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Immagine del redattoreAdriano Torricelli

IL LADRO DI TESTAMENTI

Aggiornamento: 15 dic 2022

IL LADRO DI TESTAMENTI

(Plinio il Giovane, Epistulae, II - xx)

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In questa lettera, Plinio il Giovane racconta il raggiro sistematico operato da un cittadino di modesti mezzi di nome Regolo, ai danni di persone ricche (spesso malate e in punto di morte) da egli indotte a lasciargli in eredità parte dei propri averi…

Il racconto è divertente e si conclude con una, peraltro fiorita e ricercata, lamentazione (un classico della cultura romana…) sulla decadenza dei costumi e sul dilagare della corruzione (Ἀλλὰ τί διατείνομαι in ea civitate, in qua iam pridem non minora praemia, immo maiora nequitia et improbitas quam pudor et virtus habent?)

La lettera è senza dubbio alquanto gustosa, ma più che una sincera indignazione, mi pare, quel che vi emerge è il piacere di raccontare una storiella sapida condita con l’abilità di scrittore tipica di Plinio il Giovane.

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Testo latino:

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II - 20

C. PLINIUS CALCISIO SUO S.

1 Assem para et accipe auream fabulam, fabulas immo; nam me priorum nova admonuit, nec refert a qua potissimum incipiam. 2 Verania Pisonis graviter iacebat, huius dico Pisonis, quem Galba adoptavit. Ad hanc Regulus venit. Primum impudentiam hominis, qui venerit ad aegram, cuius marito inimicissimus, ipsi invisissimus fuerat! 3 Esto, si venit tantum; at ille etiam proximus toro sedit, quo die qua hora nata esset interrogavit. Ubi audiit, componit vultum intendit oculos movet labra, agitat digitos computat. Nihil. Ut diu miseram exspectatione suspendit, 'habes' inquit 'climactericum tempus sed evades. 4 Quod ut tibi magis liqueat, haruspicem consulam, quem sum frequenter expertus.' 5 Nec mora, sacrificium facit, affirmat exta cum siderum significatione congruere. Illa ut in periculo credula poscit codicillos, legatum Regulo scribit. Mox ingravescit, clamat moriens hominem nequam perfidum ac plus etiam quam periurum, qui sibi per salutem filii peierasset. 6 Facit hoc Regulus non minus scelerate quam frequenter, quod iram deorum, quos ipse cotidie fallit, in caput infelicis pueri detestatur.

7 Velleius Blaesus ille locuples consularis novissima valetudine conflictabatur: cupiebat mutare testamentum. Regulus qui speraret aliquid ex novis tabulis, quia nuper captare eum coeperat, medicos hortari rogare, quoquo modo spiritum homini prorogarent. 8 Postquam signatum est testamentum, mutat personam, vertit allocutionem isdemque medicis: 'Quousque miserum cruciatis? quid invidetis bona morte, cui dare vitam non potestis?' Moritur Blaesus et, tamquam omnia audisset, Regulo ne tantulum quidem.

9 Sufficiunt duae fabulae, an scholastica lege tertiam poscis? est unde fiat. 10 Aurelia ornata femina signatura testamentum sumpserat pulcherrimas tunicas. Regulus cum venisset ad signandum, 'Rogo' inquit 'has mihi leges.' 11 Aurelia ludere hominem putabat, ille serio instabat; ne multa, coegit mulierem aperire tabulas ac sibi tunicas quas erat induta legare; observavit scribentem, inspexit an scripsisset. Et Aurelia quidem vivit, ille tamen istud tamquam morituram coegit. Et hic hereditates, hic legata quasi mereatur accipit.

12 Ἀλλὰ τί διατείνομαι in ea civitate, in qua iam pridem non minora praemia, immo maiora nequitia et improbitas quam pudor et virtus habent? 13 Aspice Regulum, qui ex paupere et tenui ad tantas opes per flagitia processit, ut ipse mihi dixerit, cum consuleret quam cito sestertium sescentiens impleturus esset, invenisse se exta duplicia, quibus portendi miliens et ducentiens habiturum. 14 Et habebit, si modo ut coepit, aliena testamenta, quod est improbissimum genus falsi, ipsis quorum sunt illa dictaverit. Vale.

(https://www.thelatinlibrary.com/pliny.ep2.html?fbclid=IwAR1PjGfHNDswmb65jneOsbiAF8Yp-RZJRDjJm-Qp4jVduAX8YcMmEiWNcLw)

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Testo tradotto:

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Caro Calvisio,

tien pronta una moneta e ascolta una bella storia; delle storie, anzi, giacché l’ultima mi ha richiamato alla memoria le precedenti, e poco importa da quale di preferenza io cominci.

Verania, moglie di Pisone, intendo quel Pisone che fu adottato da Galba, giaceva gravemente ammalata. Regolo va a trovarla. Nota per prima cosa la sfacciataggine di costui, che visita una malata, essendo stato il peggior nemico di suo marito e detestato da lei stessa. E pazienza si fosse solo recato da lei, ma si è seduto accanto al letto, e le chiese in che giorno, in qual ora essa sia nata. Quando lo seppe, prende un’aria compunta, tiene gli occhi fissi, muove le labbra, agita le dita, conta; e poi tace. Dopo che a lungo ebbe tenuta in sospeso la povera donna: “Ti trovi – disse – nel tuo anno climaterico, ma la scamperai. E perché ti sia più evidente, consulterò un aruspice, che ho sperimentato varie volte.” Né indugia; fa un sacrificio e afferma che le interiora della vittima rispondono esattamente al presagio degli astri. Verania, credula come chi è in pericolo, domanda da scrivere e dispone un legato a favore di Regolo. Poi peggiora e morendo grida: “Essere malvagio, perfido e più che spergiuro”, perché aveva giurato sulla testa del proprio figlio. Regolo agisce in tal modo con non minore empietà che frequenza, attirando sul capo del povero giovane l’ira degli dei, di cui si fa beffe ogni giorno.

Velleio Bleso, il famoso ricchissimo ex Console, era in preda alla sua ultima malattia: aveva intenzione di modificare il proprio testamento. Regolo, che aveva sperato qualcosa dalle nuove disposizioni, perché aveva cominciato a fargli la posta, esorta i medici, li scongiura che in qualche modo prolunghino la vita di costui. Dopo che il nuovo testamento è firmato, cambia tono, muta discorso con gli stessi medici: “Fino a quando tormenterete il misero? Perché rifiutate una placida morte, a chi non potete dare la vita?” Bleso muore e, come se avesse udit ogni cosa, a Regolo non va nemmeno un quattrino.

Bastano queste due storielle, oppure, secondo la norma retorica, ne vuoi una terza? L’ho pronta. Aurelia, donna ragguardevole, per la firma del proprio testamento aveva indossato una bellissima veste. Regolo, essendo intervenuto alla cerimonia, disse: “Ti chiedo che tu me la lasci.” Aurelia riteneva che egli scherzasse, ma quello insisteva seriamente: in breve obbligò la donna a riaprire lo scritto e a lasciargli la veste che essa portava; la sorvegliava mentre scriveva, e volle vedere se l’avesse scritto. Aurelia però vive; egli la obbligò a ciò credendola prossima alla morte. Come se li meitasse, costui riceve eredità, riceve legati.

“Ma perché scaldarsi”, in un paese in cui da tempo la furberia e la disonestà ricevono ricompense non minori, anzi maggiori, dell’onore e del merito? Guarda Regolo: da povero e meschino qual era, è arrivato con le ribalderie a così grandi ricchezze che, come m’ha detto egli stesso, consultando gli dei con dei sacrifici per sapere quando sarebbe arrivato a mettere assieme sessanta milioni di sesterzi, aveva trovato delle interiora doppie, le quali presagivano che egli avrebbe raggiunto centoventi milioni. E li avrà, sol che, come ha cominciato, egli continui a dettare testamenti altrui agli stessi interessati: il che è il maggior genere di frode. Addio.

(Traduzione di Luigi Rusca)

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Testo spiegato:

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1 Assem para et accipe auream fabulam, fabulas immo; nam me priorum nova admonuit, nec refert a qua potissimum incipiam.

PREPARA UN ASSE/UN SOLDINO E PRENDI/ASCOLTA UNA FAVOLA AUREA/PREZIOSA, O PIUTTOSTO/ANZI DELLE FAVOLE/PIÙ DI UNA (fabulas immo); INFATTI L’ULTIMA (nova) MI HA RICORDATO (me admonuit) DELLE PRECEDENTI (priorum), NÉ IMPORTA DA QUALE (DI ESSE…) PARTICOLAMENTE/IN PARTICOLARE (potissimum) INIZIERÒ.

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2 Verania Pisonis graviter iacebat, huius dico Pisonis, quem Galba adoptavit. Ad hanc Regulus venit. Primum impudentiam hominis, qui venerit ad aegram, cuius marito inimicissimus, ipsi invisissimus fuerat!

VERANIA (MOGLIE…) DI PISONE GRAVEMENTE (AMMALATA…) GIACEVA/ERA COSTRETTA A LETTO, DICO DI QUEL PISONE CHE GALBA ADOTTÒ. DA ESSA REGOLO SI RECÒ. IN PRIMO LUOGO (Primum) (NOTA…) L’IMPUDENZA DI UN UOMO, CHE SI SIA RECATO/SI RECHI (venerit: si tratta di un congiuntivo perfetto, la cui funzione è astrarre dalla situazione concreta del racconto e spostare l’attenzione su una generale astratta, da cui valutare la prima) PRESSO UNA MALATA, COL MARITO DELLA QUALE ERA STATO (cuius marito fuerat) INIMICISSIMO/IN PESSIMI RAPPORTI, (E CHE…) A ESSA STESSA (ERA STATO…) INVISISSIMO/ODIOSISSIMO.

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3 Esto, si venit tantum; at ille etiam proximus toro sedit, quo die qua hora nata esset interrogavit. Ubi audiit, componit vultum intendit oculos movet labra, agitat digitos computat. Nihil. Ut diu miseram exspectatione suspendit, 'habes' inquit 'climactericum tempus sed evades.

SIA PURE/PASSI PURE (Esto: 3^ sing. imperativo di sum: sono; ha valore concessivo!), SE OSÒ TANTO (si venit tantum); MA EGLI INOLTRE (at ille etiam) VICINO AL LETTO SI SEDETTE, (E…) IN CHE GIORNO, IN CHE ORA FOSSE NATA (LA…) INTERROGÒ/LE CHIESE. QUANDO HA UDITO (LA RISPOSTA…), COMPONE/ATTEGGIA IL VOLTO, TENDE/STRABUZZA GLI OCCHI, MUOVE LE LABBRA, AGITA E DITA, CONTA. (POI) NULLA/POI SI FERMA. COME/DOPO CHE (Ut) A LUNGO LA MISERA TIENE SOSPESA IN ATTESA, “HAI/TI TROVI IN – DICE – UN PERIODO CLIMATERICO/CRITICO, MA (NE…) USCIRAI.

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4 Quod ut tibi magis liqueat, haruspicem consulam, quem sum frequenter expertus.'

LA QUAL COSA AFFINCHÈ (Quod ut) PIÙ (TI…) SIA LIMPIDA/SIA CHIARA (magis liqueat), CONSULTERÒ UN ARUSPICE, CHE SPESSO HO SPERIMENTATO/HO MESSO ALLA PROVA (sum expertus: perfetto di experior…: sperimentare, un verbo deponente!)

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5 Nec mora, sacrificium facit, affirmat exta cum siderum significatione congruere. Illa ut in periculo credula poscit codicillos, legatum Regulo scribit. Mox ingravescit, clamat moriens hominem nequam perfidum ac plus etiam quam periurum, qui sibi per salutem filii peierasset.

NÉ RIMANDA, COMPIE UN SACRIFICIO, AFFERMA CHE LE INTERIORA (exta) SONO CONGRUENTI CON IL SIGNIFICATO DEGLI ASTRI/CIÒ CHE DICONO GLI ASTRI. ELLA, IN QUANTO IN PERICOLO CREDULONA (ut in periculo credula), CHIEDE DELLE TAVOLETTE (poscit codicillos), SCRIVE/VI AGGIUNGE UN LASCITO A REGOLO. (MA…) IL MALE SI AGGRAVA, (E LEI…) MORENDO CHIAMA/DEFINISCE BRICCONE (nequam: aggett. indeclinabile), PERFIDO E INOLTRE PIÙ CHE SPERGIURO (ac plus etiam quam periurum) UN UOMO CHE/IL QUALE (hominem qui) AVESSE SPERGIURATO PER SÉ/A SUO VANTAGGIO (sibi peierasset) ATTRAVERSO/SULLA SALUTE/SALVEZZA DI (SUO…) FIGLIO (per salutem filii).

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6 Facit hoc Regulus non minus scelerate quam frequenter, quod iram deorum, quos ipse cotidie fallit, in caput infelicis pueri detestatur.

REGOLO COMPIE QUESTA COSA/IMPRESA [ovvero, quella di giurare sulla salute di suo figlio] NON MENO SCELLERATAMENTE CHE FREQUENTEMENTE (non minus scelerate quam frequenter), LA QUAL COSA (quod) ATTIRA L’IRA (detestatur iram) DEGLI DEI, CHE EGLI STESSO OGNI GIORNO (cotidie) INGANNA, SUL CAPO DELL’INFELICE RAGAZZO.

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7 Velleius Blaesus ille locuples consularis novissima valetudine conflictabatur: cupiebat mutare testamentum. Regulus qui speraret aliquid ex novis tabulis, quia nuper captare eum coeperat, medicos hortari rogare, quoquo modo spiritum homini prorogarent.

VELLEIO BLESO, QUEL RICCO CONSOLARE/EX CONSOLE, LOTTAVA CON UNA NUOVA MALATTIA: DESIDERAVA CAMBIARE IL (SUO…) TESTAMENTO. REGOLO, CHE SPERAVA QUALCOSA/CONFIDAVA IN QUALCHE VANTAGGIO (qui speraret aliquid; il congiuntivo imperfetto evidenzia il punto di vista soggettivo di Regolo!) DALLE NUOVE SCRITTURE, POICHÉ/DAL MOMENTO CHE DA POCO (quia nuper) AVEVA INIZIATO A CATTURARLO/AVVICINARSI A LUI (captare eum coeperat), (AVEVA INIZIATO ANCHE…, = coeperat etiam…) A ESORTARE I MEDICI (medicos hortari) (E…) A CHIEDERE (LORO…) CHE ALLUNGASSERO (rogare (ut…) prorogarent) LA VITA DELL’UOMO/DI QUELLO IN QUALSIASI MODO (quoquo modo).

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8 Postquam signatum est testamentum, mutat personam, vertit allocutionem isdemque medicis: 'Quousque miserum cruciatis? quid invidetis bona morte, cui dare vitam non potestis?' Moritur Blaesus et, tamquam omnia audisset, Regulo ne tantulum quidem.

DOPO CHE FU SCRITTO IL TESTAMENTO, MUTA PERSONA, (E…) RIVOLGE UNA FRASE/FA QUESTO DISCORSO (vertit allocutionem) AGLI STESSI DOTTORI: “FINO A QUANDO (Quousque) VOLETE TORMENTARE (cruciatis: 2^ pers. plur. di crucio,is…; il congiuntivo ha valore di volontà: voler fare) L’INFELICE? PERCHÉ (quid) AVETE IN ODIO UNA BUONA MORTE/NON ACCETTATE DI DARE UNA MORTE PACIFICA (invidetis bona morte) (A COLUI…, = eo…) AL QUALE (cui) NON POTETE DARE LA VITA (dare vitam non potestis)?” BLESO MUORE E, COME SE TUTTE LE COSE AVESSE UDITO (tamquam omnia audisset), A REGOLO (EGLI NON LASCIA…) NEMMENO (ne… quidem) QUALCOSINA (tantulum).

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9 Sufficiunt duae fabulae, an scholastica lege tertiam poscis? est unde fiat.

SONO ABBASTANZA DUE STORIELLE, O – SECONDO UNA LEGGE SCOLASTICA (scholastica lege) – CHIEDI UNA TERZA (tertiam poscis)? È (COSÌ…) (est), DUNQUE ACCADA/VADA COME VUOI (unde fiat).

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10 Aurelia ornata femina signatura testamentum sumpserat pulcherrimas tunicas. Regulus cum venisset ad signandum, 'Rogo' inquit 'has mihi leges.'

AURELIA, DONNA DI CLASSE (ornata), ANDANDO A FIRMARE (signatura: partic. futuro di signo,is…, con valore finale) IL TESTAMENTO, AVEVA INDOSSATO/INDOSSAVA UNA TUNICA (tunicas: nome plurale) BELLISSIMA. REGOLO, ESSENDO GIUNTO/POICHÉ SI ERA RECATO (cum venisset) AL FIRMARE/SUL LUOGO DELLA FIRMA (ad signandum), “(TI…) CHIEDO – DISSE – CHE MI INTESTI (Rogo (ut…) mihi leges) QUESTA (TUNICA…) (has).

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11 Aurelia ludere hominem putabat, ille serio instabat; ne multa, coegit mulierem aperire tabulas ac sibi tunicas quas erat induta legare; observavit scribentem, inspexit an scripsisset. Et Aurelia quidem vivit, ille tamen istud tamquam morituram coegit. Et hic hereditates, hic legata quasi mereatur accipit.

AURELIA CREDEVA CHE L’UOMO/EGLI SCHERZASSE (ludere hominem putabat), EGLI SERIMANTE STAVA LÌ/ERA INVECE SERIO (ille serio instabat); NÉ DOPO MOLTO TEMPO (ne multa), COSTRINGE LA DONNA AD APRIRE LE TAVOLE/IL TESTAMENTO SCRITTO E A INTESTARE A SÉ/LUI (sibi legare) LA TUNICA CHE AVEVA INDOSSATO (quas erat induta->perf. deponente di induo,is: indosso); (LA…) CONTROLLÒ SCRIVENTE/MENTRE SCRIVEVA ((eam…) scribentem), INSPEZIONÒ SE AVESSE SCRITTO. E AURELIA ANCORA VIVE, EGLI TUTTAVIA QUESTA COSA (LE…) IMPOSE (istud coegit), COME SE MORITURA/SUL PUNTO DI MORTE (tamquam morituram=tamquam moritura esset: sarebbe una forma sintaticamente più esatta!).

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12 Ἀλλὰ τί διατείνομαι in ea civitate, in qua iam pridem non minora praemia, immo maiora nequitia et improbitas quam pudor et virtus habent?

MA PERCHÉ (τί) MI TENDO/DOVREI TURBARMI (διατείνομαι) IN QUESTA CITTÀ, IN CUI ORAMAI DA TEMPO (iam pridem) PREMI NON MINORI, ANZI PERSINO (immo) MAGGIORI, HANNO/RICEVONO LA NEQUIZIA E LA DISONESTÀ CHE/RISPETTO AL PUDORE E ALLA VIRTÙ (nequitia et improbitas quam pudor et virtus habent)?

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13 Aspice Regulum, qui ex paupere et tenui ad tantas opes per flagitia processit, ut ipse mihi dixerit, cum consuleret quam cito sestertium sescentiens impleturus esset, invenisse se exta duplicia, quibus portendi miliens et ducentiens habiturum.

GUARDA REGOLO, CHE DA POVERO E DEBOLE/INSIGNIFICANTE è GIUNTO CON GLI INGANNI A TANTE RICCHEZZE (ad tantas opes), TANTO CHE (ut + congiuntivo, con valore consecutivo) EGLI STESSO MI ABBIA/HA RACCONTATO CHE (…ipse mihi dixerit + infinito), QUANDO CONSULTAVA (GLI DEI…) (cum consuleret) SU QUANTO IN FRETTA/IN QUANTO TEMPO (quam cito) STESSE PER ARRICCHIRSI (impleturus esset) DI SEICENTO SESTERZI (sestertium sescentiens->nota che i numeri sono indeclinabili, ma dipende dal genitivo sestertium), AVEVA TROVATO (se invenisse) DOPPIE INTERIORA (exta duplicia), PER LE QUALI/A CAUSA DELLE QUALI HO PREVISTO/PREVEDO (quibus portendi) (LUI…, = eum) STANTE PER AVERE/ESSERE SUL PUNTO DI AVERE (habiturum->partic. futuro di habeo) MILLE E DUECENTO (SESTERZI…) (miliens et ducentiens).

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14 Et habebit, si modo ut coepit, aliena testamenta, quod est improbissimum genus falsi, ipsis quorum sunt illa dictaverit. Vale.

E (LI…) AVRÀ, SE SOLO COME HA INIZIATO (si modo ut coepit), AVRÀ DETTATO/CONTINUERÀ A DETTARE (dictaverit) I TESTAMENTI ALTRUI/DEGLI ALTRI (aliena testamenta), LA QUAL COSA (quod) È UN DISONESTISSIMO TIPO DI FALSO/FALSITÀ (improbissimum genus falsi), A QUELLI DEI QUALI ESSI SONO (ipsis quorum illa sunt).

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