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Immagine del redattoreAdriano Torricelli

I TIMORI E LE INQUIETUDINI DELL’IMPERATORE TIBERIO

Aggiornamento: 7 set 2023

I TIMORI E LE INQUIETUDINI DELL’IMPERATORE TIBERIO

(Svetonio – Vite di dodici Cesari – Tiberio: 65->67)

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Tre paragrafi tratti dalla Vita di Tiberio di Svetonio, nei quali si descrive il temperamento tormentato, sospettoso e paranoico dell’imperatore romano.

Nel primo (65) si racconta di come egli avesse detronizzato Seiano (astu magis ac dolo quam principali auctoritate... et per speciem honoris), il cui potere era aumentato a dismisura a causa della sua assenza da Roma (Tiberio si era infatti rifugiato nell’isola di Capri, dove ormai viveva stabilmente).

Nel successivo (66) si racconta di come nell’Impero (e non solo) serpeggiassero sospetti e accuse sul suo conto, che egli non sapeva se ignorare o nascondere.

Il terzo (67), tra tutti il più inquietante, si apre con una disperata confessione dello stesso Tiberio, che confida al Senato tutta la sua angoscia esistenziale ("Quid scribam vobis, Patres Conscripti, aut quo modo scribam, aut quid omnino non scribam hoc tempore, dii me deaeque peius perdant quam cotidie perire sentio, si scio.") e prosegue poi col racconto di alcune esternazioni fatte da Tiberio all’inizio del suo principato, che diedero in seguito adito al sospetto che in realtà, “peritus futurorum”, egli conoscesse sin da allora gli sviluppi che avrebbe subito la sua personalità negli anni successivi, e immaginasse perciò la deriva dei rapporti col Senato e con il popolo che ne sarebbe derivata (…cum ait: similem se semper sui futurum nec umquam mutaturum mores suos, quam diu sanae mentis fuisset; sed exempli causa cavendum esse, ne se senatus in acta cuiusquam obligaret, quia aliquo casu mutari posset).

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TESTO ORIGINALE:

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[65] Seianum res novas molientem, quamvis iam et natalem eius publice celebrari et imagines aureas coli passim videret, vix tandem et astu magis ac dolo quam principali auctoritate subvertit. Nam primo, ut a se per speciem honoris dimitteret, collegam sibi assumpsit in quinto consulatu, quem longo intervallo absens ob id ipsum susceperat. Deinde spe affinitatis ac tribuniciae potestatis deceptum inopinantem criminatus est pudenda miserandaque oratione, cum inter alia patres conscriptos precaretur, mitterent alterum e consulibus, qui se senem et solum in conspectum eorum cum aliquo militari praesidio perduceret. Sic quoque diffidens tumultumque metuens Drusum nepotem, quem vinculis adhuc Romae continebat, solvi, si res posceret, ducemque constitui praeceperat. Aptatis etiam navibus ad quascumque legiones meditabatur fugam, speculabundus ex altissima rupe identidem signa, quae, ne nuntii morarentur, tolli procul, ut quidque factum foret, mandaverat. Verum et oppressa coniuratione Seiani nihilo securior aut constantior per novem proximos menses non egressus est villa, quae vocatur Ionis.

[66] Urebant insuper anxiam mentem varia undique convicia, nullo non damnatorum omne probri genus coram vel per libellos in orchestra positos ingerente. Quibus quidem diversissime adficiebatur, modo ut prae pudore ignota et celata cuncta cuperet, nonnumquam eadem contemneret et proferret ultro atque vulgaret. Quin et Artabani Parthorum regis laceratus est litteris parricidia et caedes et ignaviam et luxuriam obicientis monentisque, ut voluntaria morte maximo iustissimoque civium odio quam primum satis faceret.

[67] Postremo semet ipse pertaesus, tali epistulae principio tantum non summam malorum suorum professus est: "Quid scribam vobis, p. c., aut quo modo scribam, aut quid omnino non scribam hoc tempore, dii me deaeque peius perdant quam cotidie perire sentio, si scio."

Existimant quidam praescisse haec eum peritia futurorum ac multo ante, quanta se quandoque acerbitas et infamia maneret, prospexisse; ideoque, ut imperium inierit, et patris patriae appellationem et ne in acta sua iuraretur obstinatissime recusasse, ne mox maiore dedecore impar tantis honoribus inveniretur. Quod sane ex oratione eius, quam de utraque re habuit, colligi potest; vel cum ait: similem se semper sui futurum nec umquam mutaturum mores suos, quam diu sanae mentis fuisset; sed exempli causa cavendum esse, ne se senatus in acta cuiusquam obligaret, quia aliquo casu mutari posset. Et rursus:

"Si quando autem," inquit, "de moribus meis devotoque vobis animo dubitaveritis, – quod prius quam eveniat, opto ut me supremus dies huic mutatae vestrae de me opinioni eripiat – nihil honoris adiciet mihi patria appellatio, vobis autem exprobrabit aut temeritatem delati mihi eius cognominis aut inconstantiam contrarii de me iudicii."

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TESTO TRADOTTO LIBERAMENTE:

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65. Sebbene Seiano stesse preparando una rivoluzione e Tiberio già lo vedesse celebrare ufficialmente il giorno della sua nascita e venerare un po' dappertutto le sue immagini d'oro, fu soltanto alla fine, e con gran fatica, che si decise a rovesciarlo, servendosi più degli artifici dell'astuzia che dell'autorità del principe. In un primo tempo, infatti, per allontanarlo da sé, con il pretesto di una carica onorifica, se lo prese come collega nel suo quinto consolato, che, dopo un lungo intervallo, si era fatto dare proprio a questo scopo, pur essendo lontano da Roma. In seguito, dopo averlo ingannato con la speranza di una possibile parentela e dei poteri di tribuno, inopinatamente lo accusò in una lettera vergognosa e spregevole, in cui, tra l'altro pregava i senatori di mandargli uno dei consoli per condurre davanti a loro, sotto scorta militare, un vecchio abbandonato. Sempre poco tranquillo, nonostante tutto questo e temendo sommosse, aveva dato l'ordine di liberare, in caso di necessità, suo nipote Druso, che era ancora in prigione a Roma, e di metterlo alla guida degli affari. Teneva pronta anche una flotta, con l'intenzione di rifugiarsi presso una qualsiasi legione e dall'alto di un'altissima rupe spiava incessantemente i segnali che aveva dato ordine di fare da lontano, per sapere senza indugio tutto quello che accadeva. Ma anche quando fu soffocata la congiura di Seiano, non si sentì per niente più calmo e più sicuro, tanto è vero che per i nove mesi successivi non uscì più dalla casa chiamata «villa di Ione».

66. Per di più ingiurie diverse, giunte da ogni parte, esasperavano il suo animo inquieto, perché non vi era condannato che non gli indirizzasse ogni sorta di insulti, sia apertamente, sia per mezzo di biglietti deposti sul banco dei senatori. Egli ne era afflitto in modo assai diverso: ora desiderava, per un sentimento di vergogna, che tutti questi oltraggi fossero sconosciuti e tenuti nascosti, ora invece, ostentando disprezzo, lui stesso li ripeteva e li rendeva pubblici. Perfino Artabano, il re dei Parti, lo rimproverò in una lettera con la quale gli rinfacciava i suoi parricidi, i suoi delitti, la sua ignavia, la sua lussuria e lo esortava a soddisfare al più presto, con una morte volontaria, l'odio implacabile e perfettamente giustificato dei suoi concittadini.

67. Alla fine, provando disgusto per se stesso, fece quasi una sintesi di tutti i suoi mali, cominciando così una delle sue lettere: «Che cosa devo scrivervi, padri coscritti? O come vi scriverò, o che cosa non scriverò in questo momento? Gli dei e le dee mi facciano morire più crudelmente di, quanto io stesso mi sento venir meno, se lo so.» Alcuni ritengono che, leggendo nel futuro, venne a conoscere molto tempo prima il proprio destino e che aveva previsto a quale disprezzo e a quale triste reputazione la sorte lo destinava; dicono anche che fu questa la ragione per cui, all'inizio del suo principato, rifiutò ostinatamente di essere chiamato «Padre della patria» e di lasciar giurare sui suoi atti, nel timore che la sua disonorevole condotta lo facesse apparire ancora più indegno di onori così grandi. D'altra parte è la conclusione che si può trarre con una certa sicurezza da un discorso con il quale rispose alla duplice proposta, specialmente là dove dice «che sarebbe sempre rimasto fedele a se stesso, che non avrebbe mai cambiato la sua condotta finché fosse stato sano di mente, ma che, per principio, bisognava evitare di legare il Senato agli atti di un uomo, chiunque esso fosse, perché poteva trasformarsi per una circostanza qualsiasi». E ancora: «Se un giorno, poi, comincerete a dubitare del mio carattere e della mia devozione nei vostri confronti (ma vorrei morire prima che si verifichi un tale evento, per non veder cambiare la vostra opinione su di me), il titolo di padre della patria non mi darà nessun onore in più, mentre voi vi esporrete al rimprovero o di avermi attribuito questo soprannome troppo alla leggera, o di essere incoerenti con voi stessi, giudicandomi da due aspetti opposti.»

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TESTO SPIEGATO:

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[65] Seianum res novas molientem, quamvis iam et natalem eius publice celebrari et imagines aureas coli passim videret, vix tandem et astu magis ac dolo quam principali auctoritate subvertit.

Mentre Seiano agevolava/preparava cose nuove//preparava una congiura (Seianum res novas molientem; l’accusativo si deve al fatto che Seiano è l’oggetto di subvertit), per quanto vedesse (quamvis videret) che oramai sia il suo compleanno era celebrato pubblicamente, sia immagini d’oro di lui ovunque erano raccolte/assiepate (iam et natalem eius publice celebrari et imagines aureas coli passim), a stento infine (vix tandem) e più con l’astuzia e con la frode che con l’autorità di principe (lo…) sovvertì/fece cadere (et astu magis ac dolo quam principali auctoritate subvertit).

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Nam primo, ut a se per speciem honoris dimitteret, collegam sibi assumpsit in quinto consulatu, quem longo intervallo absens ob id ipsum susceperat.

Infatti in un primo tempo (Nam primo), affinché (lo…) mandasse via/per congedarlo (ut a se dimitteret) con l’apparebnza dell’onore (per speciem honoris), (lo…) prese come collega nel quinto consolato (collegam sibi assumpsit in quinto consulatu), che per ciò stesso/proprio per questo scopo aveva preso/assunto (quem ob id ipsum susceperat) pur essendo assente (da Roma…) per un lungo intervallo/da molto tempo (longo intervallo absens).

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Deinde spe affinitatis ac tribuniciae potestatis deceptum inopinantem criminatus est pudenda miserandaque oratione, cum inter alia patres conscriptos precaretur, mitterent alterum e consulibus, qui se senem et solum in conspectum eorum cum aliquo militari praesidio perduceret.

Dopo/in seguito, con la speranza/promessa sia della parentela, sia della potestà tribunizia (Deinde spe affinitatis ac tribuniciae potestatis), (lo…) accusò (criminatus est), avendolo ingannato (deceptum) senza che egli se lo spettasse (inopinantem), con un discorso vergognoso e miserabile (pudenda miserandaque oratione), pregando tra le altre cose i padri coscritti (cum inter alia patres conscriptos precaretur), che mandassero un altro/un secondo candidato (preso…) dai consoli (mitterent alterum e consulibus) il quale se stesso/lui (=Tiberio), vecchio e solo (qui se senem et solum), accompagnasse al loro cospetto con un presidio/una scorta militare un (uomo…) (in conspectum eorum cum aliquo militari praesidio perduceret).

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Sic quoque diffidens tumultumque metuens Drusum nepotem, quem vinculis adhuc Romae continebat, solvi, si res posceret, ducemque constitui praeceperat.

Così anche/inoltre diffidente e temendo Druso il nipote (Sic quoque diffidens tumultumque metuens Drusum nepotem), che con vincoli/imposizioni (quem vinculis) fino ad allora conteneva/teneva chiuso a Roma (adhuc Romae continebat), aveva ordinato che fosse liberato (solvi praeceperat), se la cosa/situazione (lo…) richiedesse (si res posceret), e che fosse costituito/fatto duce/re (ducemque constitui praeceperat).

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Aptatis etiam navibus ad quascumque legiones meditabatur fugam, speculabundus ex altissima rupe identidem signa, quae, ne nuntii morarentur, tolli procul, ut quidque factum foret, mandaverat.

Preparate anche/inoltre delle navi (che andassero…) verso una qualunque delle legioni (Aptatis etiam navibus ad quascumque legiones) meditava la fuga (meditabatur fugam), speculabondo/cercando ossessivamente da un’altissima rupe di quando in quando (speculabundus ex altissima rupe identidem) i segni che (signa, quae), affinché i messaggi non giungessero in ritardo (ne nuntii morarentur), aveva comandato che fossero innalzati da lontano (tolli procul mandaverat), perché qualsiasi cosa fosse stata fatta/precauzione fosse presa (ut quidque factum foret->=factum esset: 3^ sing. cong. piuccheperf. passivo da facio…).

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Verum et oppressa coniuratione Seiani nihilo securior aut constantior per novem proximos menses non egressus est villa, quae vocatur Ionis.

Invero, anche sedata la congiura di Seiano (Verum et oppressa coniuratione Seiani), in nulla/per nulla più sicuro o più deciso (nihilo securior aut constantior) per i nove mesi successivi non tornò alla villa (per novem proximos menses non egressus est villa) che è chiamata Ione (quae vocatur Ionis).

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[66] Urebant insuper anxiam mentem varia undique convicia, nullo non damnatorum omne probri genus coram vel per libellos in orchestra positos ingerente.

Bruciavano sopra la/nella (sua…) mente ansiosa (Urebant insuper anxiam mentem) vari ovunque schiamazzi (varia undique convicia)//Turbavano la sua mente ansiosa varie dicerie provenienti da ogni luogo (Urebant insuper anxiam mentem varia undique convicia), nessuno dei condannati (nullo damnatorum) non lanciando(gli) contro (non ingerente) ogni genere di improperio (omne probri genus) davanti/in faccia o attraverso i libretti nell’orchestra (coram vel per libellos in orchestra positos).

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Quibus quidem diversissime adficiebatur, modo ut prae pudore ignota et celata cuncta cuperet, nonnumquam eadem contemneret et proferret ultro atque vulgaret.

Alle quali cose d’altronde (Quibus quidem) in modi diversissimi era risposto (da lui)/egli rispondeva (diversissime adficiebatur), in modo che (modo ut…) per il pudore sia desiderasse (che restassero…) celate tutte le cose/diffamazioni (prae pudore ignota et celata cuncta cuperet), non mai/altre volte (nonnumquam) (in modo che…) le stesse cose disprezzasse e raccontasse spontaneamente (eadem contemneret et proferret ultro) e divulgasse (atque vulgaret).

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Quin et Artabani Parthorum regis laceratus est litteris parricidia et caedes et ignaviam et luxuriam obicientis monentisque, ut voluntaria morte maximo iustissimoque civium odio quam primum satis faceret.

Che addirittura anche/inoltre (Quin) fu fustigato dalle lettere del re dei Parti Artabano (laceratus est litteris Artabani Parthorum regis) che (gli…) rinfacciavano parricidi, stragi, ignavia e lussuria (et parricidia et caedes et ignaviam et luxuriam obicientis) e che (lo…) ammonivano che con una morte volontaria desse soddisfazione all’odio (monentisque, ut voluntaria morte satis faceret odio) massimo/di massima grandezza e giustissimo dei cittadini/sudditi (maximo iustissimoque civium) quanto prima/il prima possibile (quam primum).

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[67] Postremo semet ipse pertaesus, tali epistulae principio tantum non summam malorum suorum professus est: "Quid scribam vobis, p. c., aut quo modo scribam, aut quid omnino non scribam hoc tempore, dii me deaeque peius perdant quam cotidie perire sentio, si scio."

Alla fine egli stesso (Postremo ipse) disgustato di se stesso (se(met) pertaesus; semet è rafforzativo di “se”), con un tale inizio di un’epistola (tali principio epistulae) confessò non soltanto (tantum non professus est) la somma dei suoi mali/tutti i suoi mali (summam malorum suorum): “Cosa scriva/io debba scrivere a voi (Quid scribam vobis), Padri Coscritti (Patres Conscripti), o in che modo lo scriva/debba scrivere (aut quo modo scribam), o cosa assolutamente non scriva/debba scrivere in questo tempo/momento (aut quid omnino non scribam hoc tempore), gli dei e le dee mi perdano peggio (dii deaeque me peius perdant) di come (quam) quotidianamente/ogni giorno mi sento perire (cotidie perire sentio) se (lo…) so (si scio).”

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Existimant quidam praescisse haec eum peritia futurorum ac multo ante, quanta se quandoque acerbitas et infamia maneret, prospexisse; ideoque, ut imperium inierit, et patris patriae appellationem et ne in acta sua iuraretur obstinatissime recusasse, ne mox maiore dedecore impar tantis honoribus inveniretur.

Stimano/credono alcuni (Existimant quidam) che egli queste cose sapesse in anticipo (eum praescisse haec) per la perizia delle cose future (peritia futurorum) e che molto prima vedesse (ac multo ante prospexisse) quanto grande acerbità/spregevolezza e infamia (quanta acerbitas et infamia) di quando in quando (quandoque) rimanesse presso di sé/lo avrebbe caratterizzato (se maneret); e perciò, affinché cominciasse il (suo…) imperio/per iniziare a governare (ideoque, ut imperium inierit->3^ sing. cong. perf. attivo di in-eo,is, ivi/ii, itum, ire: prendere su di sé…), (stimano che…) sia ostinatissimamente riutasse l’appellativo di padre della patria (et obstinatissime recusasse patris patriae appellationem) sia (rifiutasse…) che in nome suo (…et (recusasse…) ne in acta sua) fosse giurato/si giurasse (iuraretur), affinché non fosse trovato presto (ne inveniretur mox) per un costume/stile di vita vergognoso (maiore dedecore) impari a così grandi onori (impar tantis honoribus).

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Quod sane ex oratione eius, quam de utraque re habuit, colligi potest; vel cum ait: similem se semper sui futurum nec umquam mutaturum mores suos, quam diu sanae mentis fuisset; sed exempli causa cavendum esse, ne se senatus in acta cuiusquam obligaret, quia aliquo casu mutari posset.

La qual cosa bene può essere raccolta/compresa (Quod sane colligi potest), dalla sua orazione (ex oratione eius) che ebbe/tenne sull’una e l’altra cosa/su entrambi i temi (quam de utraque re habuit); o quando disse (vel cum ait) se stesso/lui stesso essente in futuro/che sarebbe stato in futuro (se futurum) sempre simile a se stesso (similem semper sui) né mai in procinto di cambiare i suoi costumi (nec umquam mutaturum mores suos), quanto a lungo/fino a quando (quam diu) fosse stato di mente sana/sano di mente (sanae mentis fuisset); ma a causa dell’esempio/in base a molteplici esempi (sed exempli causa) dover essere temuto/che si dovesse temere (cavendum esse: è chiaramente infinitiva retta da “ait”) che il senato obbligasse se stesso /si vincolasse (ne se senatus obligaret) agli atti/ai decreti di qualcuno (in acta cuiusquam), poiché (questi…) avrebbe potuto essere mutato per qualche accidente/dal momento che non si poteva escludere che qualche circostanza inducesse quest’ultimo a cambiare (quia aliquo casu mutari posset).

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Et rursus: "Si quando autem," inquit, "de moribus meis devotoque vobis animo dubitaveritis, – quod prius quam eveniat, opto ut me supremus dies huic mutatae vestrae de me opinioni eripiat – nihil honoris adiciet mihi patria appellatio, vobis autem exprobrabit aut temeritatem delati mihi eius cognominis aut inconstantiam contrarii de me iudicii."

E di nuovo/in altra circostanza disse (Et rursus inquit): “Se prima o poi inoltre (Si quando autem) avrete dubitato dei miei costumi e dell’animo (mio…) a voi devoto (de moribus meis devotoque vobis animo dubitaveritis), - la qual cosa prima che accada (quod prius quam eveniat), spero che il supremo giorno/la morte mi sottragga (opto ut me supremus dies eripiat) a questa vostra mutata opinione su di me (huic mutatae vestrae de me opinioni) – l’appellativo patrio/il titolo di padre della patria (patria appellatio) nulla d’onore/nessun onore mi darà (nihil honoris adiciet mihi), e a voi rinfaccerà/ricorderà o la temerarietà di questo appellativo (vobis autem exprobrabit aut temeritatem eius cognominis) datomi (delati mihi), o l’incostanza di un giudizio contrario/contraddittorio su di me (aut inconstantiam contrarii de me iudicii).

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