IL VERO SOCRATE, SECONDO TERTULLIANO
(Tertulliano, De anima: 1,1-4)
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In questo brano del De anima di Tertulliano (uno dei primi e più importanti padri della Chiesa cristiana occidentale del II sec.), assistiamo alla “distruzione morale” della figura di Socrate, ovvero di quello che potremmo definire uno dei pilastri più importanti, se non il più importante, della cultura classica antica.
In che modo Tertulliano distrugge, ovvero - per essere più esatti - ridimensiona la figura di Socrate? Rievocando quello che potremmo definire uno dei momenti più noti e iconici della sua vita, quello dell’eroica e serena accettazione della morte in carcere, in seguito alla condanna del tribunale di Atene per l’accusa di empietà rivoltagli da Meleto e Anito.
Tertulliano difatti, portando avanti una polemica impensabile per il mondo classico ma molto comprensibile per quello cristiano (specie per quello dei primi secoli, che viveva una radicale contrapposizione con la cultura romana ufficiale, dalle cui istituzioni era peraltro perseguitato), avanza il sospetto, fondato sull’osservazione della psicologia umana, che Socrate in realtà, dietro la sua proverbiale impassibilità, nascondesse sentimenti umani molto comuni di paura per la propria morte imminente, e soprattutto di orgoglio e rivalsa verso i suoi avversari e accusatori (Quid autem aliud saperet uir quilibet iniuria damnatus praeter iniuriae solamen, nedum philosophus, gloriae animal, cui nec consolanda est iniuria, sed potius insultanda?).
In realtà quindi, dietro l’immagine di un Socrate perfettamente controllato e razionale, si celerebbe un Socrate turbato, ma occupato con tutte le sue forze a nascondere il proprio turbamento (...in hoc tamen mota, ne moueretur, ipsa constantia concussa est aduersus inconstantiae concussionem)!
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Tertulliano peraltro, non solo non crede all’immagine idealizzata di un Socrate filosofo totalmente impassibile di fronte alle miserie della vita, ma più in generale (da vero cristiano) prende le distanze da un visione puramente razionale e razionalistica dell’anima, quale quella proposta dalla tradizione di pensiero platonica, e greca in generale.
Il discorso su Socrate quindi, costituisce solo l’introduzione a un discorso molto più vasto sulla natura dell’anima in generale, portato avanti in questo scritto tertullianeo.
Se i Greci difatti, tendevano a contrapporre Materia e Spirito, laddove nella loro visione la prima era all’origine di ogni forma di irrazionalità e confusione, come l’altra lo era di ogni sapere e atteggiamento razionale e “morale”, per i Cristiani invece l’anima umana non aveva la sua più profonda essenza nella ragione (che pure, assieme ai sentimenti, morali e non, ne era parte centrale), bensì nel libero arbitrio. Solo la libera scelta infatti, determina se un individuo seguirà la strada del Bene (moralità, santità...) o quella del Male (peccato).
Se per i Greci dunque, il male risiede nella predominanza della Materia (ovvero, per l’uomo, del corpo) sullo Spirito (anima razionale umana), per i Cristiani invece Male e Bene sono due possibilità insite nell’anima stessa, cui spetta il compito di scegliere liberamente quale delle due strade seguire (si parla infatti di razionalismo etico greco contrapposto al volontarismo etico cristiano!)
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Ma perché dunque, secondo Tertulliano, Socrate avrebbe scelto il peccato (nella forma, come si sarà capito, dell’orgoglio), anziché, come tutti tendono a credere, il bene e la giustizia?
La risposta di Tertulliano a questa domanda punta il dito non più su Socrate uomo, ma sui limiti stessi della cultura classica. Socrate infatti, ha fatto ciò che ha fatto semplicemente perché non conosceva, né poteva conoscere, il vero Dio, la vera giustizia, ecc. e ciò perché alla conoscenza di essi si giunge solo attraverso Cristo, guidati dallo Spirito Santo (Cui enim ueritas comperta sine deo? Cui deus cognitus sine Christo? Cui Christus exploratus sine spiritu sancto? Cui spiritus sanctus accommodatus sine fidei sacramento?).
Non fu insomma propriamente colpa di Socrate se agì come agì, dal momento che egli non poteva conoscere quella verità che invece, in quel tragico momento fingeva, per orgoglio, di conoscere…. (Adeo omnis illa tunc sapientia Socratis de industria uenerat consultae aequanimitatis, non de fiducia compertae ueritatis.)
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Testo latino:
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I. [1] De solo censu animae congressus Hermogeni, quatenus et istum ex materiae potius suggestu quam ex dei flatu constitisse praesumpsit, nunc ad reliquas conuersus quaestiones plurimum uidebor cum philosophis dimicaturus. [2] Etiam in carcere Socratis de animae statu uelitatum est, nescio iam hoc primum, an oportuno in tempore magistri, etsi nihil de loco interest. Quid enim liquido saperet anima tunc Socratis, iam sacro nauigio regresso, iam cicutis damnationis exhaustis, iam morte praesente utique consternata ad aliquem motum secundum naturam, aut exsternata, si non secundum naturam? Quamuis enim placida atque tranquilla, quam nec coniugis fletus statim uiduae nec liberorum conspectus exinde pupillorum lege pietatis inflexerat, uel in hoc tamen mota, ne moueretur, ipsa constantia concussa est aduersus inconstantiae concussionem. Quid autem aliud saperet uir quilibet iniuria damnatus praeter iniuriae solamen, nedum philosophus, gloriae animal, cui nec consolanda est iniuria, sed potius insultanda? [3] Denique post sententiam obuiae coniugi et muliebriter inclamanti: 'iniuste damnatus es, Socrates!' iam et de gratulatione responderat: 'uolebas autem iuste?' Quo nihil mirandum, si et in carcere inuiscatas Anyti et Meliti palmas gestiens infringere ipsa morte coram immortalitatem uindicat animae necessaria praesumptione ad iniuriae frustrationem. [4] Adeo omnis illa tunc sapientia Socratis de industria uenerat consultae aequanimitatis, non de fiducia compertae ueritatis. Cui enim ueritas comperta sine deo? Cui deus cognitus sine Christo? Cui Christus exploratus sine spiritu sancto? Cui spiritus sanctus accommodatus sine fidei sacramento? Sane Socrates facilius diuerso spiritu agebatur, siquidem aiunt daemonium illi a puero adhaesisse, pessimum reuera paedagogum, etsi post deos et cum deis daemonia deputantur penes poetas et philosophos.
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Testo tradotto:
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I. 1. Dopo aver polemizzato con Ermogene unicamente sull’origine dell’anima, dal momento che costui pensò che questa abbia avuto origine più da una somministrazione di materia che non dal soffio di Dio, poiché ora mi sono rivolto alle questioni rimanenti, sembrerà che mi prepari a polemizzare con i filosofi in modo assai esteso.
2. Anche nella prigione di Socrate si è discusso sulla natura dell’anima, ma innanzitutto, se pure il luogo non ha importanza, non so se la discussione sia avvenuta in un momento opportuno per il maestro. Che cosa infatti avrebbe potuto intendere con sicurezza l’anima di Socrate in quel momento, quando ormai la nave sacra era tornata, quando ormai la cicuta della sua condanna era stata bevuta, quando ormai la morte era imminente; che cosa avrebbe potuto capire quest’anima certamente spinta verso qualche passione naturale, o fuori di sé spinta verso qualche passione innaturale? Infatti, per quanto calma e tranquilla, la sua anima che né il pianto della moglie di lì a poco vedova, né la vista dei figli di lì a poco orfani avevano mosso a pietà, oppure, proprio perché impegnata nel tentativo di non essere commossa, fu messa a dura prova dalla sua stessa fermezza contro la tentazione del cedimento. Del resto una persona qualunque condannata ingiustamente che cosa avrebbe potuto intendere oltre al conforto per l’ingiustizia subita? E ancor meno un filosofo, essere interessato alla gloria, per il quale l’ingiustizia subita non va consolata, ma deve essere irrisa.
3. Per esempio dopo la sentenza, alla moglie che gli si faceva incontro e che, com’è proprio delle donne, gridava “Socrate, seo stato condannato ingiustamente!”, subito e con piacere aveva risposto: “Volevi forse che lo fossi stato giustamente?”. Pertanto non dobbiamo assolutamente meravigliarci se, poiché desiderava ancora in carcere abbattere le vischiose palme della vittoria di Anito e Meleto, pubblicamente rivendicasse, con la necessaria presunzione, l’immortalità dell’anima al fine di vanificare l’ingiustizia subita.
4. Così, tutta quella sapienza di Socrate era il frutto di un proposito di simulare impassibilità, e non della convinzione di aver trovato la verità. Chi infatti ha trovato la verità senza l’aiuto di Dio? Chi ha conosciuto Dio senza Cristo? E chi ha esplorato Cristo senza lo Spirito Santo? E chi ha ricevuto lo Spirito Santo senza il sacramento della fede? Presumibilmente Socrate era spinto piuttosto da uno spirito estraneo, dal momento che dicono che sin da bambino sia entrato in lui un demone, pessimo pedagogo in veritò, quantunque presso i poeti e i filosofi i demoni siano collocati in ordine di importanza con gli dei o molto vicini a essi.
(Traduzione di Martino Menghi)
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Testo spiegato:
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I. [1] De solo censu animae congressus Hermogeni, quatenus et istum ex materiae potius suggestu quam ex dei flatu constitisse praesumpsit, nunc ad reliquas conuersus quaestiones plurimum uidebor cum philosophis dimicaturus.
1.1. Dopo essermi scontrato con Ermogene in merito alla sola natura dell’anima (De solo censu animae congressus Hermogeni), poiché (egli…) presumette/affermò anche questa essere costituita dal presupposto della materia (quatenus praesumpsit et istum constitisse ex materiae suggestu) piuttosto che dal fiato di Dio (potius quam ex dei flatu), essendomi rivolto adesso alle altre questioni (nunc ad reliquas conuersus quaestiones) con massimo impegno apparirò impegnato a scontrarmi coi filosofi (plurimum uidebor cum philosophis dimicaturus).
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[2] Etiam in carcere Socratis de animae statu uelitatum est, nescio iam hoc primum, an oportuno in tempore magistri, etsi nihil de loco interest.
2. Anche nel carcere di Socrate si è litigato sulla natura dell’anima (Etiam in carcere Socratis de animae statu uelitatum est), non so (però…) davvero in primo luogo questa cosa (nescio iam hoc primum), se in un momento opportuno (della vita…) del maestro (an oportuno in tempore magistri), anche se per nulla il luogo interessa/è importante (etsi nihil de loco interest).
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Quid enim liquido saperet anima tunc Socratis, iam sacro nauigio regresso, iam cicutis damnationis exhaustis, iam morte praesente utique consternata ad aliquem motum secundum naturam, aut exsternata, si non secundum naturam?
Cosa infatti chiaramente avrebbe saputo/avrebbe potuto sapere l’anima di Socrate allora (Quid enim liquido saperet anima tunc Socratis), essendo già/oramai ritornato il sacro naviglio, essendo oramai stata tirata fuori la cicuta della condanna, essendo oramai la morte incombente (iam sacro nauigio regresso, iam cicutis damnationis exhaustis, iam morte praesente), chiaramente esasperata/spinta verso un qualche moto/inquietudine secondo natura (utique consternata ad aliquem motum secundum naturam; “consternata”: riferito a “anima”), oppure, se non (esasperata…) secondo natura, imbazzirrita/impazzita aut exsternata, si non secundum naturam (aut exsternata, si non secundum naturam)?
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Quamuis enim placida atque tranquilla, quam nec coniugis fletus statim uiduae nec liberorum conspectus exinde pupillorum lege pietatis inflexerat, uel in hoc tamen mota, ne moueretur, ipsa constantia concussa est aduersus inconstantiae concussionem.
Per quanto infatti placida e tranquilla (Quamuis enim placida atque tranquilla; “placida e tranquilla si riferiscono a “constantia”, al termine del periodo), la quale (intendi: la costanza) né il pianto della coniuge improvvisamente vedova (quam nec coniugis fletus statim uiduae) né la vicinanza dei figli da allora in poi orfani per legge (nec liberorum conspectus exinde pupillorum lege) avevano piegato a pietà (pietatis inflexerat), quantomeno a questa cosa mossa/spinta (uel in hoc tamen mota): che non fosse mossa/il tentativo di restare impassibile (ne moueretur), quella stessa costanza/fermezza d’animo era spinta contro la spinta/l’impulso dell’incostanza/della disperazione (ipsa constantia concussa est aduersus inconstantiae concussionem).
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Quid autem aliud saperet uir quilibet iniuria damnatus praeter iniuriae solamen, nedum philosophus, gloriae animal, cui nec consolanda est iniuria, sed potius insultanda?
Cos’altro saprebbe/potrebbe sapere un uomo (Quid autem aliud saperet uir) condannato a qualsivoglia pena (quilibet iniuria damnatus) di fronte alla consolazione della pena/alla ricerca di una consolazione della pena stessa (praeter iniuriae solamen), seppure filosofo, animale di gloria/eccellenza umana (nedum philosophus, gloriae animal), per il quale la pena nemmeno deve essere consolata/attenuata (cui nec consolanda est iniuria), bensì piuttosto insultata/sfidata (sed potius insultanda)?
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[3] Denique post sententiam obuiae coniugi et muliebriter inclamanti: 'iniuste damnatus es, Socrates!' iam et de gratulatione responderat: 'uolebas autem iuste?'
E inoltre dopo la sentenza alla coniuge/moglie che gli andava incontro (Denique post sententiam obuiae coniugi) e muliebremente/donnescamente esclamava (et muliebriter inclamanti): “sei stato condannato ingiustamente, Socrate! (iniuste damnatus es, Socrates)” subito e per scherno aveva risposto (iam et de gratulatione responderat): “Ma volevi (che lo fossi…) giustamente (uolebas autem iuste)?”
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Quo nihil mirandum, si et in carcere inuiscatas Anyti et Meliti palmas gestiens infringere ipsa morte coram immortalitatem uindicat animae necessaria praesumptione ad iniuriae frustrationem.
Nella qual cosa nulla deve essere guardato con stupore/nulla deve stupire (Quo nihil mirandum), se anche in carcere (si et in carcere) (egli…) rivendica/affermava gioendo di infrangere/avere infranto e palme inviscate/le palme della vittoria di Meleto e Anito (inuiscatas Anyti et Meliti palmas gestiens infringere vindicat) con la necessaria presunzione di un’anima (animae necessaria praesumptione) per la morte di fronte all’immortalità/per la prospettiva dell’immortalità che sconfigge la morte (ipsa morte coram immortalitatem) contro la frustrazione della condanna/lottando contro la frustrazione della condanna (ad iniuriae frustrationem).
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[4] Adeo omnis illa tunc sapientia Socratis de industria uenerat consultae aequanimitatis, non de fiducia compertae ueritatis.
Dunque allora tutta quella “sapienza” di Socrate era venuta/proveniva (Adeo omnis illa tunc sapientia Socratis uenerat) dall’industria/dall’impegno di/per un’equanimità decisa a tavolino (de industria consultae aequanimitatis), non dalla fiducia di/in una verità conosciuta/davvero scoperta (non de fiducia compertae ueritatis).
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Cui enim ueritas comperta sine deo? Cui deus cognitus sine Christo? Cui Christus exploratus sine spiritu sancto? Cui spiritus sanctus accommodatus sine fidei sacramento?
A chi la verità (è stata...) svelata senza Dio (Cui enim ueritas comperta sine deo)? Da chi Dio (è stato…) conosciuto senza Cristo (Cui deus cognitus sine Christo)? Da chi (è stato…) esplorato/conosciuto Cristo senza lo Spirito Santo (Cui Christus exploratus sine spiritu sancto)? A chi lo Spirito Santo (è stato…) rivelato senza il sacramento della fede (Cui spiritus sanctus accommodatus sine fidei sacramento)?
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Sane Socrates facilius diuerso spiritu agebatur, siquidem aiunt daemonium illi a puero adhaesisse, pessimum reuera paedagogum, etsi post deos et cum deis daemonia deputantur penes poetas et philosophos.
Chiaramente Socrate più facilmente/più probabilmente era mosso/guidato da uno spirito diverso (dallo Spirito Santo…) (Sane Socrates facilius diuerso spiritu agebatur), se è vero quel che/come (siquidem) dicono che un demone gli fosse vicino (sin…) da quello ragazzo/sin da che era un ragazzino (aiunt daemonium illi a puero adhaesisse), in realtà pessimo pedagogo/educatore/guida (pessimum reuera paedagogum), anche se i demoni sono stimati dopo gli dei e con gli dei/subito dopo gli dei e al pari di essi presso poeti e filosofi (etsi post deos et cum deis daemonia deputantur penes poetas et philosophos).
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