L’ULTIMA IMPRESA BELLICA DI ROMOLO, LA SUA MORTE E LA SUA STRANA SPARIZIONE…
(Tito Livio: Ab Urbe Condita; I, 15-16)
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Un testo di Tito Livio, in cui si rievocano le vicende finali della vita di Romolo (in particolare, la guerra contro i Fidenati) e la sua strana sparizione e morte…
Infatti, avendo Romolo riunito un giorno le milizie in un campo vicino alla palude delle Capra (?) per passarle in rassegna, in seguito a una potente e improvvisa tempesta che oscurò il cielo e la vista degli astanti, scomparve misteriosamente, per non riapparire mai più (…cum ad exercitum recensendum contionem in campo ad Caprae paludem haberet, subito coorta tempestas cum magno fragore tonitribusque tam denso regem operuit nimbo ut conspectum eius contioni abstulerit; nec deinde in terris Romulus fuit)!
Ma dietro questa “misteriosa” sparizione si cela il sospetto che siano in realtà stati i patres (i nobili) ad assassinarlo, gelosi del suo potere incontrastato e dell’amore che il popolo, ovvero la plebe (e in particolare gli eserciti), aveva per lui (Multitudini tamen gratior fuit quam patribus, longe ante alios acceptissimus militum animis).
L’idea è che quindi dietro questa strana morte, così poetica e misteriosa, si celasse una banale lotta di potere tra il monarca (Romolo e forse la stessa istituzione regia) e i padri o senatori.
D’altronde, questo “sospetto” sembra divenire certezza, quando proprio a conclusione del brano Livio scrive che, geniale espediente per fugare questi dubbi, fu la clamorosa frottola di un certo Giulio Proculo, che raccontò al popolo riunito e inferocito contro i nobili:
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«Stamattina, o Quiriti, alle prime luci dell'alba, Romolo, padre di questa città, è improvvisamente sceso dal cielo ed è apparso alla mia vista. Io, in un misto di totale confusione e rispetto, l'ho pregato di accordarmi il permesso di guardarlo in faccia e lui mi ha risposto: "Va' e annuncia ai Romani che la volontà degli dèi celesti è che la mia Roma diventi la capitale del mondo. Quindi si impratichiscano nell'arte militare e sappiano e tramandino ai loro figli che nessuna umana potenza è in grado di resistere alle armi romane." Detto questo,» egli concluse, «è scomparso in cielo.»
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("Romulus" inquit, "Quirites, parens urbis huius, prima hodierna luce caelo repente delapsus se mihi obvium dedit. Cum perfusus horrore venerabundusque adstitissem petens precibus ut contra intueri fas esset, ""Abi, nuntia"" inquit ""Romanis, caelestes ita velle ut mea Roma caput orbis terrarum sit; proinde rem militarem colant sciantque et ita posteris tradant nullas opes humanas armis Romanis resistere posse."" Haec" inquit "locutus sublimis abiit.")
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È incredibile, conclude Livio, con che facilità la gente credette a una storia tanto assurda e fantasiosa (" Mirum quantum illi viro nuntianti haec fides fuerit), la quale tuttavia riuscì a lenire gli animi esasperati e a riportare la pace sociale, anche in quanto prometteva a Roma un esaltante destino di gloria e di potenza (che in seguito peraltro si avverò)!
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Testo latino:
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[15] Belli Fidenatis contagione inritati Veientium animi et consanguinitate—nam Fidenates quoque Etrusci fuerunt—et quod ipsa propinquitas loci, si Romana arma omnibus infesta finitimis essent, stimulabat. In fines Romanos excucurrerunt populabundi magis quam iusti more belli. Itaque non castris positis, non exspectato hostium exercitu, raptam ex agris praedam portantes Veios rediere. Romanus contra postquam hostem in agris non invenit, dimicationi ultimae instructus intentusque Tiberim transit. Quem postquam castra ponere et ad urbem accessurum Veientes audivere, obviam egressi ut potius acie decernerent quam inclusi de tectis moenibusque dimicarent. Ibi viribus nulla arte adiutis, tantum veterani robore exercitus rex Romanus vicit; persecutusque fusos ad moenia hostes, urbe valida muris ac situ ipso munita abstinuit, agros rediens vastat, ulciscendi magis quam praedae studio; eaque clade haud minus quam adversa pugna subacti Veientes pacem petitum oratores Romam mittunt. Agri parte multatis in centum annos indutiae datae.
Haec ferme Romulo regnante domi militiaeque gesta, quorum nihil absonum fidei divinae originis divinitatisque post mortem creditae fuit, non animus in regno avito reciperando, non condendae urbis consilium, non bello ac pace firmandae. Ab illo enim profecto viribus datis tantum valuit ut in quadraginta deinde annos tutam pacem haberet. Multitudini tamen gratior fuit quam patribus, longe ante alios acceptissimus militum animis; trecentosque armatos ad custodiam corporis quos Celeres appellavit non in bello solum sed etiam in pace habuit.
[16] His immortalibus editis operibus cum ad exercitum recensendum contionem in campo ad Caprae paludem haberet, subito coorta tempestas cum magno fragore tonitribusque tam denso regem operuit nimbo ut conspectum eius contioni abstulerit; nec deinde in terris Romulus fuit. Romana pubes sedato tandem pavore postquam ex tam turbido die serena et tranquilla lux rediit, ubi vacuam sedem regiam vidit, etsi satis credebat patribus qui proximi steterant sublimem raptum procella, tamen velut orbitatis metu icta maestum aliquamdiu silentium obtinuit. Deinde a paucis initio facto, deum deo natum, regem parentemque urbis Romanae salvere universi Romulum iubent; pacem precibus exposcunt, uti volens propitius suam semper sospitet progeniem. Fuisse credo tum quoque aliquos qui discerptum regem patrum manibus taciti arguerent; manavit enim haec quoque sed perobscura fama; illam alteram admiratio viri et pavor praesens nobilitavit. Et consilio etiam unius hominis addita rei dicitur fides. Namque Proculus Iulius, sollicita civitate desiderio regis et infensa patribus, gravis, ut traditur, quamvis magnae rei auctor in contionem prodit. "Romulus" inquit, "Quirites, parens urbis huius, prima hodierna luce caelo repente delapsus se mihi obvium dedit. Cum perfusus horrore venerabundusque adstitissem petens precibus ut contra intueri fas esset, ""Abi, nuntia"" inquit ""Romanis, caelestes ita velle ut mea Roma caput orbis terrarum sit; proinde rem militarem colant sciantque et ita posteris tradant nullas opes humanas armis Romanis resistere posse."" Haec" inquit "locutus sublimis abiit." Mirum quantum illi viro nuntianti haec fides fuerit, quamque desiderium Romuli apud plebem exercitumque facta fide immortalitatis lenitum sit.
(http://www.thelatinlibrary.com/livy/liv.1.shtml?fbclid=IwAR1yW3ocvHHjUg9QAf465jlBFSiLsYDR0LwtbdfJRmQf7ilcSm8vwk41w_I#15)
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Testo tradotto:
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15 La guerra scatenata dai Fidenati fu come una febbre contagiosa che colpì gli animi dei Veienti (i quali, oltretutto, vantavano anche legami etnici, visto che condividevano coi Fidenati l'origine etrusca). E in più c'era il pericolo dei confini, nel caso in cui la potenza romana si fosse rivolta ostilmente contro tutte le popolazioni limitrofe. Così si riversarono in territorio romano senza però seguire i piani di una regolare campagna militare ma piuttosto per saccheggiare i dintorni alla rinfusa. Non si accamparono né attesero l'arrivo dell'esercito nemico, ma tornarono a Veio portandosi via ciò che avevano razziato nelle campagne. I Romani, da parte loro, non avendo trovato il nemico nei campi, attraversarono il Tevere pronti e determinati a sferrare un attacco decisivo. Quando i Veienti vennero a sapere che i nemici si erano accampati e stavano per marciare contro la loro città, andarono loro incontro per decidere la battaglia in campo aperto piuttosto che dover combattere ostacolati dalle case e dalle mura. Nello scontro, senza far ricorso a particolari stratagemmi di supporto alle sue truppe, il re romano ebbe la meglio solo grazie alla fermezza dei suoi veterani: sbaragliò i nemici e li inseguì fino alle mura, ma dovette desistere dall'attaccare la città in quanto risultava ben protetta dalle fortificazioni e dalla sua stessa posizione. Sulla via del ritorno saccheggia le campagne, più per desiderio di vendetta che per fare razzia. E i Veienti, piegati da questo disastroso strascico non meno che dalla sconfitta in battaglia, inviano a Roma dei delegati per chiedere la pace. Ottennero una tregua di cent'anni in cambio della cessione di parte del loro territorio. Grosso modo furono questi i principali avvenimenti politici e militari durante il regno di Romolo. Nessuno di essi impedisce però di prestar fede alla sua origine divina e alla divinizzazione attribuitagli dopo la morte, né al coraggio dimostrato nel riconquistare il regno degli avi, né alla saggezza cui fece ricorso per fondare Roma e renderla forte grazie alle guerre e alla sua politica interna. Fu proprio in virtù di quanto egli le aveva fornito che Roma di lì in poi conobbe quarant'anni di stabilità nella pace. Tuttavia fu più amato dal popolo che dal senato e idolatrato dai suoi soldati come da nessun altro. Tenne per sé, e non solo in tempo di guerra, una scorta di trecento armati cui diede il nome di Celeri.
16 Portati a termine questi atti destinati alla posterità, un giorno, mentre passava in rassegna l'esercito e parlava alle truppe vicino alla palude Capra, in Campo Marzio, scoppiò all'improvviso un temporale violentissimo con gran fragore di tuoni ed egli fu avvolto da una nuvola così compatta che scomparve alla vista dei suoi soldati. Da quel momento in poi, Romolo non riapparve più sulla terra. I giovani romani, appena rividero la luce di quel bel giorno di sole dopo l'imprevisto della tempesta, alla fine si ripresero dallo spavento. Ma quando si resero conto che la sedia del re era vuota, pur fidandosi dei senatori che, seduti accanto a lui, sostenevano di averlo visto trascinato verso l'alto dalla tempesta, ciò nonostante sprofondarono per qualche attimo in un silenzio di tomba, come invasi dal terrore di esser rimasti orfani. Poi, seguendo l'esempio di alcuni di essi, tutti in coro osannarono Romo lo proclamandolo dio figlio di un dio, e re e padre di Roma. Con preghiere ne implorano la benevola assistenza e la continua protezione per i loro figli. Allora, credo, ci fu anche chi in segreto sosteneva la tesi che i senatori avessero fatto a pezzi il re con le loro stesse mani. La notizia si diffuse, anche se in termini non molto chiari. Ma fu resa nota l'altra versione, sia per l'ammirazione nei confronti di una simile figura, sia per la delicatezza della situazione. Si dice anche che ad aumentarne la credibilità contribuì l'astuta trovata di un singolo personaggio. Questi - un certo Giulio Proculo -, mentre la città era in lutto per la perdita del re e nutriva una certa ostilità nei confronti del senato, con tono grave, come se fosse stato testimone di un grande evento, si rivolse in questi termini all'assemblea: «Stamattina, o Quiriti, alle prime luci dell'alba, Romolo, padre di questa città, è improvvisamente sceso dal cielo ed è apparso alla mia vista. Io, in un misto di totale confusione e rispetto, l'ho pregato di accordarmi il permesso di guardarlo in faccia e lui mi ha risposto: "Va' e annuncia ai Romani che la volontà degli dèi celesti è che la mia Roma diventi la capitale del mondo. Quindi si impratichiscano nell'arte militare e sappiano e tramandino ai loro figli che nessuna umana potenza è in grado di resistere alle armi romane." Detto questo,» egli concluse, «è scomparso in cielo.» È incredibile quanto si prestò fede al racconto di quell'uomo e quanto giovò a placare lo sconforto della plebe e dell'esercito per la perdita di Romolo l'assicurazione della sua immortalità.
(http://www.deltacomweb.it/storiaromana/titolivio_storia_di_roma.pdf?fbclid=IwAR2EmjjCHKPXjbUXKd71l7On-W_mVbSmC_BIDNuDZQ1INjUzI-nfepCmVy0)
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Testo latino spiegato:
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[15] Belli Fidenatis contagione inritati Veientium animi et consanguinitate—nam Fidenates quoque Etrusci fuerunt—et quod ipsa propinquitas loci, si Romana arma omnibus infesta finitimis essent, stimulabat.
GLI ANIMI DEI VEIENTI (FURONO…) IRRITATI (inritati (sunt…) Veientium animi) PER LA VICINANZA DELLA GUERRA FIDENATE/CONTRO FIDENE (Belli Fidenatis contagione) E PER LA CONSANGUINEITÀ (COI FIDENATI…) (et consanguinitate) – INFATTI I FIDENATI FURONO/ERANO STATI ANCHE/UN TEMPO ETRUSCHI (nam Fidenates quoque Etrusci fuerunt) – E PER IL FATTO CHE (et quod) LA STESSA VICINANZA DI LUOGO/DELLE LORO PATRIE (LI…) STIMOLAVA (AD AGIRE…) (ipsa propinquitas loci stimulabat), SE/NEL CASO CHE LE ARMI ROMANE FOSSERO OSTILI A TUTTI I CONFINANTI//PER LA PAURA CHE I ROMANI AGGREDISSERO TUTTI I LORO VICINI (si Romana arma omnibus infesta finitimis essent).
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In fines Romanos excucurrerunt populabundi magis quam iusti more belli.
NEI CONFINI ROMANI FECERO INCURSIONE (In fines Romanos excucurrerunt) DISTRUGGENDO/FACENDO RAZZIE (populabundi) PIÙ CHE GIUSTI PER IL MODO DELLA GUERRA/SECONDO IL MODO DI COMBATTERE DELLE GUERRE VERE E PROPRIE (magis quam iusti more belli).
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Itaque non castris positis, non exspectato hostium exercitu, raptam ex agris praedam portantes Veios rediere.
PERCIÒ NON ESSENDO (DA ESSI…) STATI POSTI GLI ACCAMPAMENTI (Itaque non castris positis), NON ESSENDO STATO ASPETTATO (DAI ROMANI…) L’ESERCITO DEI NEMICI (non exspectato hostium exercitu), PORTANDO LA PREDA (praedam portantes) RAPITA/TOLTA DAI CAMPI (raptam ex agris) RITORNAVANO A VEIO (Veios rediere->infinito storico da redeo,is, redii, itum, ere: ritornare).
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Romanus contra postquam hostem in agris non invenit, dimicationi ultimae instructus intentusque Tiberim transit.
(IL POPOLO/L’ESERCITO…) ROMANO DI CONTRO (Romanus contra) DOPO CHE/DAL MOMENTO CHE NON TROVÒ IL NEMICO NEI CAMPI (postquam hostem in agris non invenit), ISTRUITO DALL’ULTIMA BATTAGLIA E AGGUERRITO (dimicationi ultimae instructus intentusque) ATTRAVERSÒ IL TEVERE (Tiberim transit).
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Quem postquam castra ponere et ad urbem accessurum Veientes audivere, obviam egressi ut potius acie decernerent quam inclusi de tectis moenibusque dimicarent.
IL QUALE (=ESERCITO ROMANO) DOPO CHE I VEIENTI UDIRONO/SEPPERO (Quem postquam Veientes audivere->infinito storico da audio,is…: odo) PORRE GLI ACCAMPAMENTI/CHE PONEVA GLI ACCAMPAMENTI (castra ponere; tecnicamente è una infinitiva: udirono che il quale/quello poneva (audiverunt quem ponere) i castri..., ecc.) ED ESSERE SUL PUNTO DI ACCEDERE ALLA CITTÀ/CHE ERANO IN PROCINTO DI ASSALIRE LA CITTÀ (et ad urbem accessurum) GLI ANDARONO INCONTRO (obviam egressi (sunt…)) AFFINCHÉ COMBATTESSERO DALLA CIMA (ut acie decernerent) PIUTTOSTO CHE (potius quam) RINCHIUSI DAI TETTI E DALLE MURA LOTTASSERO/LOTTARE (inclusi de tectis moenibusque dimicarent).
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Ibi viribus nulla arte adiutis, tantum veterani robore exercitus rex Romanus vicit; persecutusque fusos ad moenia hostes, urbe valida muris ac situ ipso munita abstinuit, agros rediens vastat, ulciscendi magis quam praedae studio; eaque clade haud minus quam adversa pugna subacti Veientes pacem petitum oratores Romam mittunt.
QUI LE FORZE (ROMANE…) ESSENDO AIUTATE DA NESSUNA ARTE/CON L’USO DELLA SOLA FORZA/UTILIZZANDO LA SOLA FORZA BRUTA SENZA ALCUN ESPEDIENTE (Ibi viribus nulla arte adiutis), SOLTANTO CON LA FORZA DI UN ESERCITO VETERANO (tantum veterani exercitus robore) IL RE ROMANO VINSE (rex Romanus vicit); E AVENDO INSEGUITO FINO ALLE MURA I NEMICI FUSI/IN DISORDINE (persecutusque fusos ad moenia hostes), SI ASTENNE DALLA CITTÀ (urbe abstinuit) FORTE PER LE MURA E PROTETTA DAL LUGO STESSO/DALLA STESSA COLLOCAZIONE (valida muris ac situ ipso munita), DEVASTA LE CAMPAGNE RITORNANDO INDIETRO (agros rediens vastat), CON LO STUDIO/L’INTENZIONE DI DISTRUGGERE PIÙ CHE DI PREDA/FARE BOTTINO (ulciscendi magis quam praedae studio); E AFFOSSATI DA QUESTA CALAMITÀ (=LA DISTRUZIONE DELLE CAMPAGNE) NON MENO CHE DALLA BATTAGLIA AVVERSA (eaque clade haud minus quam adversa pugna subacti) I VEIENTI MANDANO A ROMA DEGLI ORATORI/DEI MESSI (Veientes oratores Romam mittunt) A CHIEDERE LA PACE (pacem petitum->modo supino da peto,is…: “per chiedere”).
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Agri parte multatis in centum annos indutiae datae.
FU DATA/CONCESSA UN’AMNISTIA PER/DI CENTO ANNI (in centum annos indutiae datae (sunt)) AI (VEIENTI…) MULTATI CON PARTE DELL’AGRO/DELLE LORO TERRE (Agri parte multatis).
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Haec ferme Romulo regnante domi militiaeque gesta, quorum nihil absonum fidei divinae originis divinitatisque post mortem creditae fuit, non animus in regno avito reciperando, non condendae urbis consilium, non bello ac pace firmandae.
QUESTE ALL’INCIRCA (Haec ferme), REGNANDO ROMOLO/QUANDO REGNAVA ROMOLO (Romulo regnante), LE GESTA A CASA/IN ROMA E DELLA MILIZIA/MILITARI (domi militiaeque gesta), DELLE QUALI (GESTA…) NULLA FU STONATO/IN CONTRASTO ALLA/CON LA FEDE/L’IDEA CREDUTA/CUI SI DAVA CREDITO (quorum nihil absonum fidei creditae fuit) DI UN’ORIGINE DIVINA E DELLA (SUA…) DIVINITÀ/DIVINIZZAZIONE DOPO LA MORTE (divinae originis divinitatisque post mortem), NON (LO FU…) L’ANIMO/IL CORAGGIO PER IL REGNO AVITO DA TUTELARE//NON I SUOI SFORZI EROICI PER SALVAGUARDARE LA PATRIA AVITA (non animus in regno avito reciperando), NON IL PROGETTO DELLA CITTÀ DA FONDARE/DI FONDARE LA CITTÀ (non condendae urbis consilium), NON/NÉ IN GUERRA E IN PACE (DELLA CITTÀ…) DA CONSOLIDARE (non bello ac pace firmandae).
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Ab illo enim profecto viribus datis tantum valuit ut in quadraginta deinde annos tutam pacem haberet.
INFATTI DA QUELLO PARTITOSENE/DALLA MORTE DI QUELLO (=ROMOLO) (Ab illo enim profecto->partic. perfetto di proficiscor,eris, prefectus, proficisci: andarsene, partire), DATE LE (SUE…) FORZE (viribus datis), (ROMA…) TANTO/A TAL PUNTO FU VALENTE (tantum valuit) CHE DA LÌ IN POI (ut deinde…) PER QUANRANT’ANNI EBBE/CONSERVÒ UNA PACE TOTALE (…in quadraginta annos tutam pacem haberet).
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Multitudini tamen gratior fuit quam patribus, longe ante alios acceptissimus militum animis; trecentosque armatos ad custodiam corporis quos Celeres appellavit non in bello solum sed etiam in pace habuit.
ALLE MOLTITUDINI TUTTAVIA FI PIÙ GRATO/GRADITO CHE AI PADRI/NOBILI (Multitudini tamen gratior fuit quam patribus), MOLTO DAVANTI AGLI ALTRI (longe ante alios) (FU…) ACCETTATISSIMO/AMATISSIMO DAGLI ANIMI DEI SOLDATI (acceptissimus militum animis)//MA SOPRATTUTTO FU AMATO DALLE MILIZIE (longe ante alios acceptissimus militum animis); EBBE TRECENTO ARMATI PER LA CUSTODIA DEL (SUO…) CORPO (habuit trecentosque armatos ad custodiam corporis) CHE CELERI CHIAMÒ (quos Celeres appellavit), NON SOLO IN GUERRA MA ANCHE IN PACE (non in bello solum sed etiam in pace).
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[16] His immortalibus editis operibus cum ad exercitum recensendum contionem in campo ad Caprae paludem haberet, subito coorta tempestas cum magno fragore tonitribusque tam denso regem operuit nimbo ut conspectum eius contioni abstulerit; nec deinde in terris Romulus fuit.
AVENDO PORTATO A TERMINE QUESTE COSE/OPERE IMMORTALI (His immortalibus editis operibus), QUANDO AVEVA UNA RIUNIONE CON L’ESERCITO DA CENSIRE (cum ad exercitum recensendum contionem haberet) IN UN CAMPO DAVANTI ALLA PALUDE DELLA CAPRA (in campo ad Caprae paludem), IMPROVVISAMENTE ESSENDO SORTA UNA TEMPESTA (subito coorta tempestas; coorta: da coorior, eris…: sorgo) CON GRANDE FRAGORE E CON TUONI (cum magno fragore tonitribusque) (ESSA…) AVVOLSE IL RE CON UN NEMBO COSÌ DENSO CHE (tam denso regem operuit nimbo ut… + cong.) SOTTRASSE LA VISIONE DI ESSO/DI ROMOLO ALL’ASSEMBLEA (conspectum eius contioni abstulerit); NÉ DA ALLORA (nec deinde) SULLA TERRA ROMOLO FU (DI NUOVO…) (in terris Romulus fuit).
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Romana pubes sedato tandem pavore postquam ex tam turbido die serena et tranquilla lux rediit, ubi vacuam sedem regiam vidit, etsi satis credebat patribus qui proximi steterant sublimem raptum procella, tamen velut orbitatis metu icta maestum aliquamdiu silentium obtinuit.
LA GIOVENTÙ ROMANA, ESSENDO SEDATO/RIENTRATO INFINE IL TIMORE (Romana pubes sedato tandem pavore), DOPO CHE AL GIORNO SCURO UNA SERENA E TRANQUILLA LUCE FECE SEGUITO (postquam ex tam turbido die serena et tranquilla lux rediit), QUANDO (ubi) VIDE LA SEDE REGIA/DEL RE VUOTA (vacuam sedem regiam vidit), ANCHE SE ABBASTANZA CREDEVA AI PADRI/NOBILI (etsi satis credebat patribus) CHE ERANO STATI/RIMASTI VICINI (A ROMOLO…) (qui proximi steterant) CHE IL SUBLIME/SOMMO (=ROMOLO) ERA STATO RAPITO DA UNA PROCELLA/RAFFICA DI VENTO (sublimem raptum (esse…) procella), TUTTAVIA COME COLPITA/FERITA DALLA PAURA DELLA (SUA…) MANCANZA (tamen velut orbitatis metu icta) A LUNGO TENNE UN MESTO SILENZIO (maestum aliquamdiu silentium obtinuit).
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Deinde a paucis initio facto, deum deo natum, regem parentemque urbis Romanae salvere universi Romulum iubent; pacem precibus exposcunt, uti volens propitius suam semper sospitet progeniem.
QUINDI L’INIZIO ESSENDO STATO FATTO DA POCHI/INIZIALMENTE IN POCHI (Deinde a paucis initio facto), TUTTI ORDINANO (universi iubent) DI SALUTARE ROMOLO (Romulum salvere) DIO NATO DA UN DIO, RE E PADRE DELLA CITTÀ DI ROMA (deum deo natum, regem parentemque urbis Romanae); CON PREGHIERE (A LUI…) IMPLORANO LA PACE (pacem precibus exposcunt), AFFINCHÉ (uti=ut !) VOLENDO/CON BUONA VOLONTÀ (volens) PROPIZIO SEMPRE SALVI LA SUA PROGENIE/DISCENDENZA (propitius suam semper sospitet progeniem; sospitet: cong. da sospito,as…: salvare, proteggere).
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Fuisse credo tum quoque aliquos qui discerptum regem patrum manibus taciti arguerent; manavit enim haec quoque sed perobscura fama; illam alteram admiratio viri et pavor praesens nobilitavit.
CREDO (credo) CHE VI SIANO STATI ALLORA ANCHE ALCUNI (Fuisse tum quoque aliquos) CHE ARGUIRONO/INSINUARONO SILENZIOSAMENTE/SOTTO VOCE (qui taciti arguerent) CHE IL RE ERA STATO UCCISO DALLE MANI DEI PADRI/NOBILI (discerptum (esse) regem patrum manibus); CIRCOLÒ INFATTI ANCHE QUESTA FAMA (manavit enim haec quoque fama) MA MOLTO OSCURA/INQUIETANTE (sed perobscura); L’AMMIRAZIONE DELL’UOMO E LO SCONCERTO PRESENTE NOBILITÒ/NOBILITARONO/ACCREDITARONO (admiratio viri et pavor praesens nobilitavit) QUELL’ALTRA/LA PRIMA (DICERIA/VERSIONE DEI FATTI…) (illam alteram).
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Et consilio etiam unius hominis addita rei dicitur fides.
E PER IL CONSIGLIO/L’IDEA INOLTRE DI UN/UN UNICO UOMO (Et consilio etiam unius hominis) SI DICE LA FIDUCIA (dicitur fides) ESSER STATA DATA ALLA COSA/ALL’AFFERMAZIONE (addita (esse) rei)//SI NARRA CHE LA COSA FU CREDUTA (addita rei dicitur fides).
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Namque Proculus Iulius, sollicita civitate desiderio regis et infensa patribus, gravis, ut traditur, quamvis magnae rei auctor in contionem prodit.
INFATTI PROCULO IULIO, ESSENDO TURBATA LA CITTÀ PER IL DESIDERIO DEL RE (Namque Proculus Iulius, sollicita civitate desiderio regis) E OSTILEE AI PADRI (et infensa patribus), SERIO, COME È TRAMANDATO (gravis, ut traditur), GARANTE/TESTIMONE (auctor) DI UNA COSA GRANDE (magnae rei) QUANTOSIVOGLIA (quamvis) AVANZÒ NELL’ASSEMBLEA (in contionem prodit).
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"Romulus" inquit, "Quirites, parens urbis huius, prima hodierna luce caelo repente delapsus se mihi obvium dedit.
“ROMOLO” DISSE “QUIRITI, PADRE DI QUESTA CITTÀ (“Romulus" inquit, "Quirites, parens urbis huius), CON LA PRIMA LUCE GIORNALIERA (prima hodierna luce) IMPROVVISAMENTE SCESO DAL CIELO (caelo repente delapsus) SI DIEDE A ME/MI SI PRESENTÒ (se mihi dedit) INCONTRO/PER VIA (obvium).
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Cum perfusus horrore venerabundusque adstitissem petens precibus ut contra intueri fas esset, "Abi, nuntia"" inquit ""Romanis, caelestes ita velle ut mea Roma caput orbis terrarum sit; proinde rem militarem colant sciantque et ita posteris tradant nullas opes humanas armis Romanis resistere posse."
MENTRE STAVO IN PIEDI/RESTAVO IMMOBILE (Cum adstitissem) SPAVENTATO (perfusus horrore) E IN VENERAZIONE (venerabundusque) CHIEDENDO CON PREGHIERE AFFINCHÉ/CHE (petens precibus ut) (MI…) FOSSE PERMESSO (fas esset) GUARDARE CONTRO/DAVANTI A ME/GUARDARLO (contra intueri), “ALLONTANATI (), ANNUNCIA” DISSE “AI ROMANI (Abi, nuntia"" inquit ""Romanis; Abi: 2^ sing. imperat. da abeo,is…: vado via), CHE I CELESTI COSÌ VOGLIONO (caelestes ita velle): CHE LA MIA ROMA SIA IL CAPO/CENTRO DELL’ORBE DELLE TERRE (ut mea Roma caput orbis terrarum sit); QUINDI COLTIVINO LE COSE MILITARI E (LO…) SAPPIANO (proinde rem militarem colant sciantque) E COSÌ AI POSTERI TRAMANDINO CHE ALCUNA OPER UMANA (et ita posteris tradant nullas opes humanas) ALLE ARMI ROMANE PUÒ/POTRÀ RESISTERE (armis Romanis resistere posse).”
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" Haec" inquit "locutus sublimis abiit."
“QUESTE COSE” DISSE “AVENDO DETTO (Haec" inquit "locutus) IL SUBLIME ANDÒ VIA/SCOMPARVE (sublimis abiit).”
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Mirum quantum illi viro nuntianti haec fides fuerit, quamque desiderium Romuli apud plebem exercitumque facta fide immortalitatis lenitum sit.
(È…) MIRABILE (Mirum) QUANTO A/PER QUELL’UOMO CHE ANNUNZIAVA (quantum illi viro nuntianti) QUESTA FIDUCIA VI SIA STATA/SI SIA CREDUTO (haec fides fuerit), E QUANTO IL DESIDERIO DI ROMOLO PRESSO LA PLEBE E L’ESERCITO (quamque desiderium Romuli apud plebem exercitumque) SIA STATO LENITO/ALLEVIATO (lenitum sit) DA QUESTA FEDE FATTA/DA QUESTO GUIRAMENTO (facta fide) DELLA (SUA…) IMMORTALITÀ (immortalitatis).
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