EPAMINONDA VA CONTRO LE LEGGI DELLA PATRIA, MA NELL’INTERESSE DI ESSA (Cornelio Nepote; Epaminonda; par. 7-8)
Un bellissimo brano di Cornelio Nepote sulla vita di Epaminonda (il celebre generale tebano che con la sua genialità militare pose fine al dominio spartano sulla Grecia), nel quale si narra di come egli si macchiò, anche se nell’interesse della patria (Tebe) e di tutta la Grecia, del reato di insubordinazione alle leggi.
Epaminonda infatti, si trovava a combattere contro i nemici Spartani, che in seguito avrebbe appunto sconfitto, assieme ad altri generali di valore, i quali tuttavia il popolo (per delle voci infondate) aveva ingiustamente destituito dal comando. Per continuare a combattere assieme ad essi, ovvero per il buon esito della guerra, egli li convinse allora a continuare a esercitare il comando, garantendo che si sarebbe assunto la piena responsabilità della loro azione di disobbedienza… ----
Questo brano, pur così fresco e divertente, contiene in sé anche grandi spunti di verità. Esso difatti può far riflettere il lettore su come, nella tradizione occidentale (democratica e legalitaria!), la responsabilità individuale venga comunque prima di un cieco rispetto delle leggi.
Queste ultime infatti, pur sacre in quanto espressione della libertà e autodeterminazione della collettività, sono in ogni caso finalizzate prima di tutto al bene di essa. Perciò alle volte l’eroismo di uno o più individui può risiedere proprio nel coraggio di "scavalcarle", al fine di rendere attuale lo scopo per cui esse sono state create.
Il che significa, appunto, che la responsabilità personale di fronte alla comunità può in alcuni casi limite travalicare lo stesso dovere di obbedire alle leggi che essa si è data!
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TESTO LATINO:
[7] … 3 Maxime autem fuit illustre, cum in Peloponnesum exercitum duxisset adversus Lacedaemonios haberetque collegas duos, quorum alter erat Pelopidas, vir fortis ac strenuus. Ei cum criminibus adversariorum omnes in invidiam venissent ob eamque rem imperium iis esset abrogatum atque in eorum locum alii praetores successissent, Epaminondas populi scito non paruit, 4 idemque ut facerent, persuasit collegis et bellum, quod susceperat, gessit. Namque animadvertebat, nisi id fecisset, totum exercitum propter praetorum imprudentiam inscitiamque belli periturum. 5 Lex erat Thebis, quae morte multabat, si quis imperium diutius retinuisset, quam lege praefinitum foret. Hanc Epaminondas cum rei publicae conservandae causa latam videret, ad perniciem civitatis conferre noluit et quattuor mensibus diutius, quam populus iusserat, gessit imperium.[8] Postquam domum reditum est, collegae eius hoc crimine accusabantur. Quibus ille permisit, ut omnem causam in se transferrent suaque opera factum contenderent. ut legi non oboedirent. Qua defensione illis periculo liberatis nemo Epaminondam responsurum putabat, quod, quid diceret, non haberet. 2 At ille in iudicium venit, nihil eorum negavit, quae adversarii crimini dabant, omniaque, quae collegae dixerant, confessus est neque recusavit, quo minus legis poenam subiret, sed unum ab iis petivit, ut in periculo suo inscriberent: 3 Epaminondas a Thebanis morte multatus est, quod eos coegit apud Leuctra superare Lacedaemonios, quos ante se imperatorem nemo Boeotorum ausus fuit aspicere in acie, 4 quodque uno proelio non solum Thebas ab interitu retraxit, sed etiam universam Graeciam in libertatem vindicavit eoque res utrorumque perduxit, ut Thebani Spartam oppugnarent, Lacedaemonii satis haberent, si salvi esse possent, 5 neque prius bellare destitit, quam Messene restituta urbem eorum obsidione clausit. Haec cum dixisset, risus omnium cum hilaritate coortus est, neque quisquam iudex ausus est de eo ferre suffragium. Sic a iudicio capitis maxima discessit gloria.
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TRADUZIONE LIBERA (Dal sito: Progetto Ovidio):
7 – (…) 3 Ma il caso più illustre fu quando portò l'esercito nel Peloponneso contro gli Spartani, ed aveva due colleghi di cui uno era Pelopida, uomo forte e valoroso. Poiché questi erano incorsi nella invidia per le accuse degli avversari e per questo era stato tolto loro il comando ed erano subentrati al loro posto altri comandanti, Epaminonda non ubbidì al decreto del popolo, 4 e persuase i colleghi a fare altrettanto e portò a termine la guerra che aveva intrapreso. Capiva infatti che se non avesse agito così, tutto l'esercito sarebbe perito per l'avventatezza e l'imperizia bellica dei comandanti. 5 Vigeva a Tebe una legge che comminava la morte a chi avesse mantenuto il comando militare più a lungo di quanto fosse stabilito per legge. Epaminonda, sapendo che questa era stata emanata per la difesa dello Stato, non volle usarla per la rovina dello Stato e tenne il comando quattro mesi più a lungo di quanto il popolo lo aveva autorizzato.8 – Dopo che si fu tornati in patria, i suoi colleghi vennero accusati con questo capo di incriminazione. Egli li autorizzò a trasferire su di sé tutta la colpa ed a sostenere che fu per il suo intervento se essi non ubbidirono alle leggi. Assolti quelli grazie a questa difesa, nessuno riteneva che Epaminonda si sarebbe giustificato, perché non avrebbe avuto che cosa dire. 2 Ma quello si presentò al processo, non suoi avversari e confermò tutte quelle cose che avevano detto i suoi colleghi e non rifiutò di affrontare la punizione prevista dalla legge; ma una cosa chiese loro, che nella sua sentenza di condanna scrivessero: 3 "Epaminonda fu condannato a morte dai Tebani, perché li costrinse presso Leuttra a vincere gli Spartani, che prima del suo comando nessuno dei Beoti aveva osato affrontare in campo 4 e perché con una sola battaglia, non solo salvò Tebe dalla rovina, ma restituì anche la libertà a tutta la Grecia, e condusse a tal punto le cose che i Tebani assalirono Sparta e gli Spartani si ritennero fortunati se poterono salvarsi 5 e non cessò di combattere prima che, ricostruita Messene, ebbe stretto d'assedio la loro città". Avendo dette queste cose, ci fu uno scoppio di risa tra l'ilarità generale né alcun giudice osò votare contro di lui. Così la un processo capitale uscì fuori con grandissima gloria.(traduz. di Cipriano Conti)
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TRADUZIONE GUIDATA E COMMENTATA:
[7] Maxime autem fuit illustre, cum in Peloponnesum exercitum duxisset adversus Lacedaemonios haberetque collegas duos, quorum alter erat Pelopidas, vir fortis ac strenuus.
Ma fu massimamente cosa/vicenda famosa (illustre), quando egli aveva portato l’esercito nel Peloponneso contro i Lacedemoni e aveva due colleghi, dei quali uno era Pelopida, uomo forte e valoroso.
Ei cum criminibus adversariorum omnes in invidiam venissent ob eamque rem imperium iis esset abrogatum atque in eorum locum alii praetores successissent, Epaminondas populi scito non paruit, idemque ut facerent, persuasit collegis et bellum, quod susceperat, gessit.
Questi, poiché tutti per delle accuse (criminibus) erano caduti nell’invidia (in invidiam venissent) degli avversari e per quella cosa/ragione(ob eamque rem=et ob eam rem) era stato abrogato il loro imperio/comando (imperium iis: letter., l’imperio a essi) e al loro posto (in eorum locum) erano succeduti degli altri comandanti, Epaminonda non obbedì al decreto del popolo (populi scito), e persuase i colleghi affinché facessero la stessa cosa (idemque ut facerent), e portò avanti la guerra che aveva iniziato (susceperat: 3^ sing, piuccheperf. ind. att. da suscipio,is…: porto avanti, sostengo).
Namque animadvertebat, nisi id fecisset, totum exercitum propter praetorum imprudentiam inscitiamque belli periturum.
E infatti pensava (animadvertebat) che ( =vedi l’infinitiva: periturum…), se non avesse fatto ciò, l’esercito sarebbe perito (periturum (esse): infinito futuro di pereo,is, peri(v)i, periturus, ire: morire) a causa dell’imprudenza e dell’ignoranza della/sulla guerra dei capi.
Lex erat Thebis, quae morte multabat, si quis imperium diutius retinuisset, quam lege praefinitum foret.
Vi era una legge di Tebe, la quale (il sogg. è quis, qualcuno) multava con la morte, se qualcuno (quis) avesse tenuto il comando più a lungo (diutius) di quanto (quam) per legge fosse stato deciso (praefinitum foret = praefinitum esset).
Hanc Epaminondas cum rei publicae conservandae causa latam videret, ad perniciem civitatis conferre noluit et quattuor mensibus diutius, quam populus iusserat, gessit imperium.
Poiché questa/essa (Hanc: riferito a legem) Epaminonda (la…) vedeva/sapeva portata/inventata per la conservazione dello stato (rei publicae conservandae causa: letter., a causa dello stato da conservare), non volle (noluit) dare un contributo(conferre) alla rovina della città e per quattro mesi più a lungo (quattuor mensibus diutius) di quanto (quam) il popolo aveva deciso, tenne il comando.
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[8] Postquam domum reditum est, collegae eius hoc crimine accusabantur.
Dopo che tornò a casa, i suoi colleghi erano/furono accusati per questo crimine.
Quibus ille permisit, ut omnem causam in se transferrent suaque opera factum contenderent, ut legi non oboedirent.
Ai quali/A quelli egli permise che/di (permisit, ut + cong.) trasferissero/trasferire su se stesso/di sé (ut in se transferrent) tutta la responsabilità (omnem causam) e che sostenessero/di sostenere(contenderent) esser stato fatto (factum (esse)) per opera sua che (ut + cong. ha qui valore consecutivo, cioè specifica cosa è stato fatto: il fatto che essi…) non obbedissero alla legge.
Qua defensione illis periculo liberatis nemo Epaminondam responsurum putabat, quod, quid diceret, non haberet.
Per la quale difesa, essendo stati liberati/dopo che erano stati liberati quelli dal pericolo, nessuno credeva che Epaminonda avrebbe risposto/si sarebbe difeso (responsurum (esse)), poiché (quod), quel che diceva/di cui parlava (ovvero, ciò che lo avrebbe salvato dalla condanna), non (lo…) aveva.
At ille in iudicium venit, nihil eorum negavit, quae adversarii crimini dabant, omniaque, quae collegae dixerant, confessus est neque recusavit, quo minus legis poenam subiret, sed unum ab iis petivit, ut in periculo suo inscriberent:
Ma egli venne in giudizio, (e…) nulla negò di quelle cose che i nemici (gli…) attribuivano con l’accusa, e tutte le cose che i colleghi avevano detto le confessò e nemmeno (a esse…) replicò affinché/al fine di (quo: per non=ut non + cong.) subisse/subire di meno la condanna della legge/legale, ma chiese da/a essi una sola cosa (unum), perché la aggiungessero al suo processo (periculum sta qui per processo; cioè, perché considerassero anche quella cosa nel valutare la sua condanna):
Epaminondas a Thebanis morte multatus est, quod eos coegit apud Leuctra superare Lacedaemonios, quos ante se imperatorem nemo Boeotorum ausus fuit aspicere in acie, quodque uno proelio non solum Thebas ab interitu retraxit, sed etiam universam Graeciam in libertatem vindicavit …
“Epaminonda fu punito con la morte dai Tebani, perché presso Leuttra li portò a sconfiggere i Lacedemini, i quali nessuno dei Beoti aveva osato prima di lui affrontare in battaglia da comandante (ante se imperatorem ausus fuit aspicere in acie: letter., prima di se stesso/lui (Epaminonda) in qualità di imperatore/capo militare aveva osato (ausus fuit) affrontare in un campo di battaglia), e poiché (quodque) con un’unica battaglia non solo salvò Tebe (Thebas: acc. di Thebe, es) dall’annientamento, ma liberò (vindico in libertatem: rivendico alla libertà, libero, affranco) anche tutta la Grecia …
eoque res utrorumque perduxit, ut Thebani Spartam oppugnarent, Lacedaemonii satis haberent, si salvi esse possent, neque prius bellare destitit, quam Messene restituta urbem eorum obsidione clausit.
e la cosa/l’impresa (sua…) (res) di entrambi/per entrambi (utrorumque: gen. plur. di uterque: l’uno di due; intendi: per Tebe e per la Grecia tutta) giunse a tanto/al punto (eo…) che (…ut + cong. con valore consecutivo) i Tebani contrastarono/sconfissero Sparta, (e…) i Lacedemoni/Spartani furono fortunati (ut… satis haberent: letter., che avessero/ebbero abbastanza) se poterono essere salvati/salvarsi (salvi esse), né smise di combattere, prima che (prius… quam), essendo stata restituita/ricostruita (la città di…) Messene (Messene restituta: ablativo assoluto), cinse d’assedio/cingesse d’assedio (obsidione clausit) la città di quelli (->gli Spartani).”
Haec cum dixisset, risus omnium cum hilaritate coortus est, neque quisquam iudex ausus est de eo ferre suffragium.
Quando ebbe detto queste cose, si levò (coortus est: 3^ sing. perf. att. ind. da corio,eris, coortus sum, iri: sorgo) con l’ilarità il riso di tutti, né alcun giudice (quisquam iudex) osò portare un voto/dare un giudizio (ferre suffragium) su di lui.
Sic a iudicio capitis maxima discessit gloria.
Così/In tal modo uscì dal giudizio/processo con la massima gloria del capo/a testa alta (capitis maxima gloria).
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