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L’ESERCIZIO DELLA VIRTÙ CIVILE È LA PIÙ ALTA ATTIVITÀ UMANA… Cicerone: De Republica (I-2,3)

Aggiornamento: 4 ago

L’ESERCIZIO DELLA VIRTÙ CIVILE È LA PIÙ ALTA ATTIVITÀ UMANA…

Cicerone: De Republica (I-2,3)

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Un brano esemplare del pensiero di Cicerone, in cui si afferma la preminenza della pratica sul pensiero, della virtù come azione sulla mera teoria della virtù.

Da buon romano, insomma, Cicerone ribadisce che l’agire è più importante del pensare, e che la virtù ha come fine ultimo quello di aiutare il genere umano a migliorare le proprie condizioni di vita, ad accrescere i propri beni e le proprie sicurezze – un traguardo cui l’uomo virtuoso tende per così dire istintivamente, a causa di una forza naturale che lo guida dall'interno (…maxime rapimur ad opes augendas generis humani studemusque nostris consiliis et laboribus tutiorem et opulentiorem vitam hominum reddere et ad hanc voluptatem ipsius naturae stimulis incitamur).

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TESTO LATINO:

[2] Nec vero habere virtutem satis est quasi artem aliquam, nisi utare; etsi ars quidem, cum ea non utare, scientia tamen ipsa teneri potest, virtus in usu sui tota posita est; usus autem eius est maximus civitatis gubernatio et earum ipsarum rerum, quas isti in angulis personant, reapse, non oratione perfectio. Nihil enim dicitur a philosophis, quod quidem recte honesteque dicatur, quod non ab iis partum confirmatumque sit, a quibus civitatibus iura discripta sunt. Unde enim pietas aut a quibus religio? unde ius aut gentium aut hoc ipsum civile quod dicitur? unde iustitia, fides, aequitas? unde pudor, continentia, fuga turpitudinis, adpetentia laudis et honestatis? unde in laboribus et periculis fortitudo? Nempe ab iis, qui haec disciplinis informata alia moribus confirmarunt, sanxerunt autem alia legibus. [3] Quin etiam Xenocraten ferunt, nobilem in primis philosophum, cum quaereretur ex eo, quid adsequerentur eius discipuli, respondisse, ut id sua sponte facerent, quod cogerentur facere legibus. Ergo ille civis, qui id cogit omnis imperio legumque poena, quod vix paucis persuadere oratione philosophi possunt, etiam iis, qui illa disputant, ipsis est praeferendus doctoribus. Quae est enim istorum oratio tam exquisita, quae sit anteponenda bene constitutae civitati publico iure et moribus? Equidem quem ad modum 'urbes magnas atque imperiosas', ut appellat Ennius, viculis et castellis praeferendas puto, sic eos, qui his urbibus consilio atque auctoritate praesunt, iis, qui omnis negotii publici expertes sint, [p. 274] longe duco sapientia ipsa esse anteponendos. Et quoniam maxime rapimur ad opes augendas generis humani studemusque nostris consiliis et laboribus tutiorem et opulentiorem vitam hominum reddere et ad hanc voluptatem ipsius naturae stimulis incitamur, teneamus eum cursum, qui semper fuit optimi cuiusque, neque ea signa audiamus, quae receptui canunt, ut eos etiam revocent, qui iam processerint.

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TESTO LATINO TRADOTTO (traduz. di Anna Resta Barrile):

[II] 2. Ma la virtù, se conosciuta in teoria e non esercitata nella pratica, non ha alcun valore: a differenza infatti delle altre arti che sussistono teoricamente in chi le possiede, quando anche non siano applicate, la virtù esiste solo in quanto attiva, ed essa si esplica soprattutto nel governo della cosa pubblica e nell’attuazione, a fatti, non a parole, di quei principi che costoro proclamano nel chiuso delle loro scuole.

Non v’è affermazione filosofica, rispondente a giustizia e a onestà, che non abbia origine e conferma in coloro che stabilirono le leggi negli stati.

Donde nascono infatti il senso della religiosità e l’osservanza del culto? donde hanno origine il senso della giustizia e dell’uguaglianza di diritti, il rispetto verso la parola data e verso noi stessi, il ritegno e l’odio per tutto quanto è turpe e malvagio, il desiderio della lode e della onorabilità? donde la forza d’animo nel tollerare fatiche e pericoli?

Certamente da coloro che, dopo aver appreso le norme che regolano la vita sociale, parte ne confermarono con i loro costumi, parte ne sancirono con la leggi.

3. Si racconta anzi che Senocrate, uno dei filosofi più autorevoli, a chi gli chiedeva quale insegnamento i suoi discepoli traessero dalle sue dottrine, rispondesse che essi erano indotti a fare spontaneamente quanto loro imponevano le leggi.

Quel cittadino dunque, che con l’autorità e il rispetto delle leggi costringe tutti ad osservare quei principi che i filosofi con i loro ragionamenti possono a mala pena inculcare a pochi, è senz’altro da anteporre a quegli stessi maestri che trattano tali questioni.

Quale ragionamento sarà infatti tanto perfetto che possa essere anteposto ad uno stato bene ordinato per istituzioni e costumi?

E come penso che “le città grandi e potenti”, per dirla con Ennio, siano da preferirsi ai villaggi e ai castelli, così ritengo che a coloro che vivono lontani dalla vita pubblica siano di gran lunga superiori in saggezza quegli uomini che con la loro autorità e con la loro perspicacia reggono gli stati.

E poiché siamo tratti per natura ad accrescere la felicità del genere umano e, inclini a tale piacere per istinto naturale, ci sforziamo con i nostri pensieri e le nostre fatiche di rendere più sicura e confortevole la vita altrui, continuiamo a percorrere quella stessa via che hanno percorso gli uomini virtuosi e non ascoltiamo i segnali di ritirata di quanti vorrebbero far retrocedere coloro che si sono già spinti innanzi.

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TESTO LATINO SPIEGATO:

[2] Nec vero habere virtutem satis est quasi artem aliquam, nisi utare; etsi ars quidem, cum ea non utare, scientia tamen ipsa teneri potest, virtus in usu sui tota posita est; usus autem eius est maximus civitatis gubernatio et earum ipsarum rerum, quas isti in angulis personant, reapse, non oratione perfectio.

Né invero possedere la virtù è come (possedere…) una qualche arte (Nec vero habere virtutem satis est quasi artem aliquam; satis quasi: “come se…”), se non (la…) utilizzi (nisi utare; utare=utaris: 2^ cong. pres. di utor,eris…: uso. utilizzo); anche se una qualsiasi arte può essere tenuta/conosciuta essa stessa con la scienza/teoricamente (etsi ars quidem scientia tamen ipsa teneri potest), qualora essa (tu…) non (la…) utilizzi/metti in pratica (cum ea non utare), la virtù tutta è posta/consiste nel suo uso (virtus in usu sui tota posita est); e il massimo/più alto utilizzo di essa (usus autem eius est maximus) è il governo della città e di quelle stesse cose che questi/i filosofi affermano negli angoli/in luoghi riservati/nelle loro scuole (civitatis gubernatio et earum ipsarum rerum, quas isti in angulis personant), in verità (il massimo utilizzo della virtù…) non (è…) la perfezione dell’orazione/oratoria (reapse, non oratione perfectio).

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Nihil enim dicitur a philosophis, quod quidem recte honesteque dicatur, quod non ab iis partum confirmatumque sit, a quibus civitatibus iura discripta sunt.

Nulla infatti viene detto dai filosofi che senza dubbio sia detto rettamente e onestamente (Nihil enim dicitur a philosophis, quod quidem recte honesteque dicatur), che sia prodotto/pensato e confermato (quod non partum confirmatumque sit) da coloro dai quali per i cittadini le leggi sono state scritte (ab iis, a quibus civitatibus iura discripta sunt).

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Unde enim pietas aut a quibus religio? unde ius aut gentium aut hoc ipsum civile quod dicitur? unde iustitia, fides, aequitas? unde pudor, continentia, fuga turpitudinis, adpetentia laudis et honestatis? unde in laboribus et periculis fortitudo?

Da dove infatti (viene…) la pietà o da quali persone/da chi la religione (Unde enim pietas aut a quibus religio)? Da dove il diritto sia delle genti (unde ius aut gentium) sia questo stesso che è detto civile (aut hoc ipsum quod civile dicitur)? Da dove la giustizia, la fedeltà, l’equità/la giustizia (unde iustitia, fides, aequitas)? Da dove il pudore, la continenza, la fuga dalla turpitudine, il desiderio di lode e di onestà (unde pudor, continentia, fuga turpitudinis, adpetentia laudis et honestatis)? Da dove la resistenza nelle fatiche e nei pericoli (unde in laboribus et periculis fortitudo)?

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Nempe ab iis, qui haec disciplinis informata alia moribus confirmarunt, sanxerunt autem alia legibus.

Certamente da quelli che queste cose (Nempe ab iis, qui haec) immaginate con gli insegnamenti/dopo averle apprese teoricamente (disciplinis informata) alcune/in parte (le…) confermarono con i costumi/con l’esempio pratico (alia moribus confirmarunt), altre invece le sancirono con le leggi (sanxerunt autem alia legibus).

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[3] Quin etiam Xenocraten ferunt, nobilem in primis philosophum, cum quaereretur ex eo, quid adsequerentur eius discipuli, respondisse, ut id sua sponte facerent, quod cogerentur facere legibus.

Tramandano che anche Senocrate, un nobile filosofo tra i primi tra i più importanti (Quin etiam Xenocraten ferunt, nobilem in primis philosophum), quando era richiesto a lui/quando gli veniva richiesto (cum quaereretur ex eo) cosa/quale principio dovessero seguire i suoi discepoli, rispondesse (quid adsequerentur eius discipuli, respondisse) che di propria volontà facessero (ut sua sponte facerent) ciò che fossero costretti/erano costretti a fare per le leggi/per legge (id, quod cogerentur facere legibus).

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Ergo ille civis, qui id cogit omnis imperio legumque poena, quod vix paucis persuadere oratione philosophi possunt, etiam iis, qui illa disputant, ipsis est praeferendus doctoribus.

(= Ergo ille civis, qui omnes cogit imperio legumque poena, id quod vix pauces philosophi persuadere possunt oratione, (ille civis…) etiam iis ipsis doctoribus qui illa disputant, preferendus est.)

Dunque quel cittadino che tutti (i suoi concittadini…) costringe/sottomette all’autorità e alla pena/alla punizione delle leggi (Ergo ille civis, qui omnes cogit imperio legumque poena), cosa a cui a stento i filosofi riescono a persuadere pochi/poche persone col discorso (id quod vix pauces philosophi persuadere possunt oratione), (quel cittadino…) anche a questi stessi dottori (etiam iis ipsis doctoribus) che su quelle cose disputano (qui illa disputant), deve essere preferito (est praeferendus).

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Quae est enim istorum oratio tam exquisita, quae sit anteponenda bene constitutae civitati publico iure et moribus?

Quale orazione infatti di questi è/può essere tanto bella (Quae est enim istorum oratio tam exquisita), la quale sia da anteporre a una città ben organizzata quanto alla legge pubblica e ai costumi (quae sit anteponenda bene constitutae civitati publico iure et moribus)?

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Equidem quem ad modum 'urbes magnas atque imperiosas', ut appellat Ennius, viculis et castellis praeferendas puto, sic eos, qui his urbibus consilio atque auctoritate praesunt, iis, qui omnis negotii publici expertes sint, longe duco sapientia ipsa esse anteponendos.

Certamente in ogni modo/in tutti i sensi (Equidem quemadmodum) “le città grandi e potenti”, come dice Ennio ('urbes magnas atque imperiosas', ut appellat Ennius), ai villaggetti e ai castelli ritengo siano da preferire (viculis et castellis praeferendas puto), così/allo stesso modo di molto ritengo che siano da anteporre (sic longe duco sapientia ipsa esse anteponendos) coloro che stanno davanti/si pongono alla guida a queste città con il (loro…) consiglio e autorità (eos, qui his urbibus consilio atque auctoritate praesunt), a quelli che di ogni negozio pubblico siano inesperti (iis, qui omnis negotii publici expertes sint).

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Et quoniam maxime rapimur ad opes augendas generis humani studemusque nostris consiliis et laboribus tutiorem et opulentiorem vitam hominum reddere et ad hanc voluptatem ipsius naturae stimulis incitamur, teneamus eum cursum, qui semper fuit optimi cuiusque, neque ea signa audiamus, quae receptui canunt, ut eos etiam revocent, qui iam processerint.

E poiché siamo rapiti/chiamati con la massima forza alle opere da accrescere del genere umano/ad accrescere la ricchezza del genere umano (Et quoniam maxime rapimur ad opes augendas generis humani), e studiamo/ci impegniamo con le decisioni e i lavori di rendere la vita degli uomini più sicura e più ricca (studemusque nostris consiliis et laboribus tutiorem et opulentiorem vitam hominum reddere) e a questa gioia/aspirazione siamo incitati/spinti dagli stimoli della natura stessa (ad hanc voluptatem ipsius naturae stimulis incitamur), teniamo/continuiamo a tenere il corso che fu sempre/è da sempre di ogni (persona…) ottima (teneamus eum cursum, qui semper fuit optimi cuiusque), e non ascoltiamo quei segni (neque ea signa audiamus) che come ritirate suonano/suonano la ritirata (quae receptui canunt), affinché dissuadano/che vogliono dissuadere anche coloro che già si sono spinti avanti (nell’esercizio delle virtù…) (ut eos etiam revocent, qui iam processerint).

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