L’ASSASSIONIO DI CESARE (DA PLUTARCO, “VITA DI CESARE”; 65-66)
TESTO GRECO
[65.1] Ἀρτεμίδωρος δὲ Κνίδιος τὸ γένος, Ἑλληνικῶν λόγων σοφιστὴς καὶ διὰ τοῦτο γεγονὼς ἐνίοις συνήθης τῶν περὶ Βροῦτον, ὥστε καὶ γνῶναι τὰ πλεῖστα τῶν πραττομένων, ἧκε μὲν ἐν βιβλιδίῳ κομίζων ἅπερ ἔμελλε μηνύειν, ὁρῶν δὲ τὸν Καίσαρα τῶν βιβλιδίων ἕκαστον δεχόμενον καὶ παραδιδόντα τοῖς περὶ αὐτὸν ὑπηρέταις, ἐγγὺς σφόδρα προσελθών, ‘τοῦτο,’ ἔφη, ‘Καῖσαρ, ἀνάγνωθι μόνος καὶ ταχέως: γέγραπται γὰρ ὑπὲρ πραγμάτων μεγάλων καὶ σοὶ διαφερόντων.’ [65.2] δεξάμενος οὖν ὁ Καῖσαρ ἀναγνῶναι μὲν ὑπὸ πλήθους τῶν ἐντυγχανόντων ἐκωλύθη, καίπερ ὁρμήσας πολλάκις, ἐν δὲ τῇ χειρὶ κατέχων καὶ φυλάττων μόνον ἐκεῖνο παρῆλθεν εἰς τὴν σύγκλητον ἔνιοι δέ φασιν ἄλλον ἐπιδοῦναι τὸ βιβλίον τοῦτο, τὸν δ᾽ Ἀρτεμίδωρον οὐδὲ ὅλως προσελθεῖν, ἀλλ᾽ ἐκθλιβῆναι παρὰ πᾶσαν τὴν ὁδόν. [66.1] ἀλλὰ ταῦτα μὲν ἤδη που φέρει καὶ τὸ αὐτόματον: ὁ δὲ δεξάμενος τὸν φόνον ἐκεῖνον καὶ τὸν ἀγῶνα χῶρος, εἰς ὃν ἡ σύγκλητος ἠθροίσθη τότε, Πομπηΐου μὲν εἰκόνα κειμένην ἔχων, Πομπηΐου δὲ ἀνάθημα γεγονὼς τῶν [p. 596] προσκεκοσμημένων τῷ θεάτρῳ, παντάπασιν ἀπέφαινε δαίμονός τινος ὑφηγουμένου καὶ καλοῦντος ἐκεῖ τὴν πρᾶξιν ἔργον γεγονέναι. [66.2] καὶ γὰρ οὖν καὶ λέγεται Κάσσιος εἰς τὸν ἀνδριάντα τοῦ Πομπηΐου πρὸ τῆς ἐγχειρήσεως ἀποβλέπων ἐπικαλεῖσθαι σιωπῇ, καίπερ οὐκ ἀλλότριος ὢν τῶν Ἐπικούρου λόγων· ἀλλ᾽ ὁ καιρὸς, ὡς ἔοικεν, ἤδη τοῦ δεινοῦ παρεστῶτος ἐνθουσιασμὸν ἐνεποίει καὶ πάθος ἀντὶ τῶν προτέρων λογισμῶν. [66.3] Ἀντώνιον μὲν οὖν πιστὸν ὄντα Καίσαρι καὶ ῥωμαλέον ἔξω παρακατεῖχε Βροῦτος Ἀλβῖνος, ἐμβαλὼν ἐπίτηδες ὁμιλίαν μῆκος ἔχουσαν: εἰσιόντος δὲ Καίσαρος ἡ βουλὴ μὲν ὑπεξανέστη θεραπεύουσα, τῶν δὲ περὶ Βροῦτον οἱ μὲν ἐξόπισθεν τὸν δίφρον αὐτοῦ περιέστησαν, οἱ δὲ ἀπήντησαν, ὡς δὴ Τιλλίῳ Κίμβρῳ περὶ ἀδελφοῦ φυγάδος ἐντυχάνοντι συνδεησόμενοι, καὶ συνεδέοντο μέχρι τοῦ δίφρου παρακολουθοῦντες. [66.4] ὡς δὲ καθίσας διεκρούετο τὰς δεήσεις καὶ προσκειμένων βιαιότερον ἠγανάκτει πρὸς ἕκαστον, ὁ μὲν Τίλλιος τὴν τήβεννον αὐτοῦ ταῖς χερσὶν ἀμφοτέραις συλλαβὼν ἀπὸ τοῦ τραχήλου κατῆγεν, ὅπερ ἦν σύνθημα τῆς ἐπιχειρήσεως, πρῶτος δὲ Κάσκας ξίφει παίει παρὰ τὸν αὐχένα πληγὴν οὐ θανατηφόρον οὐδὲ βαθεῖαν, ἀλλ᾽, ὡς εἰκὸς, ἐν ἀρχῇ τολμήματος μεγάλου ταραχθείς, ὥστε καὶ τὸν Καίσαρα μεταστραφέντα τοῦ ἐγχειριδίου [p. 598] [66.5] λαβέσθαι καὶ κατασχεῖν. ἅμα δέ πως ἐξεφώνησαν ὁ μὲν πληγεὶς Ῥωμαϊστί ‘μιαρώτατε Κάσκα, τί ποιεῖς;’ ὁ δὲ πλήξας Ἑλληνιστὶ πρὸς τὸν ἀδελφόν ‘ἀδελφέ, βοήθει.’ τοιαύτης δὲ τῆς ἀρχῆς γενομένης τοὺς μὲν οὐδὲν συνειδότας ἔκπληξις εἶχε καὶ φρίκη πρὸς τὰ δρώμενα, μήτε φεύγειν μήτε ἀμύνειν, ἀλλὰ μηδὲ φωνὴν ἐκβάλλειν τολμῶντας. τῶν δὲ παρεσκευασμένων ἐπὶ τὸν φόνον ἑκάστου γυμνὸν ἀποδείξαντος τὸ ξίφος, [66.6] ἐν κύκλῳ περιεχόμενος καὶ πρὸς ὅ τι τρέψειε τὴν ὄψιν πληγαῖς ἀπαντῶν καὶ σιδήρῳ φερομένῳ καὶ κατὰ προσώπου καὶ κατ᾽ ὀφθαλμῶν διελαυνόμενος ὥσπερ θηρίον ἐνειλεῖτο ταῖς πάντων χερσίν· ἅπαντας γὰρ ἔδει κατάρξασθαι καὶ γεύσασθαι τοῦ φόνου. διὸ καὶ Βροῦτος αὐτῷ πληγὴν ἐνέβαλε μίαν εἰς τὸν βουβῶνα. λέγεται δὲ ὑπό τινων ὡς ἄρα πρὸς τοὺς ἄλλους ἀπομαχόμενος καὶ διαφέρων δεῦρο κἀκεῖ τὸ σῶμα καὶ κεκραγώς, ὅτε Βροῦτον εἶδεν ἐσπασμένον τὸ ξίφος, ἐφειλκύσατο κατὰ τῆς κεφαλῆς τὸ ἱμάτιον καὶ παρῆκεν ἑαυτόν, [66.7] εἴτε ἀπὸ τύχης εἴθ᾽ ὑπὸ τῶν κτεινόντων ἀπωσθεὶς, πρὸς τὴν βάσιν ἐφ᾽ ἧς ὁ Πομπηΐου βέβηκεν ἀνδριάς. καὶ πολὺ καθῄμαξεν αὐτὴν ὁφόνος, ὡς δοκεῖν αὐτὸν ἐφεστάναι τῇ τιμωρίᾳ τοῦ πολεμίου Πομπήϊον ὑπὸ πόδας κεκλιμένου καὶ περισπαίροντος ὑπὸ πλήθους τραυμάτων, εἴκοσι γὰρ καὶ τρία λαβεῖν λέγεται καὶ πολλοὶ κατετρώθησαν ὑπ᾽ ἀλλήλων, εἰς ἓν ἀπερειδόμενοι σῶμα πληγὰς τοσαύτας.
Traduzione professionale:
Artemidoro, cnidio di nascita, maestro di eloquenza greca e divenuto per questo familiare ad alcuni degli amici di Bruto, tanto da conoscere anche gran parte delle cose che si stavano preparando, giunse portando in un biglietto le cose che appunto intendeva denunciare: ma vedendo che Cesare riceveva ciascuno dei biglietti e li passava ai segretari che gli stavano vicino, accostatosi molto vicino: “Questo – disse – Cesare, leggilo da solo e subito; infatti c’è scritto qualcosa riguardo a faccende importanti e che ti riguardano”. Cesare dunque avendo ricevuto il foglio, fu impedito dal leggerlo, pur avendo iniziato molte volte, dalla calca di quelli che gli andavano incontro per supplicarlo, ma giunse in Senato tenendolo in mano e conservando solo quello. Alcuni invece sostengono che un altro gli diede quel foglio, e che Artemidoro neppure si avvicinò del tutto, ma fu spinto via in tutto il percorso. Ma questi fatti dopo tutto talvolta li determina anche la casualità; invece il luogo che accolse quell’assassinio e l’attentato, luogo nel quale allora si radunò il senato, che aveva collocata una statua di Pompeo e che costituiva un edificio di Pompeo tra quelli costruiti a ornamento per il teatro, indicava assolutamente che il fatto si verificò perché una divinità condusse e richiamò lì l’azione. E infatti si dice appunto anche che Cassio prima dell’attentato guardando verso la statua di Pompeo la invocò in silenzio, pur non essendo estraneo alle teorie di Epicuro: ma la circostanza, come sembra, essendo già vicino il terribile momento infondeva esaltazione ed emozione in luogo delle precedenti opinioni filosofiche. Antonio dunque, che era fedele a Cesare e robusto, lo tratteneva fuori Bruto Albino, avendo iniziato intenzionalmente una discussione che tirava per le lunghe; e mentre entrava Cesare il senato si alzò facendo atto di riverenza, e tra i complici di Bruto alcuni si disposero dietro il suo seggio, altri invece si fecero incontro proprio come se intendessero rivolgergli una supplica assieme a Tillio Cimbro che lo supplicava per il fratello esule, e parteciparono insieme alla supplica accompagnandolo fino al seggio. Ma poiché, sedutosi, respingeva le richieste e,siccome insistevano più decisamente, era arrabbiato con ciascuno di loro, Tillio afferrando la sua toga con entrambe le mani la tirò giù dal collo, il che era il segnale convenuto dell’attentato. E per primo Casca lo colpisce con una spada vicino al collo procurandogli una ferita non mortale né profonda, ma, come è naturale, emozionato all’inizio di una importante azione temeraria, tanto che anche Cesare, voltatosi, afferrò il pugnale e lo trattenne. E nello stesso tempo gridarono in qualche modo, il ferito in latino: “Disgraziatissimo Casca, che cosa fai?” e colui che lo aveva ferito, in greco, rivolto al fratello: “Fratello,aiutami”. E tale essendo stato l’inizio, quelli che per nulla erano consapevoli li prese spavento e terrore di fronte alle cose che accadevano, tanto che non osavano né fuggire, né difenderlo, ma neppure pronunciare una parola. Ma siccome di quelli che erano preparati all’assassinio ciascuno mostrava la spada sguainata, circondato intorno, e verso qualsiasi cosa rivolgesse lo sguardo, imbattendosi in ferite e in armi puntate sia contro il volto sia contro gli occhi,cercando di allontanarsi come una fiera era avvolto dalle mani di tutti; tutti quanti infatti bisognava che compissero e assaggiassero l’assassinio. Perciò anche Bruto gli inferse un unico colpo nell’inguine. E da parte di alcuni si dice che allora difendendosi dagli altri e spostandosi qua e là e gridando, quando vide Bruto che aveva sguainato la spada, tirò la toga sulla testa e si lasciò cadere, sia per caso, sia spinto da coloro che lo uccidevano, presso la base su cui è collocata la statua di Pompeo. E l’assassinio la insanguinò abbondantemente, tanto da sembrare che lo stesso Pompeo presiedesse alla vendetta sul nemico, steso sotto i suoi piedi e agonizzante per il gran numero delle ferite. Si dice infatti che ne abbia ricevute ventitre, e molti furono feriti gli uni dagli altri,dirigendo tanti colpi contro un solo corpo.
TESTO E TRADUZIONE CON NOTE
[65.1] Ἀρτεμίδωρος δὲ Κνίδιος τὸ γένος, Ἑλληνικῶν λόγων σοφιστὴς καὶ διὰ τοῦτο γεγονὼς ἐνίοις συνήθης τῶν περὶ Βροῦτον, ὥστε καὶ γνῶναι τὰ πλεῖστα τῶν πραττομένων, ἧκε μὲν ἐν βιβλιδίῳ κομίζων ἅπερ ἔμελλε μηνύειν,
-> Artemidoro, Cnidio di/quanto a stirpe (Κνίδιος τὸ γένος->accusat. di relazione), maestro di eloquenza greca (Ἑλληνικῶν λόγων σοφιστὴς: letter., sofista/maestro dei discorsi greci) e divenuto perciò frequentatore (συνήθης) di alcuni della cerchia di Bruto (ἐνίοις τῶν περὶ Βροῦτον: letter., ad alcuni di quelli attorno a Bruto), tanto da sapere anche (καὶ γνῶναι) le cose più importanti in programma (τῶν πραττομένων: letteralm., di quelle che vengono (=verranno) fatte), era giunto (ἧκε: imperf. 1^ sing. da ἥκω) recando in un libretto proprio le cose che (ἅπερ) desiderava rivelare (ἔμελλε μηνύειν),
ὁρῶν δὲ τὸν Καίσαρα τῶν βιβλιδίων ἕκαστον δεχόμενον καὶ παραδιδόντα τοῖς περὶ αὐτὸν ὑπηρέταις, ἐγγὺς σφόδρα προσελθών, ‘τοῦτο,’ ἔφη, ‘Καῖσαρ, ἀνάγνωθι μόνος καὶ ταχέως: γέγραπται γὰρ ὑπὲρ πραγμάτων μεγάλων καὶ σοὶ διαφερόντων.’
->, ma vedendo (ὁρῶν δὲ) Cesare che prendeva (δεχόμενον) ognuno dei libretti (=messaggi) e che (lo…) dava (παραδιδόντα) ai subalterni attorno a lui (τοῖς περὶ αὐτὸν ὑπηρέταις), subito con decisione andando (da Cesare, sott.), “Questo” diceva “Cesare, da solo e velocemente leggi(lo) (ἀνάγνωθι: 2^ sing. imperat. presente da ἀνα-γιγνώσκω); infatti (vi…) è scritto riguardo a grandi/importanti cose e attinenti a te (σοὶ διαφερόντων).”
[65.2] δεξάμενος οὖν ὁ Καῖσαρ ἀναγνῶναι μὲν ὑπὸ πλήθους τῶν ἐντυγχανόντων ἐκωλύθη, καίπερ ὁρμήσας πολλάκις, ἐν δὲ τῇ χειρὶ κατέχων καὶ φυλάττων μόνον ἐκεῖνο παρῆλθεν εἰς τὴν σύγκλητον.
-> Ma pur avendo(lo) preso (δεξάμενος), Cesare dunque era impedito (ἐκωλύθη: 3^ sing. aor. passiv. da κωλύω) (dal leggerlo, sottint.) dalla folla di quelli che lo assediavano, seppur avendo tentato spesso, tenendo nella mano e custodendo quel solo (libretto/messaggio) procedeva verso il Senato.
ἔνιοι δέ φασιν ἄλλον ἐπιδοῦναι τὸ βιβλίον τοῦτο, τὸν δ᾽ Ἀρτεμίδωρον οὐδὲ ὅλως προσελθεῖν, ἀλλ᾽ ἐκθλιβῆναι παρὰ πᾶσαν τὴν ὁδόν.
-> Alcuni dicono un altro (ἄλλον) aver dato (ἐπιδοῦναι: inf. aor. att. da ἐπιδίδωμι) quel libro (a Cesare, ovviamente), Artemidoro non esser(gli)si avvicinato nemmeno (δὲ) del tutto (ὅλως), ma aver sgomitato (ἐκθλιβῆναι: inf. aor. att. da ἐκθλίβω: schiaccio, premo) durante tutta la strada.
[66.1] ἀλλὰ ταῦτα μὲν ἤδη που φέρει καὶ τὸ αὐτόματον: ὁ δὲ δεξάμενος τὸν φόνον ἐκεῖνον καὶ τὸν ἀγῶνα χῶρος, εἰς ὃν ἡ σύγκλητος ἠθροίσθη τότε, Πομπηΐου μὲν εἰκόνα κειμένην ἔχων, Πομπηΐου δὲ ἀνάθημα γεγονὼς τῶν [p. 596] προσκεκοσμημένων τῷ θεάτρῳ, παντάπασιν ἀπέφαινε δαίμονός τινος ὑφηγουμένου καὶ καλοῦντος ἐκεῖ τὴν πρᾶξιν ἔργον γεγονέναι.
-> Ma queste cose talvolta (ἤδη) in qualche modo (που) anche il caso (καὶ τὸ αὐτόματον) (le…) determina/può determinare (φέρει); mentre (δὲ) il luogo detenente/riguardante (ὁ δεξάμενος… χῶρος) quell’assassinio e attentato, verso il quale (εἰς ὃν ->riferito al luogo) il senato allora era stato radunato (ἠθροίσθη: 3^ sing. aor. passiv. da ἀθροίζω: raduno), che aveva l’immagine di Pompeo giacente/posta (κειμένην: part. da κεῖμαι: giaccio) (al suo interno…), (e…) che era divenuto (γεγονὼς: part. perf. neutro da γίγνομαι: sono, divento) la costruzione di Pompeo delle/tra quelle approntate (τῶν προσκεκοσμημένων->gen. plur. part. perf. da προσκοσμέω: ordino, dispongo per bellezza) per il teatro (τῷ θεάτρῳ), senza dubbio (παντάπασιν) dimostrava essere stato il fatto (γεγονέναι τὴν πρᾶξιν) opera (ἔργον) di un qualche demone che dispose (ὑφηγουμένου: part. gen. sing. da ὑφ-ἡγέομαι: decido, dispongo) e richiamò lì (l’azione, sott.)
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[66.2] καὶ γὰρ οὖν καὶ λέγεται Κάσσιος εἰς τὸν ἀνδριάντα τοῦ Πομπηΐου πρὸ τῆς ἐγχειρήσεως ἀποβλέπων ἐπικαλεῖσθαι σιωπῇ, καίπερ οὐκ ἀλλότριος ὢν τῶν Ἐπικούρου λόγων· ἀλλ᾽ ὁ καιρὸς, ὡς ἔοικεν, ἤδη τοῦ δεινοῦ παρεστῶτος ἐνθουσιασμὸν ἐνεποίει καὶ πάθος ἀντὶ τῶν προτέρων λογισμῶν. -> E infatti (καὶ γὰρ οὖν) si dice anche che Cassio invocasse (καὶ λέγεται Κάσσιος… ἐπικαλεῖσθαι; letteralm., è detto anche Cassio (soggetto) aver invocato) in silenzio guardando verso la statua di Pompeo (εἰς τὸν ἀνδριάντα τοῦ Πομπηΐου) prima dell’impresa (πρὸ τῆς ἐγχειρήσεως), pur essendo (καίπερ ὢν) non estraneo ai discorsi di Epicuro; ma l’occasione (ὁ καιρὸς), come appare (ὡς ἔοικεν->da ἔοικα: verbo al perfetto con valore di presente: sembro), già essendo dappresso il momento terribile (ἤδη τοῦ δεινοῦ παρεστῶτος: letter., ormai la cosa terribile essendosi apprestata (genit. assoluto); παρεστῶτος: part. gen. sing. perfetto da παρίστημι: mi appresto, mi avvicino), creava entusiasmo e passione in opposizione/contro ai discorsi precedenti (ἀντὶ τῶν προτέρων λογισμῶν).
[66.3] Ἀντώνιον μὲν οὖν πιστὸν ὄντα Καίσαρι καὶ ῥωμαλέον ἔξω παρακατεῖχε Βροῦτος Ἀλβῖνος, ἐμβαλὼν ἐπίτηδες ὁμιλίαν μῆκος ἔχουσαν: εἰσιόντος δὲ Καίσαρος ἡ βουλὴ μὲν ὑπεξανέστη θεραπεύουσα, τῶν δὲ περὶ Βροῦτον οἱ μὲν ἐξόπισθεν τὸν δίφρον αὐτοῦ περιέστησαν, οἱ δὲ ἀπήντησαν, ὡς δὴ Τιλλίῳ Κίμβρῳ περὶ ἀδελφοῦ φυγάδος ἐντυχάνοντι συνδεησόμενοι, καὶ συνεδέοντο μέχρι τοῦ δίφρου παρακολουθοῦντες. -> Bruto Albino dunque teneva fuori (ἔξω παρα-κατ-εῖχε) Antonio, che era fedele a Cesare e robusto, a bella posta (ἐπίτηδες) portando avanti un discorso molto prolisso (ἐμβαλὼν ὁμιλίαν μῆκος ἔχουσαν: letteralm., gettando un discorso avente lunghezza); essendo entrato Cesare (εἰσιόντος δὲ Καίσαρος: genit. assol.) il consesso si alzò (ὑπεξανέστη: 3 pers. sing. att. ind. aor. da ὑπεξανίστημαι: mi levo) rispettoso (=θεραπεύουσα: part. pres. da θεραπεύω: servo); di quelli della cerchia di Bruto (τῶν δὲ περὶ Βροῦτον) alcuni (οἱ μὲν) stavano dietro la sedia di quello (=Cesare), altri (gli= a Cesare) andavano incontro, come se fossero assieme (ὡς συνδεησόμενοι: letter., come stanti per legarsi a; συνδεησόμενοι: part. futuro att. da συνδέω: mi lego) Tullio Cimbro, che supplicava (ἐντυχάνοντι: partic. aor. att. da ἐντυγχάνω) per il fratello esiliato, e (gli…) restavano legati (συνεδέοντο: 3 plur. imperf. indic. da συνδέω) seguendolo fino alla sedia (di Cesare, ovviamente).
[66.4] ὡς δὲ καθίσας διεκρούετο τὰς δεήσεις καὶ προσκειμένων βιαιότερον ἠγανάκτει πρὸς ἕκαστον, ὁ μὲν Τίλλιος τὴν τήβεννον αὐτοῦ ταῖς χερσὶν ἀμφοτέραις συλλαβὼν ἀπὸ τοῦ τραχήλου κατῆγεν, ὅπερ ἦν σύνθημα τῆς ἐπιχειρήσεως, -> Poiché (ὡς) dopo essersi seduto (καθίσας: part. att. aor. da καθίζω: mi metto a sedere) (Cesare…) respingeva le richieste ed era irritato (ἠγανάκτει: 3 sing. att. imperf. da ἀγανακτέω) più fortemente (βιαιότερον: avverbio comparativo) verso ciascuno di coloro che gli erano vicino, dal canto suo (μὲν…) Tullio, tirando con entrambe le mani la sua tunica, la trascinava giù dal collo, ciò che (ὅπερ: la qual cosa) era il segnale (dell’inizio…) dell’impresa,
πρῶτος δὲ Κάσκας ξίφει παίει παρὰ τὸν αὐχένα πληγὴν οὐ θανατηφόρον οὐδὲ βαθεῖαν, ἀλλ᾽, ὡς εἰκὸς, ἐν ἀρχῇ τολμήματος μεγάλου ταραχθείς, ὥστε καὶ τὸν Καίσαρα μεταστραφέντα τοῦ ἐγχειριδίου [66.5] λαβέσθαι καὶ κατασχεῖν. -> mentre (… δὲ) per primo Casca con un pugnale (ξίφει) scava presso la nuca una ferita non mortale (θανατηφόρον) né profonda, ma, come inevitabile (ὡς εἰκὸς; εἰκὸς = partic. neutro di ἔοικα, verbo al perfetto che significa: rassomiglio; sembro; convengo… quindi, letteralm: “come (ciò è, sott.) conveniente”), essendo sconvolto (ταραχθείς: part. passivo aoristo da ταράσσω: sconvolgo) all’inizio di una grande impresa, tanto che (ὥστε + proposiz. infinitiva con Καίσαρα come soggetto) Cesare, pur essendo sconvolto (μετα-στραφέντα: partic. aoristo passivo da μετα-στρέφω: sconvolgo), afferrò il (suo…) pugnale e lo trattenne (τοῦ ἐγχειριδίου λαβέσθαι καὶ κατασχεῖν).
ἅμα δέ πως ἐξεφώνησαν ὁ μὲν πληγεὶς Ῥωμαϊστί ‘μιαρώτατε Κάσκα, τί ποιεῖς;’ ὁ δὲ πλήξας Ἑλληνιστὶ πρὸς τὸν ἀδελφόν ‘ἀδελφέ, βοήθει.’ -> Al tempo stesso in qualche modo (πως) urlarono da una parte il ferito (ὁ μὲν πληγεὶς->partic. aor. pass. da πλήσσω: ferisco) in romano (Ῥωμαϊστί): “Scelleratissimo Casca, cosa fai?”, dall’altra il feritore (ὁ δὲ πλήξας->partic. aor. att. da πλήσσω) in greco (Ἑλληνιστὶ) verso il fratello: “Fratello, aiuta(mi).”
τοιαύτης δὲ τῆς ἀρχῆς γενομένης τοὺς μὲν οὐδὲν συνειδότας ἔκπληξις εἶχε καὶ φρίκη πρὸς τὰ δρώμενα, μήτε φεύγειν μήτε ἀμύνειν, ἀλλὰ μηδὲ φωνὴν ἐκβάλλειν τολμῶντας. -> Tale essendo l’inizio (dell’azione, sottint.) (τοιαύτης δὲ τῆς ἀρχῆς γενομένης: genit. assoluto), lo sbalordimento prese e l’orrore (prese…) coloro che per nulla erano preparati (τοὺς οὐδὲν συνειδότας->accus. plur. masch. del partic. att. perfetto del verbo (già al perfetto) συνοίδα: sono consapevole) alle cose agite (πρὸς τὰ δρώμενα), tanto che (essi non…) osarono (τολμῶντας: partic. con valore consecutivo) né fuggire né difendere (Cesare…), e nemmeno (ἀλλὰ μηδὲ) proferire un verso (φωνὴν ἐκβάλλειν).
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τῶν δὲ παρεσκευασμένων ἐπὶ τὸν φόνον ἑκάστου γυμνὸν ἀποδείξαντος τὸ ξίφος, [66.6] ἐν κύκλῳ περιεχόμενος καὶ πρὸς ὅ τι τρέψειε τὴν ὄψιν πληγαῖς ἀπαντῶν καὶ σιδήρῳ φερομένῳ καὶ κατὰ προσώπου καὶ κατ᾽ ὀφθαλμῶν διελαυνόμενος ὥσπερ θηρίον ἐνειλεῖτο ταῖς πάντων χερσίν· ἅπαντας γὰρ ἔδει κατάρξασθαι καὶ γεύσασθαι τοῦ φόνου. -> Avendo ciascuno sguainato il coltello (ἑκάστου ἀποδείξαντος γυμνὸν τὸ ξίφος: letter., ciascuno avendo mostrato nudo il colltello; è un genitivo assoluto) di/tra coloro che si erano preparati (παρεσκευασμένων: partic. perfetto medio gen. plur. da παρασκευάζω) all’omicidio, (Cesare, sogg. sottint.) circondato e trapassato (περιεχόμενος καὶ… διελαυνόμενος) dovunque tenesse lo sguardo (πρὸς ὅ τι τρέψειε τὴν ὄψιν; πρὸς ὅ τι: verso qualsiasi cosa che; τρέψειε: 3^ sing. ottat. aor. att. da τρέφω: nutro, mantengo) con le ferite di tutti e col ferro/pugnale portato sia verso il viso sia verso gli occhi, come una fiera era preso tra le mani di tutti (ἐνειλεῖτο: 3^ pers. sing. ind. medio-pass. aor. da ἐν-αιρέω: prendo); infatti bisognava che tutti prendessero parte e gustassero (γεύσασθαι) l’omicidio.
διὸ καὶ Βροῦτος αὐτῷ πληγὴν ἐνέβαλε μίαν εἰς τὸν βουβῶνα. -> Perciò anche Bruto gli inferse una ferita (αὐτῷ πληγὴν ἐνέβαλε μίαν) all’inguine.
λέγεται δὲ ὑπό τινων ὡς ἄρα πρὸς τοὺς ἄλλους ἀπομαχόμενος καὶ διαφέρων δεῦρο κἀκεῖ τὸ σῶμα καὶ κεκραγώς, ὅτε Βροῦτον εἶδεν ἐσπασμένον τὸ ξίφος, ἐφειλκύσατο κατὰ τῆς κεφαλῆς τὸ ἱμάτιον καὶ παρῆκεν ἑαυτόν, [66.7] εἴτε ἀπὸ τύχης εἴθ᾽ ὑπὸ τῶν κτεινόντων ἀπωσθεὶς, πρὸς τὴν βάσιν ἐφ᾽ ἧς ὁ Πομπηΐου βέβηκεν ἀνδριάς.
-> E’ affermato da alcuni che (=λέγεται δὲ ὑπό τινων ὡς…), al tempo stesso (ἄρα) pur combattendo contro gli altri e qua e là (δεῦρο κἀκεῖ=δεῦρο καὶ ἐκεῖ) portando il corpo e avendo gridato, quando vide Bruto che aveva estratto (ἐσπασμένον: partic. perf. att. da σπάω: estraggo) il coltello, trascinava sulla testa la toga e si accasciava (παρῆκεν: 3^ sing. imperf. att. da παρήκω: mi stendo) nel luogo presso il quale (πρὸς τὴν βάσιν ἐφ᾽ ἧς) si trova (βέβηκεν: 3^ sing. perf. ind. att. da βαίνω: vado; quindi “è giunta”, cioè “si trova”) la statua di Pompeo, essendovi spinto (ἀπωσθεὶς: part. aor. pass. da ἀπ-ωθέω: spingo da) vuoi per caso (εἴτε ἀπὸ τύχης) vuoi dagli assassini (=intenzionalmente) (εἴθ᾽ ὑπὸ τῶν κτεινόντων).
καὶ πολὺ καθῄμαξεν αὐτὴν ὁ φόνος, ὡς δοκεῖν αὐτὸν ἐφεστάναι τῇ τιμωρίᾳ τοῦ πολεμίου Πομπήϊον ὑπὸ πόδας κεκλιμένου καὶ περισπαίροντος ὑπὸ πλήθους τραυμάτων,
-> E l’omicidio molto la insanguinò (καθῄμαξεν: 3^ sing. aor. att. ind. da καθ-αιμάσσω: insanguino), tanto da (ὡς) sembrare (δοκεῖν + infinitiva) che lo stesso Pompeo (αὐτὸν… Πομπήϊον: soggetto dell’infinitiva) imponesse (ciò, sottint.) (=ἐφεστάναι: infinito di ἐφ-ίστημι: pongo) per vendetta contro il nemico (τῇ τιμωρίᾳ τοῦ πολεμίου; ovviamente si riferisce a Cesare) dopo averlo piegato (κεκλιμένου: gen. sing. part. perf. pass. da κλίνω: piego, inclino; riferito a πολεμίου) sotto i (suoi…) piedi e mentre si dibatteva (περισπαίροντος: part. da περισπαίρω: mi dibatto) sotto il gran numero delle ferite.
εἴκοσι γὰρ καὶ τρία λαβεῖν λέγεται καὶ πολλοὶ κατετρώθησαν ὑπ᾽ ἀλλήλων, εἰς ἓν ἀπερειδόμενοι σῶμα πληγὰς τοσαύτας. -> Infatti è detto/si dice aver preso (Cesare…) ventitré (=εἴκοσι καὶ τρία) (ferite…) e molti furono feriti (κατετρώθησαν: N.B: 3^ plur. indic. aoristo passivo da κατα-τραυματίζω: ferisco: è una forma irregolare!) gli uni dagli altri (ὑπ᾽ ἀλλήλων), infliggendo tali ferite su un corpo.
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