La divinazione presso i popoli antichi (Cicerone; De Divinatione)
- Adriano Torricelli
- 4 dic 2018
- Tempo di lettura: 5 min
Vetus opinio est iam usque ab heroicis ducta temporibus, eaque et populi Romani et omnium gentium firmata consensu, versari quandam inter homines divinationem, quam Graeci μαντική appellant, id est praesensionem et scientiam rerum futurarum. Magnifica quaedam res et salutaris, si modo est ulla, quaque proxime ad deorum vim natura mortalis possit accedere. Itaque ut alia nos melius multa quam Graeci, sic huic praestantissimae rei nomen nostri a divis, Graeci, ut Plato interpretatur, a furore duxerunt.
Gentem quidem nullam video neque tam humanam atque doctam neque tam immanem tamque barbaram, quae non significari futura et a quibusdam intellegi praedicique posse censeat. Principio Assyrii, ut ab ultimis auctoritatem repetam, propter planitiam magnitudinemque regionum quas incolebant, cum caelum ex omni parte patens atque apertum intuerentur, traiectiones motusque stellarum observitaverunt, quibus notati, quid cuique significaretur memoriae prodiderunt. Qua in natione Chaldaei, non ex artis sed ex gentis vocabulo nominati, diuturna observatione siderum scientiam putantur effecisse, ut praedici posset, quid cuique eventurum et quo quisque fato natus esset. Eandem artem etiam Aegyptii longinquitate temporum innumerabilibus paene saeculis consecuti putantur. Cilicum autem et Pisidarum gens et his finituma Pamphylia, quibus nationibus praefuimus ipsi, volatibus avium cantibus que certissimis signis declarari res futuras putant.
Quam vero Graecia coloniam misit in Aeoliam, Ioniam, Asiam, Siciliam, Italiam sine Pythio aut Dodonaeo aut Hammonis oraculo? Aut quod bellum susceptum ab ea sine consilio deorum est?
Testo e traduzione (con commento):
Vetus opinio est iam usque ab heroicis ducta temporibus, eaque et populi Romani et omnium gentium firmata consensu, versari quandam inter homines divinationem, quam Graeci μαντική appellant, id est praesensionem et scientiam rerum futurarum.
Vi è una vecchia opinione, risalente (iam: già) sin dai tempi eroici, e (ea: essa) tenuta salda nel consenso sia del popolo romano che di tutte le genti, secondo cui si troverebbe tra gli uomini una qualche capacità di predizione, che i Greci chiamano “mantica”, ovvero (id est -> ha qui valore avverbiale: “cioè”) presentimento e scienza delle cose future.
Magnifica quaedam res et salutaris, si modo est ulla, quaque proxime ad deorum vim natura mortalis possit accedere.
Magnifica e salutare (sarebbe, sott.) una tale cosa, se solo essa esiste, e attraverso cui la natura mortale potrebbe giungere vicinissima alla potenza degli dei.
Itaque ut alia nos melius multa quam Graeci, sic huic praestantissimae rei nomen nostri a divis, Graeci, ut Plato interpretatur, a furore duxerunt.
E come (“ut”… che è correlato a “sic”) noi (abbiamo fatto, sottint.) molte cose meglio dei Greci, nello stesso modo (sic) (abbiamo tratto, sottint.) dagli dei il nome di questa nostra eccellente cosa, (mentre, sottint.) i Greci, come interpreta Platone, l’hanno tratta dal furore profetico.
Traduzione migliore: E in questa come in molte altre cose meglio dei Greci, abbiamo tratto il nome di questa eccellentissima attività dagli dei, mentre essi (secondo quanto sostiene Platone) l’hanno tratta dal furore profetico.
Costruzione sintattica della frase: ut alia nos melius multa quam Graeci duximus (come facemmo meglio dei Greci molte altre cose), sic huic rei nomen a divis duximus (così noi traemmo il nome di questa attività dagli dei), Graeci, ut Plato interpretatur, a furore duxerunt (i Greci, come interpreta Platone, dalla follia profetica).
Gentem quidem nullam video neque tam humanam atque doctam neque tam immanem tamque barbaram, quae non significari futura et a quibusdam intellegi praedicique posse censeat.
Senza dubbio nessun popolo conosco, tanto mite e dotto, e nemmeno tanto terribile e (tanto) barbaro, che non sostenga (censeat) poter essere indicate (posse significari) e comprese o predette (intellegi praedicique)le cose future da alcune persone.
Principio Assyrii, ut ab ultimis auctoritatem repetam, propter planitiam magnitudinemque regionum quas incolebant, cum caelum ex omni parte patens atque apertum intuerentur, traiectiones motusque stellarum observitaverunt, quibus notatis, quid cuique significaretur memoriae prodiderunt.
In principio gli Assiri, perché io riprenda questa opinione dai suoi inizi (cioè dagli ultimi: “ab ultimis”…), di fronte alla piattezza e alla maestà delle terre che abitavano, quando vedevano il cielo sgombro e aperto da ogni parte, osservavano le traiettorie e i moti delle stelle, annotati i quali (“quibus notatis”: ablat. assoluto, riferito logicamente a traiettorie e moti stellari), tenevano memoria di (letteralm., dei memoriali (sogg.) tramandavano (verbo “prodiderunt”)) cosa significassero secondo ciascuno (letteralm., cosa fosse significato/indicato a ciascuno: “quid cuique significaretur”).
Qua in natione Chaldaei, non ex artis sed ex gentis vocabulo nominati, diuturna observatione siderum scientiam putantur effecisse, ut praedici posset, quid cuique eventurum et quo quisque fato natus esset.
Nella quale nazione (-> ovvero quella degli Assiri, che in seguito fu dei Caldei…) i Caldei, che traggono il nome (vocabulo nominati) non dalle arti ma dai popoli, sono ritenuti autori (putantur effecisse: sono ritenuti avere creato la) della scienza degli astri attraverso l’osservazione continua: come si possa predire (letteralm., esser predetto (il futuro)), cosa a ciascuno debba accadere (eventurum esset) e per quale destino ciascuno sia nato.
Eandem artem etiam Aegyptii longinquitate temporum innumerabilibus paene saeculis consecuti putantur.
La stessa arte da lungo tempo (longiquitate temporum) anche gli Egizi si ritiene abbiano sviluppato (consecuti (esse) putantur: sono ritenuti aver proseguito) per secoli quasi innumerabili.
Cilicum autem et Pisidarum gens et his finituma Pamphylia, quibus nationibus praefuimus ipsi, volatibus avium cantibusque (ut) certissimis signis declarari res futuras putant.
Ed anche poi il popolo dei Cilici e dei Pisidari, e la Pamfilia a essi molto vicina, delle quali nazioni noi stessi ((nos, sott.) ipsi) fummo a capo (praefuimus), ritengono che si conoscano le cose future attraverso i voli e i canti degli uccelli, in quanto segni certissimi.
Quam vero Graecia coloniam misit in Aeoliam, Ioniam, Asiam, Siciliam, Italiam sine Pythio aut Dodonaeo aut Hammonis oraculo?
Quando (Quam) in verità la Grecia fondò una colonia in Eolia, Ionia, Asia, Sicilia e Italia senza l’oracolo Pitico o di Dodona o di Ammone?
Aut quod bellum susceptum ab ea sine consilio deorum est?
O quale guerra è stata sostenuta da essa, senza il consiglio degli dei?
Traduzione professionale:
È un'opinione antica, risalente ai tempi leggendari e corroborata dal consenso del popolo romano e di tutte le genti, che vi siano uomini dotati di una sorta di divinazione - chiamata dai greci mantiké -, cioè capaci di presentire il futuro e di acquisirne la conoscenza. Capacità magnifica e salutare, se davvero esiste, grazie alla quale la natura di noi mortali si avvicinerebbe il più possibile alla potenza degli dèi! E come in altri casi noi romani ci esprimiamo molto meglio dei greci, così anche a questa straordinaria dote i nostri antenati dettero un nome tratto dalle divinità, mentre i greci, come spiega Platone, derivarono il nome corrispondente dalla follìa. Non conosco, in verità, alcun popolo, dai più civili e colti fino ai più efferati e barbari, che non creda che il futuro si manifesti con segni premonitori, e che esistano persone capaci di comprenderli e di spiegarli in anticipo. Incominciamo dalle testimonianze più antiche: per primi gli assiri, abitando vasti territori pianeggianti e potendo perciò vedere il cielo aperto fino all'orizzonte in ogni direzione, osservarono assiduamente i passaggi e i moti delle stelle, e, quando li ebbero registrati, tramandarono ai posteri quale presagio costituissero per ciascun individuo. Tra gli assiri, si ritiene che in particolare i caldèi - nome di una gente, non della loro arte - con l'incessante osservazione delle stelle abbiano fondato una scienza che permetteva di predire che cosa sarebbe accaduto a ciascuno e con quale destino ciascuno era nato. La stessa maestria si crede che abbiano raggiunto anche gli egiziani, nel corso di un tempo lunghissimo, durante secoli pressoché innumerevoli. Ancora: gli abitanti della Cilicia e della Pisidia e quelli, confinanti con loro, della Panfilia (genti, tutte, che io ho governato) credono che il volo e il canto degli uccelli servano a predire con la massima certezza il futuro. E la Grecia inviò mai dei propri abitanti a fondar colonie in Eolia, in Ionia, in Asia, in Sicilia, in Italia senza aver prima consultato l'oracolo di Delfi o quello di Dodona o quello di Ammone? E quale guerra fu intrapresa dai greci senza aver consultato gli dèi?
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