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Immagine del redattoreAdriano Torricelli

IL PASSAGGIO DALLA MONARCHIA ALLA REPUBBLICA A ROMA

IL PASSAGGIO DALLA MONARCHIA ALLA REPUBBLICA A ROMA

(Tito Livio, Ab Urbe Condita: II, 1)

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In questo brano, che introduce il secondo libro della sua storia di Roma, Livio fa delle considerazioni generali non tanto sulla Repubblica in sé, quanto piuttosto sulle ragioni e sulla modalità del passaggio ad essa dalla Monarchia.

Coerentemente con il suo stile celebrativo, egli non manca di elogiare i re del periodo precedente, seppure con l’eccezione dell’ultimo, definito a ragione “Superbo” e il quale, da solo, con i suoi comportamenti dispotici, avrebbe pienamente giustificato un tale passaggio istituzionale.

Gli altri re difatti, avrebbero secondo Livio avuto molti meriti, tra cui il fatto di aver edificato nuove parti di una città in costante e inarrestabile crescita (…a causa della crescita della sua popolazione), esercitando inoltre i propri poteri in modo severo ma giusto, impedendo così che una libertà immatura attribuita al popolo degenerasse in anarchia e violenza!

(Quid enim futurum fuit, si illa pastorum convenarumque plebs, transfuga ex suis populis, sub tutela inviolati templi aut libertatem aut certe impunitatem adepta, soluta regio metu agitari coepta esset tribuniciis procellis, et in aliena urbe cum patribus serere certamina, priusquam pignera coniugum ac liberorum caritasque ipsius soli, cui longo tempore adsuescitur, animos eorum consociasset? - Infatti cosa ne sarebbe stato di quel branco di pastori e di avventurieri se, fuggiti dai loro paesi per cercare libertà o impunità nel recinto inviolabile di un tempio, si fossero liberati della paura di un re e avessero cominciato a lasciarsi scombussolare dalla virulenza dei demagoghi e a scontrarsi verbalmente coi senatori di una città che non era la loro, prima che l'amore coniugale, l'amore paterno e l'attaccamento alla terra stessa (sentimento questo legato alla lunga consuetudine) non avessero unito le loro aspirazioni?)

Bruto del resto, colui cioè che aveva scacciato l’ultimo re divenendo poi il primo console di Roma, aveva conservato gran parte dei poteri in precedenza attribuiti ai re, seppure con la differenza sostanziale che la sua carica era una carica annuale, anziché una carica a tempo indeterminato. Così come, del resto, egli era rimasto per tutta la vita fedele al suo compito, prima di mallevadore della libertà, e in seguito di custode di essa. (…qui non acrior vindex libertatis fuerat quam deinde custos fuit.)

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Insomma, da questo brano emerge come, per Tito Livio, la monarchia, pur giustamente e inevitabilmente superata dalla Repubblica, fosse stata comunque un’esperienza positiva e necessaria per la storia di Roma.

Pur elogiando i caratteri di quest’ultima (Liberi iam hinc populi Romani res pace belloque gestas, annuos magistratus, imperiaque legum potentiora quam hominum peragam…), egli non rinnegava dunque affatto in se stessa (cioè per i suoi caratteri intrinseci) l’esperienza monarchica precedente, riconoscendo i meriti da essa avuti nello sviluppo della città e dello stato romani.

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Testo latino:

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[1] Liberi iam hinc populi Romani res pace belloque gestas, annuos magistratus, imperiaque legum potentiora quam hominum peragam. Quae libertas ut laetior esset proximi regis superbia fecerat. Nam priores ita regnarunt ut haud immerito omnes deinceps conditores partium certe urbis, quas novas ipsi sedes ab se auctae multitudinis addiderunt, numerentur; neque ambigitur quin Brutus idem qui tantum gloriae superbo exacto rege meruit pessimo publico id facturus fuerit, si libertatis immaturae cupidine priorum regum alicui regnum extorsisset. Quid enim futurum fuit, si illa pastorum convenarumque plebs, transfuga ex suis populis, sub tutela inviolati templi aut libertatem aut certe impunitatem adepta, soluta regio metu agitari coepta esset tribuniciis procellis, et in aliena urbe cum patribus serere certamina, priusquam pignera coniugum ac liberorum caritasque ipsius soli, cui longo tempore adsuescitur, animos eorum consociasset? Dissipatae res nondum adultae discordia forent, quas fovit tranquilla moderatio imperii eoque nutriendo perduxit ut bonam frugem libertatis maturis iam viribus ferre possent. Libertatis autem originem inde magis quia annuum imperium consulare factum est quam quod deminutum quicquam sit ex regia potestate numeres. Omnia iura, omnia insignia primi consules tenuere; id modo cautum est ne, si ambo fasces haberent, duplicatus terror videretur. Brutus prior, concedente collega, fasces habuit; qui non acrior vindex libertatis fuerat quam deinde custos fuit. Omnium primum avidum novae libertatis populum, ne postmodum flecti precibus aut donis regiis posset, iure iurando adegit neminem Romae passuros regnare. Deinde quo plus virium in senatu frequentia etiam ordinis faceret, caedibus regis deminutum patrum numerum primoribus equestris gradus lectis ad trecentorum summam explevit, traditumque inde fertur ut in senatum vocarentur qui patres quique conscripti essent; conscriptos videlicet novum senatum, appellabant lectos. Id mirum quantum profuit ad concordiam civitatis iungendosque patribus plebis animos.

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(http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus%3Atext%3A1999.02.0160%3Abook%3D2%3Achapter%3D1%3Asection%3D1&fbclid=IwAR3nuCrvfy9jLewEfLhmKEoRYb0RtEwOoieZQpbs_JniD884JwhwL4cMK_A)

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Traduzione libera:

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(1) La nuova libertà del popolo romano, le sue conquiste in campo militare e civile, le magistrature annuali e il rafforzamento della norma legale in relazione all'arbitrio dell'individuo: questi saranno di qui in poi i miei temi. Dopo l'autoritarismo tirannico dell'ultimo re, questa libertà fu salutata con ancora più entusiasmo. Infatti i suoi predecessori avevano esercitato il potere in maniera tale da poter essere a buon diritto considerati, uno dopo l'altro, i fondatori di almeno parti di Roma, cioè di quei quartieri nuovi aggiunti per far fronte alla crescita demografica che essi stessi avevano voluto.

E non c'è dubbio che addirittura Bruto, copertosi di gloria per l'espulsione del tirannico Tarquinio, avrebbe agito in modo dannosissimo per lo Stato, se il desiderio prematuro di libertà lo avesse trascinato a detronizzare qualcuno dei re precedenti.

Infatti cosa ne sarebbe stato di quel branco di pastori e di avventurieri se, fuggiti dai loro paesi per cercare libertà o impunità nel recinto inviolabile di un tempio, si fossero liberati della paura di un re e avessero cominciato a lasciarsi scombussolare dalla virulenza dei demagoghi e a scontrarsi verbalmente coi senatori di una città che non era la loro, prima che l'amore coniugale, l'amore paterno e l'attaccamento alla terra stessa (sentimento questo legato alla lunga consuetudine) non avessero unito le loro aspirazioni? Lo Stato, minato dalla discordia, non sarebbe riuscito a muovere nemmeno i primi passi. Invece l'atmosfera di serenità e moderazione che accompagnò la gestione del potere ne influenzò a tal punto la crescita che, una volta raggiunta la piena maturità delle sue forze, poté esprimere i frutti migliori della libertà.

E poi l'inizio della libertà risale a questa data non tanto perché il potere monarchico subì un qualche ridimensionamento, ma piuttosto perché fu stabilito che i consoli durassero in carica soltanto un anno. I primi a occupare questa magistratura mantennero tutte le attribuzioni e le insegne dei re, salvo che non ebbero contemporaneamente i fasci per non dare alla gente l'impressione di un terrore raddoppiato. Bruto, che col consenso del collega fu il primo ad averli, dimostrò di non essere meno attento nel preservare la libertà di quanto fosse stato determinato nel rivendicarla.

In questa direzione ecco quale fu il suo primo provvedimento: per evitare che il popolo, tutto preso dalla novità di essere libero, potesse in séguito lasciarsi convincere dalle suppliche allettanti della casa reale, lo costrinse a giurare che non avrebbe permesso più a nessuno di diventare re a Roma. Poi, per rinforzare il senato ridotto ai minimi termini dalle esecuzioni a catena pretese dall'ultimo re, ne portò il totale degli effettivi a trecento nominando senatori i personaggi più in vista dell'ordine equestre. Di lì pare che entrò nell'uso di convocare per le sedute del senato padri e coscritti (dove è chiaro che con questo termine si alludeva agli ultimi eletti). Il provvedimento giovò straordinariamente all'armonia cittadina e al riavvicinamento della plebe alla classe senatoriale.

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(http://www.deltacomweb.it/storiaromana/titolivio_storia_di_roma.pdf)

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Traduzione spiegata:

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[1] Liberi iam hinc populi Romani res pace belloque gestas, annuos magistratus, imperiaque legum potentiora quam hominum peragam. Quae, libertas ut laetior esset, proximi regis superbia fecerat.

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DA QUI LE IMPRESE IN PACE E IN GUERRA (hinc res gestas pace belloque) DEL POPOLO ROMANO ORMAI LIBERO (Liberi iam populi Romani), I MAGISTRATI ANNUALI, I POTERI/IL POTERE DELLE LEGGI PIÙ FORTE CHE (QUELLI/QUELLO…) DEGLI UOMINI (annuos magistratus, imperiaque legum potentiora quam hominum) NARRERÒ (peragam).

LE QUALI COSE (Quae), CHE LA LIBERTÀ FOSSE PIÙ GRADITA (ut libertas laetior esset; ut + cong. ha qui valore consecutivo, ovvero specifica il significato di “quae”…), LA SUPERBIA DEL RE PIÙ VICINO/DELL’ULTMO RE AVEVA FATTO/AVEVA RESO REALI (proximi regis superbia fecerat) //E QUESTA SITUAZIONE, CHE L’AMORE PER LA LIBERTÀ FOSSE TANTO CARO, ERA STATA FAVORITA DALLA SUPERBIA DELL’ULTIMO RE.

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Nam priores ita regnarunt ut haud immerito omnes deinceps conditores partium certe urbis, quas novas ipsi sedes ab se auctae multitudinis addiderunt, numerentur; neque ambigitur quin Brutus idem qui tantum gloriae superbo exacto rege meruit pessimo publico id facturus fuerit, si libertatis immaturae cupidine priorum regum alicui regnum extorsisset.

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INFATTI I PRECEDENTI (RE…) REGNARONO (Nam priores regnarunt) IN MODO CHE (ita… ut) NON IMMERITATAMENTE (haud immerito) DA ALLORA (deinceps) SIANO CONSIDERATI SENZA DUBBIO FONDATORI DI PARTI DELLA CITTÀ (omnes conditores partium certe urbis), LE QUALI ESSI AGGIUNSERO (quas ipsi addiderunt) COME SEDI DELLA MOLTITUDINE/PER IL POPOLO (novas sedes multitudinis) DA SÉ ACCRESCIUTE/PER LORO INIZIATIVA (ab se auctae);

NÉ È AMIBIGUO/SI PUÒ DISCUTERE CHE (neque ambigitur quin) LO STESSO BRUTO, CHE TANTO MERITÒ DI GLORIA/CHE TANTA GLORIA SI GUADAGNÒ (Brutus idem qui tantum gloriae meruit), ESSENDO STATO CACIATO UN RE SUOPERBO/PER AVER CACCIATO UN RE SUPERBO (superbo exacto rege), CIÒ AVREBBE FATTO/AVREBBE CANCELLATO LA MONARCHIA (id facturus fuerit) CON UN PESSIMO PUBBLICO/SENZA SUCCESSO PRESSO LA GENTE (pessimo publico), SE PER IL DESIDERIO DI UNA LIBERTÀ (ANCORA…) IMMATURA (si libertatis immaturae cupidine) AVESSE ESTORTO/CANCELLATO IL REGNO DI QUALCUNO DEI SOVRANI PRECEDENTI (priorum regum alicui regnum extorsisset).

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Quid enim futurum fuit, si illa pastorum convenarumque plebs, transfuga ex suis populis, sub tutela inviolati templi aut libertatem aut certe impunitatem adepta, soluta regio metu agitari coepta esset tribuniciis procellis, et in aliena urbe cum patribus serere certamina, priusquam pignera coniugum ac liberorum caritasque ipsius soli, cui longo tempore adsuescitur, animos eorum consociasset?

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COSA INFATTI (Quid enim) ERA IN FUTURO/SAREBBE ACCADUTO (futurum fuit), SE QUELLA PLEBE DI PASTORI E DI FORESTIERI, TRANSUGA (INTENDI: LA MOLTITUDINE DEI FORESTIERI…) DAI SUOI POPOLI/DALLE SUE GENTI (si illa pastorum convenarumque plebs, transfuga ex suis populis), CHE AVEVA OTTENUTO O LA LIBERTÀ O CERTAMENTE/ALMENO L’IMPUNITÀ (aut libertatem aut certe impunitatem adepta->partic. perfetto omin. Femm. sing. di adipiscor,eris, adeptus sum, eri: ottengo) SOTTO LA TUTELA DI UNO SPAZIO INVIOLATO (INTENDI: DEL TERRITORIO ROMANO…) (sub tutela inviolati templi), SCIOLTA/LIBERATA DALLA PAURA REGIA/DEL RE (soluta regio metu) FOSSE STATA SPINTA A AGITARSI DAI DIBATTITI TRIBUNIZI/DEI TRIBUNI (agitari coepta esset tribuniciis procellis), E (FOSSE STATA INDOTTA A…) INTESSERE DEI DIBATTITI IN UNA CITTÀ (A SÉ…) ALIENA COI PADRI/NOBILI (et in aliena urbe cum patribus serere certamina), PRIMA CHE I PEGNI/LA RICCHEZZA DEI CONIUGI E DEI FIGLI (priusquam pignera coniugum ac liberorum) E L’AMORE DI/PER LO STESSO SUOLO/TERRITORIO A CUI DA LUNGO TEMPO È ABITUATA/SI È LEGATA (INTENDI: LA TERRA SU CUI VIVE) (caritasque ipsius soli, cui longo tempore adsuescitur->3^ sing. indic. passivo presente da assuesco,is…: abituo), AVESSE CONSOCIATO I LORO ANIMI/LI AVESSE PORTATI A SVULUPPARE UNO SPIRITO DI CORPO (animos eorum consociasset)?

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Dissipatae res nondum adultae discordia forent, quas fovit tranquilla moderatio imperii eoque nutriendo perduxit ut bonam frugem libertatis maturis iam viribus ferre possent. Libertatis autem originem inde magis quia annuum imperium consulare factum est quam quod deminutum quicquam sit ex regia potestate numeres.

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DELLE COSE/CONDIZIONI DISORDINATE (E…) NON ANCORA MATURE (Dissipatae res nondum adultae) PORTEREBBERO ALLA DISCORDIA (discordia forent), LE QUALI/ED ESSE LA TRANQUILLA MODERAZIONE DEL POTERE/UNA GESTIONE MODERATA DEL POTERE (quas tranquilla moderatio imperii) MANTENNE TRANQUILLE (fovit) E, QUESTO/LO STATO ROMANO (ESSENDO…) DA NUTRIRE (eoque nutriendo: ablativo assoluto), (ESSA…) FECE IN MODO CHE (perduxit ut) POTESSERO PORTARE IL FRUTTO MATURO DELLA LIBERTÀ (bonam frugem libertatis ferre possent) ESSENDO ORAMAI MATURE LE FORZE/LE CONDIZIONI (DI ESSO…) (maturis iam viribus: ablativo assoluto).

MA L’ORIGINE DELLA LIBERTÀ DOVRESTI ENUMERARLA/VEDERLA (Libertatis autem originem numeres) ALLORA (inde) PIÙ PERCHÉ/NEL FATTO CHE (magis quia) IL POTERE CONSOLARE FU FATTO ANNUO/DI UN ANNO (annuum imperium consulare factum est) PIUTTOSTO CHE PERCHÉ/NEL FATTO CHE (quam quod) QUALCOSA FU DIMINUITO DELLA POTESTÀ REGIA (quod deminutum quicquam sit ex regia potestate).

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Omnia iura, omnia insignia primi consules tenuere; id modo cautum est ne, si ambo fasces haberent, duplicatus terror videretur. Brutus prior, concedente collega, fasces habuit; qui non acrior vindex libertatis fuerat quam deinde custos fuit.

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TUTTI I POTERI LEGISLATIVI, TUTTE LE INSEGNE DEL POTERE TENNERO/MANTENNERO I PRIMI CONSOLI (Omnia iura, omnia insignia primi consules tenuere); QUESTA COSA SOLAMENTE FU TEMUTA/SCONGIURATA (id modo cautum est->partic. perf. passivo di caveo,es…: temere, scongiurare): CHE APPARISSE/VI FOSSE UN DUPLICE PERICOLO (ne duplicatus terror videretur), SE/QUALORA ENTRAMBI (I CONSOLI…) AVESSERO I FASCI (si ambo fasces haberent).

BRUTO PRIMO/PIÙ RAGGUARDEVOLE (Brutus prior), CONCEDENDO(LO) IL COLLEGA (concedente collega), EBBE (DA SOLO…) I FASCI (fasces habuit); IL QUALE/ED EGLI NON ERA STATO PIÙ DECISO DIFENSORE DELLA LIBERTÀ (qui non acrior vindex libertatis fuerat) DI QUANTO DA ALLORA (quam deinde) FU (DI ESSA…) CUSTODE (custos fuit).

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Omnium primum avidum novae libertatis populum, ne postmodum flecti precibus aut donis regiis posset, iure iurando adegit neminem Romae passuros regnare.

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DI TUTTI/FRA TUTTI PER PRIMO IL POPOLO (Omnium primum populum), AVIDO/DESIDEROSO DELLA NUOVA LIBERTÀ (avidum novae libertatis), (BRUTO…) COSTRINSE (adegit) COL GIURARE SECONDO LA LEGGE/A GIURARE SOLENNEMENTE (iure iurando: cioè, “col giurare (iurado) secondo legge (iure)”) CHE NESSUNO A ROMA (neminem Romae) GOVERNERÀ/AVREBBE GOVERNATO COLORO CHE VERRANNO DOPO (regnare passuros->partic. futuro di patior,pateris, passus sum, pateri:soffro; vivo), AFFINCHÉ NON POTESSE ESSERE PIEGATO/CONVINTO (IN SENSO CONTRARIO…) (ne flecti posset) CON PREGHIERE O DONI REGI/DA PARTE DEI RE (precibus aut donis regiis) DA LÌ IN AVANTI (postmodum).

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Deinde quo plus virium in senatu frequentia etiam ordinis faceret, caedibus regis deminutum patrum numerum primoribus equestris gradus lectis ad trecentorum summam explevit, traditumque inde fertur ut in senatum vocarentur qui patres quique conscripti essent; conscriptos videlicet novum senatum, appellabant lectos.

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QUINDI (Deinde) AFFINCHÉ (quo=ut) ANCHE LA NUMEROSITÀ/IL NUMERO DELL’ORDINE/DEL GRUPPO IN SENATO (etiam frequentia ordinis in senatu) FACESSE/DETERMINASSE UNA MAGGIORE QUANTITÀ DI FORZE (plus virium faceret)//QUINDI, PER RAFFORZARE IL SENATO CON UN MAGGIOR NUMERO DI SENATORI (Deinde quo plus virium in senatu frequentia etiam ordinis faceret), IL NUMERO DEI PADRI/SENATORI DIMINUITO DAI DELITTI REGI/DEI RE (caedibus regis deminutum patrum numerum) INGRANDÌ FINO A UNA SOMMA DI TRECENTO (ad trecentorum summam explevit) COI PRIMI ELETTI (primoribus lectis) DEL/AL GRADO EQUESTRE (equestris gradus), E QUINDI (…-que[=et] inde) È RIPORTATA LA TRADIZIONE (traditum fertur) CHE FURONO CHIAMATI IN SENATO (ut in senatum vocarentur; ut è qui con valore consecutivo) COLORO CHE CHIUNQUE (FOSSERO…)/TUTTI COLORO CHE (qui patres quique) FOSSERO STATI COSCRITTI/CHIAMATI INSIEME (IN SENATO…) (conscripti essent); “COSCRITTI” (I ROMANI…) CHIAMAVANO GLI ELETTI (conscriptos appellabant lectos), OVVERO/CHE SIGNIFICA (videlicet) IL NUOVO SENATO (novum senatum).

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Id mirum quantum profuit ad concordiam civitatis iungendosque patribus plebis animos.

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QUESTA COSA (È…) MIRABILE (Id mirum): QUANTO GIOVÒ ALLA CONCORDIA DELLA CITTÀ (quantum profuit ad concordiam civitatis) E (AGLI…) ANIMI DELLA PLEBE (…-que[=et] (ad…) plebis animos) DA CONGIUNGERE/FAR SOLIDARIZZARE CON I PADRI/CON I NOBILI (iungendos(-que) patribus).

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