveniam quae sapientem aut quam sapiens pati possit: nessuna troverò la quale (quae->soggetto) possa tollerare il sapiente (oggetto) (quae sapientem pati possit); o la quale (quam->oggetto) il sapiente (soggetto) potrà tollerare (aut quam sapiens pati possit).
Quodsi: Poiché se/Che se… quam nobis fingimus: che a noi stessi raffiguriamo/che ci immaginiamo
Incipit: ne segue necessariamente
quia quod unum praeferri poterat otio nusquam est: dal momento che (quia) ciò che unico (quod unum) poteva/potrebbe essere preferito all’ozio (praeferri poterat otio) in nessun luogo è/esiste (nusquam est)
8.4. deinde negat navigandum (esse…): quindi/ma poi (deinde) nega che si debba navigare
fieri soleant: sogliano avvenire
in contrarium rapiant: nel contrario/in zone opposte alla sua destinazione (lo…) rapiscano/lo portino con violenza
quamquam laudet: sebbene (egli…) lodi
……
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