La perorazione di Ottavio in favore della religione cristiana e contro la vecchia e oramai desueta civiltà pagana, si conclude significativamente con un atto di accusa contro i filosofi e il loro “saccente e sterile” scetticismo.
Nonostante avesse in precedenza sottolineato l’esistenza di una parziale convergenza tra questi e i cristiani (cosa che del resto faranno spesso anche Agostino e l’apologetica cristiana in generale,) *, in questo passo, con cui si chiude il suo discorso, Ottavio prende recisamente le distanze dai filosofi, affermando la superiorità della verità rivelata rispetto a quelle di ragione…
* (19;3) “Passiamo in rassegna, se permetti, l’insegnamento dei filosofi, scoprirai che per quelle stesse motivazioni, sia pure espresse con terminologie diverse, essi convengono con questo (… cioè il nostro, dei cristiani) unico modo di intendere.” (Recenseamus, si placet, disciplinam philosophorum: deprehendes eos, etsi sermonibus variis, ipsis tamen rebus in hanc unam coire et conspirare sententiam.)
TESTO LATINO:
38 (...) "Proinde Socrates scurra Atticus viderit, nihil se scire confessus, testimonio licet fallacissimi daemonis gloriosus, Arcesilas quoque et Carneades et Pyrrho et omnis Academicorum multitudo deliberet, Simonides etiam in perpetuum conperendinet: philosophorum supercilia contemnimus, quos corruptores et adulteros novimus et tyrannos et semper adversus sua vitia facundos. Nos, non habitu sapientiam sed mente praeferimus, non eloquimur magna sed vivimus, gloriamur nos consecutos quod illi summa intentione quaesiverunt nec invenire potuerunt. Quid ingrati sumus, quid nobis invidemus, si veritas divinitatis nostri temporis aetate maturuit? Fruamur bono nostro et recti sententiam temperemus: cohibeatur superstitio, impietas expietur, vera religio reservetur."
TRADUZIONE E NOTE:
38 (...) "Proinde Socrates scurra Atticus viderit, nihil se scire confessus, testimonio licet fallacissimi daemonis gloriosus, Arcesilas quoque et Carneades et Pyrrho et omnis Academicorum multitudo deliberet, Simonides etiam in perpetuum conperendinet:
Lasciamo dunque da parte (viderit: 3^ sing. cong. perf. da video: letter., “sia stato visto”, con una sfumatura concessiva: quindi “dimetichiamoci”…) Socrate, il buffone attico, confesso di non sapere nulla, celebre certamente (licet: verbo impers: è lecito; quindi avverbio: “è possibile, probabilmente, con ogni probabilità”…) per la testimonianza/ammaestramento di un demone fallacissimo, ed inoltre (quoque) discuta(no) Arcesilao e Carneade e Pirrone e tutta la pletora degli Accademici, e anche (etiam) Simonide in perpetuo procrastini (=conperendinet) (la risposta ai suoi dubbi…: da bravo scettico!):
philosophorum supercilia contemnimus, quos corruptores et adulteros novimus et tyrannos et semper adversus sua vitia facundos.
noi non teniamo da conto le vanaglorie dei filosofi, che sappiamo (letter., abbiamo saputo, abbiamo conosciuto) corruttori ed adulteri e sempre facondi/chiaccheroni verso i loro vizi (cioè, sempre pronti a criticarli, ma solo a parole).
Nos, non habitu sapientiam sed mente praeferimus, non eloquimur magna sed vivimus, gloriamur nos consecutos quod illi summa intentione quaesiverunt nec invenire potuerunt.
Noi, non con l’immagine ma con lo spirito coltiviamo la sapienza, non proferiamo grandi verità ma viviamo, ci gloriamo di avere conseguito (=gloriamur nos consecutos (esse): ci gloriamo (+ infinitiva) del fatto che noi abbiamo conseguito) ciò che essi hanno ricercato con sommo sforzo né hanno potuto trovar(lo).
Quid ingrati sumus, quid nobis invidemus, si veritas divinitatis nostri temporis aetate maturuit? Fruamur bono nostro et recti sententiam temperemus: cohibeatur superstitio, impietas expietur, vera religio reservetur."
In cosa (Quid) siamo nemici, in che modo (quid) siamo avversi a noi stessi, se la verità di dio è emersa proprio ai nostri giorni (letter., nell’età del nostro tempo)? Fruiamo del nostro bene e coltiviamo il retto pensiero: sia rigettata la superstizione, sia espiata l’empietà, sia conservata la vera religione.
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