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Immagine del redattoreAdriano Torricelli

GLI ORAZI E I CURIAZI

Aggiornamento: 7 dic 2023

GLI ORAZI E I CURIAZI

(Tito Livio; Ab Urbe Condita: I, 25)

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Dopo la morte di Numa Pompilio, re devoto e pacifico per eccellenza, ha inizio un nuovo regno, quello di Tullo Ostilio, un re al contrario del precedente estremamente bellicoso (ferocior etiam quam Romulus fuit, dice Livio: I, 22).

È infatti sotto il regno di quest’ultimo che si colloca la guerra tra Romani e Albani, una guerra molto simile a una guerra civile, dice sempre Livio, quasi tra padri e figli (bellum civili simillimum bello, prope inter parentes natosque: I, 23), dal momento che i due popoli derivavano da un medesimo ceppo etnico, quello troiano.

Proprio per porre fine una volta per tutte a un conflitto che sembrava non averne, si decide di far combattere tra loro tre gemelli romani contro tre gemelli albani, tutti della stessa età e tutti egualmente forti.

La vicenda si conclude ovviamente con la vittoria dei gemelli romani (gli Orazi) su quelli albani (i Curiazi). Ma la vittoria romana in questa battaglia, che Livio definisce la vicenda più celebre dell’antichità romana (nec ferme res antiqua alia est nobilior: I, 24), non è per nulla scontata. Ed anzi, solo un rovesciamento improvviso delle sorti permetterà ai Romani di vincere la guerra, condannando gli Albani a subirne per lungo tempo la supremazia…

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Testo latino:

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[25] Foedere icto trigemini, sicut convenerat, arma capiunt. Cum sui utrosque adhortarentur, deos patrios, patriam ac parentes, quidquid civium domi, quidquid in exercitu sit, illorum tunc arma, illorum intueri manus, feroces et suopte ingenio et pleni adhortantium vocibus in medium inter duas acies procedunt. Consederant utrimque pro castris duo exercitus, periculi magis praesentis quam curae expertes; quippe imperium agebatur in tam paucorum virtute atque fortuna positum. Itaque ergo erecti suspensique in minime gratum spectaculum animo incenduntur. Datur signum infestisque armis velut acies terni iuvenes magnorum exercituum animos gerentes concurrunt. Nec his nec illis periculum suum, publicum imperium servitiumque obversatur animo futuraque ea deinde patriae fortuna quam ipsi fecissent. Ut primo statim concursu increpuere arma micantesque fulsere gladii, horror ingens spectantes perstringit et neutro inclinata spe torpebat vox spiritusque. Consertis deinde manibus cum iam non motus tantum corporum agitatioque anceps telorum armorumque sed volnera quoque et sanguis spectaculo essent, duo Romani super alium alius, volneratis tribus Albanis, exspirantes corruerunt. Ad quorum casum cum conclamasset gaudio Albanus exercitus, Romanas legiones iam spes tota, nondum tamen cura deseruerat, exanimes vice unius quem tres Curiatii circumsteterant. Forte is integer fuit, ut universis solus nequaquam par, sic adversus singulos ferox. Ergo ut segregaret pugnam eorum capessit fugam, ita ratus secuturos ut quemque volnere adfectum corpus sineret. Iam aliquantum spatii ex eo loco ubi pugnatum est aufugerat, cum respiciens videt magnis interuallis sequentes, unum haud procul ab sese abesse. In eum magno impetu rediit; et dum Albanus exercitus inclamat Curiatiis uti opem ferant fratri, iam Horatius caeso hoste victor secundam pugnam petebat. Tunc clamore qualis ex insperato faventium solet Romani adiuvant militem suum; et ille defungi proelio festinat. Prius itaque quam alter—nec procul aberat—consequi posset, et alterum Curiatium conficit; iamque aequato Marte singuli supererant, sed nec spe nec viribus pares. Alterum intactum ferro corpus et geminata victoria ferocem in certamen tertium dabat: alter fessum volnere, fessum cursu trahens corpus victusque fratrum ante se strage victori obicitur hosti. Nec illud proelium fuit. Romanus exsultans "Duos" inquit, "fratrum manibus dedi; tertium causae belli huiusce, ut Romanus Albano imperet, dabo." Male sustinenti arma gladium superne iugulo defigit, iacentem spoliat. Romani ouantes ac gratulantes Horatium accipiunt, eo maiore cum gaudio, quo prope metum res fuerat. Ad sepulturam inde suorum nequaquam paribus animis vertuntur, quippe imperio alteri aucti, alteri dicionis alienae facti. Sepulcra exstant quo quisque loco cecidit, duo Romana uno loco propius Albam, tria Albana Romam versus sed distantia locis ut et pugnatum est.

(https://www.thelatinlibrary.com/livy/liv.1.shtml?fbclid=IwAR0kC7m-7yGQe86fNhZic3Z9esCWbmjALUq4VhwCByOHy0esMiHWUwnfRwY#25)

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Testo tradotto:

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25 Concluso il trattato, i gemelli, come era stato convenuto, si armano di tutto punto. Da entrambe le parti i soldati incitavano i loro campioni. Gli ricordavano che gli dèi nazionali, la patria e i genitori, nonché tutti i concittadini rimasti a casa e quelli lì presenti tra le fila avevano gli occhi puntati sulle loro armi e sulle loro braccia. E i fratelli, pronti allo scontro non già solo per il tipo di carattere che avevano ma esaltati dalle urla di chi li incitava, avanzano nello spazio in mezzo alle due schiere. Gli uomini di entrambi gli eserciti si erano intanto seduti di fronte ai rispettivi accampamenti, tesissimi non tanto per qualche pericolo imminente, quanto perché era in ballo la supremazia legata solo al valore e alla buona sorte di pochi di loro. Così, sul chi vive e col fiato sospeso, si concentrano sullo spettacolo non certo rilassante. Viene dato il segnale e i sei giovani, come battaglioni opposti nello scontro, si buttano allo sbaraglio con lo spirito di due eserciti interi. Né gli uni né gli altri si preoccupano del proprio pericolo, ma pensano esclusivamente alla supremazia o alla subordinazione del proprio paese e alle sorti future della patria che loro soli possono condizionare. Al primo contatto l'urto delle armi e il bagliore delle lame fecero gelare il sangue nelle vene agli spettatori i quali, visto che nessuna delle due parti aveva avuto la meglio, trattenevano muti il respiro. Ma quando poi si giunse al corpo a corpo e gli occhi non vedevano solo più fisici in movimento e spade e scudi branditi nell'aria ma cominciò a grondare sangue dalle ferite, due dei Romani, colpiti a morte, caddero uno sull'altro, contro i tre Albani soltanto feriti. A tale vista, un urlo di gioia si levò tra le fila albane, mentre le legioni romane, persa ormai ogni speranza, seguivano terrorizzate il loro ultimo campione circondato dai tre Curiazi. Questi, che per puro caso era rimasto indenne, non poteva da solo affrontarli tutti insieme, ma era pronto a dare battaglia contro uno per volta. Quindi, per separarne l'attacco, si mise a correre pensando che lo avrebbero inseguito ciascuno con la velocità che le ferite gli avrebbero permesso. Si era già allontanato un po' dal punto in cui aveva avuto luogo lo scontro, quando, voltandosi, vide che lo stavano inseguendo piuttosto sgranati e che uno gli era quasi addosso. Si fermò aggredendolo con estrema violenza e, mentre i soldati albani urlavano ai Curiazi di correre in aiuto del fratello, Orazio aveva già ucciso l'avversario e si preparava al secondo duello. Allora, con un boato di voci - quello dei sostenitori per una vittoria insperata -, i Romani presero a incitare il loro campione che cercava di porre presto fine al combattimento. Prima che il terzo potesse sopraggiungere - e non era tanto lontano -, uccise il secondo. Ora lo scontro era numericamente alla pari, uno contro uno; ma lo squilibrio risultava nelle forze a disposizione e nelle speranze di vittoria. L'uno, illeso ed esaltato dal doppio successo, era pronto e fresco per un terzo scontro. L'altro, stremato dalle ferite e dalla corsa, si trascinava e, una volta davanti all'avversario eccitato dalle vittorie, era già un vinto, con negli occhi i fratelli appena caduti. Non fu un combattimento. Il Romano gridò esultando: «Ho già offerto due vittime ai mani dei miei fratelli: la terza la voglio offrire alla causa di questa guerra, che Roma possa regnare su Alba.» L'avversario riusciva a malapena a tenere in mano le armi. Orazio, con un colpo dall'alto verso il basso, gli infilò la spada nella gola e quindi ne spogliò il cadavere. I Romani lo accolsero con un'ovazione di gratitudine e la gioia era tanto più grande quanto più avevano sfiorato la disperazione. I due eserciti si accingono alla sepoltura dei rispettivi morti con sentimenti molto diversi, in quanto gli uni avevano adesso la supremazia, gli altri la sottomissione a un potere esterno. Le tombe esistono ancora, esattamente dove ciascuno è caduto: le due romane nello stesso punto, più vicino ad Alba, e le tre albane in direzione di Roma e con gli stessi intervalli che ci furono nello scontro.

(http://www.deltacomweb.it/storiaromana/titolivio_storia_di_roma.pdf)

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Testo spiegato:

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[25] Foedere icto trigemini, sicut convenerat, arma capiunt.

STRETTO IL PATTO (Foedere icto) I TRIGEMINI/I TRE GEMELLI, COME ERA STATO CONVENUTO, PRENDONO LE ARMI (trigemini, sicut convenerat, arma capiunt).

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Cum sui utrosque adhortarentur, deos patrios, patriam ac parentes, quidquid civium domi, quidquid in exercitu sit, illorum tunc arma, illorum intueri manus, feroces et suopte ingenio et pleni adhortantium vocibus in medium inter duas acies procedunt.

MENTRE I LORO (CONNAZIONALI….) (Cum sui) GLI UNI E GLI ALTRI ESORTAVANO (utrosque adhortarentur), (DICENDO CHE…) GLI DEI PATRI, LA PATRIA E I PARENTI (deos patrios, patriam ac parentes), CHIUNQUE DEI CITTADINI A CASA (quidquid civium domi), CHIUNQUE NELL’ESERCITO SIA/FOSSE (quidquid in exercitu sit), OSSERVAVANO ALLORA (intueri tunc; intueri è il verbo dell’infinitiva: deos, patriam, parentes…) LE LORO ARMI, LE LORO MANI (illorum arma, illorum manus), FEROCI SIA PER LORO INGEGNO/SPIRITO (feroces et suopte ingenio) SIA IN QUANTO SOVRASTATI PER LE VOCI DEGLI ADORANTI (et pleni adhortantium vocibus) NEL MEZZO TRA I DUE ESERCITI PROCEDONO/PROCEDEVANO (in medium inter duas acies procedunt).

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Consederant utrimque pro castris duo exercitus, periculi magis praesentis quam curae expertes; quippe imperium agebatur in tam paucorum virtute atque fortuna positum.

SEDEVANO INSIEME DALL’UNA E DELL’ALTRA PARTE (Consederant utrimque) DAVANTI AGLI ACCAMPAMENTI I DUE ESERCITI (pro castris duo exercitus), DEL PERICOLO PIÙ CONSAPEVOLI CHE PRIVI DI PREOCCUPAZIONE (periculi magis praesentis quam curae expertes); E INFATTI (quippe) L’IMPERIO/IL COMANDO ERA CONDOTTO/RISIEDEVA NELLA VIRTÙ DI COSÌ POCHI (INDIVIDUI…) (imperium agebatur in tam paucorum virtute) E NELLA FORTUNA (ERA…) RIPOSTO (atque fortuna positum).

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Itaque ergo erecti suspensique in minime gratum spectaculum animo incenduntur.

PERTANTO QUINDI (Itaque ergo) DRITTI/IN PIEDI E SOSPESI/SCALPITANTI (erecti suspensique) DI FRONTE A UNO SPETTACOLO MINIMAMENTE/PER NULLA GRATO (in minime gratum spectaculum) NELL’ANIMO SONO INCENDIATI (animo incenduntur).

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Datur signum infestisque armis velut acies terni iuvenes magnorum exercituum animos gerentes concurrunt.

VIENE DATO IL SEGNALE E CON ARMI OSTILI COME DEGLI ESERCITI (Datur signum infestisque armis velut acies) I (DUE…) TERZETTI DI GIOVANI/I DUE GRUPPI DI GIOVANI (terni iuvenes) GARANTI/SOSTENENTI GLI ANIMI DEI (LORO RISPETTIVI…) ESERCITI (magnorum exercituum animos gerentes) SI SCONTRANO (concurrunt).

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Nec his nec illis periculum suum, publicum imperium servitiumque obversatur animo futuraque ea deinde patriae fortuna quam ipsi fecissent.

NÉ A QUESTI NÉ A QUELLI SI AGGIRA NELL’ANIMO (Nec his nec illis obversatur animo) IL PROPRIO PERICOLO (periculum suum), (BENSÌ…) IL PUBBLICO COMANDO E IL SERVIZIO (DATO AL PROPRIO POPOLO…) (publicum imperium servitiumque) E QUINDI LA FUTURA FORTUNA DELLA PATRIA (futuraque fortuna deinde patriae), QUELLA CHE ESSI STESSI AVREBBERO FATTO (ea quam ipsi fecissent).

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Ut primo statim concursu increpuere arma micantesque fulsere gladii, horror ingens spectantes perstringit et neutro inclinata spe torpebat vox spiritusque.

COME IN UN PRIMO TEMPO IMPROVVISAMENTE/NON APPENA (Ut primo statim) PER LO SCONTRO CREPITARONO LE ARMI (concursu increpuere [=increpuerunt] arma) E SCINTILLANTI RISPLENDETTERO I GLADI/LE SPADE (micantesque fulsere [=fulserunt] gladii), UN GRANDE ORRORE ATTERRÌ GLI SPETTATORI (horror ingens spectantes perstringit) E INCLINATA LA SPERANZA AL NEUTRO/IN ATTESA TREPIDANTE DEL RISULTATO (et neutro inclinata spe) ERA PARALIZZATA LA VOCE E LO SPIRITO (torpebat vox spiritusque).

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Consertis deinde manibus cum iam non motus tantum corporum agitatioque anceps telorum armorumque sed volnera quoque et sanguis spectaculo essent, duo Romani super alium alius, volneratis tribus Albanis, exspirantes corruerunt.

ESSENDO STATE INTRECCIATE POI LE MANI/ESSENDO POI (I DUE GRUPPI…) GIUNTI ALLE MANI (Consertis deinde manibus non motus tantum corporum agitatioque anceps telorum armorumque sed volnera quoque et sanguis) QUANDO ORAMAI ERANO DI SPETTACOLO/SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI (cum iam spectaculo essent) NON IL MOVIMENTO SOLTANTO DEI CORPI E L’AGITAZIONE DI ENTRAMBE LE PARTI/IN ENTRAMBI GLI SCHIERAMENTI (non motus tantum corporum agitatioque anceps) DELLE LANCE E DELLE ARMI (telorum armorumque) MA LE FERITE ANCHE ED IL SANGUE (sed volnera [=vulnera] quoque et sanguis), DUE ROMANI (duo Romani) L’UNO SOPRA L’ALTRO (alius super alium), PUR ESSENDO STATI FERITI/NONOSTANTE FOSSERO STATI FERITI I TRE ALBANI (volneratis [=vulneratis] tribus Albanis; tribus=ablat. di tres: tre), SPIRANDO CROLLARONO A TERRA (exspirantes corruerunt).

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Ad quorum casum cum conclamasset gaudio Albanus exercitus, Romanas legiones iam spes tota, nondum tamen cura deseruerat, exanimes vice unius quem tres Curiatii circumsteterant.

AL CASO DEI QUALI (Ad quorum casum) MENTRE AVEVA GRIDATO/GRIDAVA CON GIOIA L’ESERCITI ALBANO (cum conclamasset gaudio Albanus exercitus), ORAMAI TUTTA LA SPERANZA AVEVA ABBANDONATO LE LEGIONI ROMANE (Romanas legiones iam spes tota deseruerat), NON ANCORA PERÒ LA PREOCCUPAZIONE (LE AVEVA ABBANDONATE…) (nondum tamen cura deseruerat), ESANIMI/SENZA FIATO/IN APPRENSIONE AL CONTRARIO PER L’UNO/PER L’UNICO (ROMANO…) (exanimes vice unius) CHE I TRE CURIAZI AVEVANO CIRCONDATO (quem tres Curiatii circumsteterant).

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Forte is integer fuit, ut universis solus nequaquam par, sic adversus singulos ferox.

PER CASO/FORTUNATAMENTE EGLI FU/RIMASE INTEGRO (Forte is integer fuit), COME CONTRO TUTTI DA SOLO (ut universis solus) IN NESSUN MODO PARI/ALL’ALTEZZA DELLA SFIDA (nequaquam par), COSÌ CONTRO I SINGOLI/CONTRO ESSI SINGOLARMENTE FEROCE/PERICOLOSO (sic adversus singulos ferox).

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Ergo ut segregaret pugnam eorum capessit fugam, ita ratus secuturos ut quemque volnere adfectum corpus sineret.

DUNQUE, PER DIVIDERE LA LOTTA DI QUELLI/CONTRO DI ESSI (Ergo ut segregaret pugnam eorum) PRESE LA FUGA (capessit fugam), COSÌ AVENDO STIMATO (ita ratus; reor, eris, ratus sum, eri: penso; stimo) CHE (ESSI…) LO AVREBBERO SEGUITO ((eos…) secuturos (esse…)) COME IL CORPO (DI CIASCUNO…) (ut corpus) AFFETTO DA UNA FERITA (volnere adfectum) AVREBBE LASCIATO/PERMESSO A CIASCUNO (DI FARLO…) (quemque sineret).

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Iam aliquantum spatii ex eo loco ubi pugnatum est aufugerat, cum respiciens videt magnis interuallis sequentes, unum haud procul ab sese abesse.

GIÀ/ORAMAI ALQUANTO DI SPAZIO/UN AMPIO TRATTO (Iam aliquantum spatii) DAL LUOGO DOVE ERA STATO COMBATTUTO (ex eo loco ubi pugnatum est), AVEVA LASCIATO ALLE SPALLE (aufugerat), QUANDO, GUARDANDO INDIETRO (QUELLI…) CHE LO SEGUIVANO A GRANDI INTERVALLI /(TRA LORO…) (cum respiciens magnis interuallis sequentes), VIDE UNO CHE ERA/SI TROVAVA NON LONTANO DA SÉ (videt unum haud procul ab sese abesse).

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In eum magno impetu rediit; et dum Albanus exercitus inclamat Curiatiis uti opem ferant fratri, iam Horatius caeso hoste victor secundam pugnam petebat.

CONTRO DI QUESTO CON GRANDE IMPETO TORNÒ (In eum magno impetu rediit); E MENTRE L’ESERCITO ALBANO GRIDA AI (=AGLI ALTRI DUE) CURIAZI (et dum Albanus exercitus inclamat Curiatiis) AFFINCHÉ PORTINO SOCCORSO AL FRATELLO (uti (=ut) ferant opem fratri), GIÀ/ORAMAI L’ORAZIO, UCCISO IL NEMICO (iam Horatius caeso hoste), VINCITORE UNA SECONDA BATTAGLIA CERCAVA/SI PREPARAVA A (victor secundam pugnam petebat).

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Tunc clamore qualis ex insperato faventium solet Romani adiuvant militem suum; et ille defungi proelio festinat.

ALLORA CON UN CLAMORE DEI PALUDENTI (Tunc clamore faventium) QUALE DA UN (CASO…) INSPERATO/INATTESO SUOLE (VENIRE…) (qualis ex insperato solet) I ROMANI INCORAGGIANO/SOSTENGONO IL LORO SOLATO (Romani adiuvant militem suum); ED EGLI SI AFFRETTA (et ille festinat) PER TERMINARE/A PORTARE A TERMINE LA BATTAGLIA (defungi proelio).

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Prius itaque quam alter—nec procul aberat—consequi posset, et alterum Curiatium conficit; iamque aequato Marte singuli supererant, sed nec spe nec viribus pares.

PRIMA UNQUE CHE L’ALTRO – E NON ERA LONTANO – POTESSE RAGGIUNGER(LO) (Prius itaque quam alter—nec procul aberat—), ANCHE L’ALTRO (=l’altro rispetto al precedente!) (consequi posset) CURIAZIO UCCISE (et alterum Curiatium conficit); E GIÀ, PAREGGIATA LA FORZA OFFENSIVA (DI ENTRAMBI…) (iamque aequato Marte), DA SOLI ERANO SOPRAVVISSUTI/ERANO SUPERSTITI (singuli supererant), MA NÉ PER FIDUCIA NÉ PER FORZE PARI (sed nec spe nec viribus pares).

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Alterum intactum ferro corpus et geminata victoria ferocem in certamen tertium dabat: alter fessum volnere, fessum cursu trahens corpus victusque fratrum ante se strage victori obicitur hosti.

L’UN CORPO/L’UNO DEI DUE CORPI/L’UNO DEI DUE SOLDATI (Alterum corpus) INTATTO/NON TOCCATO DAL FERRO (intactum ferro) E FEROCE PER LA VITTORIA DOPPIATA/PER LA DOPPIA VITTORIA (et geminata victoria ferocem) AL TERZO SCONTRO SI DAVA/SI PREPARAVA (in certamen tertium dabat): L’ALTRO TRASCINANDO IL CORPO (alter trahens corpus) STREMATO PER LA FERITA, STREMATO NELLA CORSA/NEI MOVIMENTI (fessum volnere, fessum cursu) E VINTO PER LA STRAGE DEI FRETELLI (victusque strage fratrum) DAVANTI A SÉ (ante se) ERA POSTO INNANZI ALLA NEMICO VINCITORE (victori hosti obicitur).

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Nec illud proelium fuit. Romanus exsultans "Duos" inquit, "fratrum manibus dedi; tertium causae belli huiusce, ut Romanus Albano imperet, dabo."

NÉ QUELLA BATTAGLIA VI FU (Nec illud proelium fuit). IL ROMANO ESULTANDO DICE (Romanus exsultans inquit): “DUE DEI FRATELLI DIEDI ALLE MANI/HO GIÀ UCCISO (Duos fratrum manibus dedi); IL TERZO DARÒ (ALLE MANI…)/UCCIDERÒ (tertium dabo) A CAUSA DI QUESTA GUERRA (causae belli huiusce), AFFINCHÉ IL ROMANO COMANDI L’ALBANO (ut Romanus Albano imperet).

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Male sustinenti arma gladium superne iugulo defigit, iacentem spoliat. Romani ouantes ac gratulantes Horatium accipiunt, eo maiore cum gaudio, quo prope metum res fuerat.

A QUELLO CHE MALE SOSTENEVA LE ARMI (Male sustinenti arma) IL GLADIO CONFICCA SU PER IL COLLO (gladium superne iugulo defigit), (E…) GIACENTE/ORMAI MORTO (LO…) SPOGLIA (iacentem spoliat). I ROMANI ESULTANTI E RALLEGRANTISI SOLLEVANO L’ORAZIO (Romani ouantes ac gratulantes Horatium accipiunt), TANTO (EO…) CON MAGGIOR GIOIA (maiore cum gaudio)//CON GIOIA TANTO PIÙ GRANDE (eo maiore cum gaudio), QUANTO PIÙ (…quo) VICINO ALLA PAURA ERA STATA LA COSA/IN QUANTO LA VICENDA LI AVEVA TENUTI COL FIATO SOSPESO (prope metum res fuerat).

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Ad sepulturam inde suorum nequaquam paribus animis vertuntur, quippe imperio alteri aucti, alteri dicionis alienae facti.

ALLA SEPOLTURA DEI LORO QUINDI (I DUE POPOLI, ALBANO E ROMANO…) SONO PORTATI/SI RECANO (Ad sepulturam inde suorum vertuntur) NON CERTO CON ANIMI EGUALI (nequaquam paribus animis), POICHÉ GLI UNI ACCRESCIUTI NELL’IMPERIO (quippe imperio alteri aucti-> nomin. masch. plur. del partic. perf. passivo di augeo,es, auxi, auctum, ere: ingrandire), GLI ALTRI FATTI DI UN COMANDO STRANIERO/SOTTOMESSI AL COMANDO DI UN POPOLO STRANIERO (alteri dicionis alienae facti).

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Sepulcra exstant quo quisque loco cecidit, duo Romana uno loco propius Albam, tria Albana Romam versus sed distantia locis ut et pugnatum est.

I SEPOLCRI ANCORA ESISTONO (Sepulcra exstant) NEL LUOGO DOVE (loco quo) CIASCUNO (DEI SOLDATI…) CADDE (quisque cecidit), DUE (SEPOLCRI…) ROMANI IN UN LUOGO VICINO AD ALBA (duo Romana uno loco propius Albam), TRE ALBANI VERSO ROMA (tria Albana Romam versus) MA DISTANTI NEI LUOGHI/NELLO SPAZIO (sed distantia locis) COME ANCHE È STATO COMBATTUTO ut et pugnatum est ()/MA DISTANTI TRA LORO IN BASE AL LUOGO DOVE SI COMBATTÉ (sed distantia locis ut et pugnatum est).

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