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Immagine del redattoreAdriano Torricelli

LA MORTE È IL VERO GIUDICE DELLA VITA

Aggiornamento: 14 lug 2022

LA MORTE È IL VERO GIUDICE DELLA VITA

(Seneca, Lettere a Lucilio: XXVI, 1-7)

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Un testo straordinario di Seneca, nel quale il celebre filosofo afferma che – al di là dei bei discorsi e delle belle teorie di cui molti uomini (e specialmente i filosofi…) si ammantano – solo la morte è in grado di mostrare la vera tempra di un uomo (verum robur animi)! La vita è perciò tutta una preparazione alla morte, o meglio la morte è l’attimo culminante della vita di ogni uomo, il suo suggello definitivo.

Per questo essa non deve essere temuta, ma bisogna piuttosto andarvi incontro con coraggio.

Così egli afferma, nella parte finale di questa stupenda lettera a Lucilio, a chiosa di tutto il discorso precedente:

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Una est catena quae nos alligatos tenet, amor vitae, qui ut non est abiciendus, ita minuendus est, ut si quando res exiget, nihil nos detineat nec impediat quominus parati simus quod quandoque faciendum est statim facere. – Una sola è la catena che ci avvinghia: l’amore per la vita, il quale, come non deve essere disprezzato, allo stesso tempo non deve essere sopravvalutato (ita minuendus est), cosicché quando la situazione lo esiga (ut si quando res exiget), niente ci trattenga né ci impedisca di essere pronti a fare subito (nihil nos detineat nec impediat quominus parati simus … statim facere), ciò che deve essere fatto (quod faciendum est) prima o poi (quandoque).

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Testo latino:

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XXVI. SENECA LUCILIO SUO SALUTEM

[1] Modo dicebam tibi in conspectu esse me senectutis: iam vereor ne senectutem post me reliquerim. Aliud iam his annis, certe huic corpori, vocabulum convenit, quoniam quidem senectus lassae aetatis, non fractae nomen est: inter decrepitos me numera et extrema tangentis. [2] Gratias tamen mihi apud te ago: non sentio in animo aetatis iniuriam, cum sentiam in corpore. Tantum vitia et vitiorum ministeria senuerunt: viget animus et gaudet non multum sibi esse cum corpore; magnam partem oneris sui posuit. Exsultat et mihi facit controversiam de senectute: hunc ait esse florem suum. Credamus illi: bono suo utatur. [3] Ire in cogitationem iubet et dispicere quid ex hac tranquillitate ac modestia morum sapientiae debeam, quid aetati, et diligenter excutere quae non possim facere, quae nolim, proinde habiturus atque si nolim quidquid non posse me gaudeo: quae enim querela est, quod incommodum, si quidquid debebat desinere defecit? [4] 'Incommodum summum est' inquis 'minui et deperire et, ut proprie dicam, liquescere. Non enim subito impulsi ac prostrati sumus: carpimur, singuli dies aliquid subtrahunt viribus.' Ecquis exitus est melior quam in finem suum natura solvente dilabi? non quia aliquid mali ictus <est> et e vita repentinus excessus, sed quia lenis haec est via, subduci. Ego certe, velut appropinquet experimentum et ille laturus sententiam de omnibus annis meis dies venerit, ita me observo et alloquor: [5] 'nihil est' inquam 'adhuc quod aut rebus aut verbis exhibuimus; levia sunt ista et fallacia pignora animi multisque involuta lenociniis: quid profecerim morti crediturus sum. Non timide itaque componor ad illum diem quo remotis strophis ac fucis de me iudicaturus sum, utrum loquar fortia an sentiam, numquid simulatio fuerit et mimus quidquid contra fortunam iactavi verborum contumacium. [6] Remove existimationem hominum: dubia semper est et in partem utramque dividitur. Remove studia tota vita tractata: mors de te pronuntiatura est. Ita dico: disputationes et litterata colloquia et ex praeceptis sapientium verba collecta et eruditus sermo non ostendunt verum robur animi; est enim oratio etiam timidissimis audax. Quid egeris tunc apparebit cum animam ages. Accipio condicionem, non reformido iudicium.' [7] Haec mecum loquor, sed tecum quoque me locutum puta. Iuvenior es: quid refert? non dinumerantur anni. Incertum est quo loco te mors exspectet; itaque tu illam omni loco exspecta.

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Traduzione libera:

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SENECA SALUTA IL SUO LUCILIO Recentemente ti dicevo di essere in vista della vecchiaia: ormai temo di aver lasciato la vecchiaia dietro di me. Un'altra parola ormai si addice a questi anni, certamente a questo corpo, poiché in verità vecchiaia è definizione di età stanca, non distrutta: annoverami tra i decrepiti e tra quelli che toccano i momenti estremi. Tuttavia mi rendo grazie di fronte a te: non sento nell'animo l'offesa dell'età, mentre la sento nel corpo. Soltanto le cattive abitudini e le dipendenze dalle cattive abitudini sono invecchiate: l'animo è vigoroso ed è lieto del fatto che per lui non molto c'è in comune col corpo; ha deposto gran parte del proprio peso. Esulta e mi fa contestazione a proposito della vecchiaia: dice che questa è la sua età fiorita. Crediamogli: sfrutti il proprio benessere. Mi esorta a rivolgermi alla meditazione e a individuare che cosa di questa tranquillità e moderazione dei comportamenti io debba alla saggezza, che cosa all'età, e a distinguere attentamente le cose che non posso fare, e quelle che non voglio (fare), essendo disposto a considerare come se non volessi tutto ciò che sono lieto di non potere: quale motivo di lamento c'è infatti, quale danno, se è venuto meno tutto ciò che doveva finire? "È un malanno gravissimo" dici, "consumarsi e deperire e, per dirla propriamente, sciogliersi. Infatti non siamo colpiti e abbattuti improvvisamente: siamo consumati, le giornate, una alla volta, sottraggono qualcosa alle (nostre) forze."Esiste una qualche conclusione migliore che scivolare verso la propria fine perché la naturaci dissolve? Non perché sia qualcosa di male un ictus e un improvviso decesso, ma perché è indolore questo passaggio, essere sottratti impercettibilmente. Io certamente, come se si avvicinasse il momento della prova e fosse giunto quel giorno destinato a emettere il verdetto su tutti i miei anni, così mi osservo e parlo: "nulla è" dico "finora quello che o con i fatti o con le parole ho dimostrato; queste sono garanzie dell'animo superficiali e ingannevoli e avvolte da molti abbellimenti: quali progressi io abbia fatto sono destinato a saperlo con certezza dalla morte. Non timidamente dunque mi predispongo a quel giorno in cui, rimossi ornamenti e belletti, sono destinato a giudicare su di me, (per vedere) se dico cose coraggiose o le penso, se per caso non sia stata simulazione e farsa tutto ciò che, contro la sorte, ho scagliato di parole sprezzanti. Lascia da parte la stima degli uomini: è sempre incerta e si divide in entrambi i sensi. Lascia da parte gli studi praticati per tutta la vita: è la morte destinata a emettere il giudizio su di te. Così intendo dire: le dispute e le chiacchiere da letterati e le parole raccolte dalle massime dei filosofi e un discorso non mostrano la vera forza dell'animo; anche nelle persone più paurose infatti è presente un parlare coraggioso. Che cosa tu abbia fatto allora apparirà, quando esalerai l'ultimo respiro. Accetto la condizione, non temo il giudizio." Queste parole dico tra me, ma fai conto che io abbia parlato anche con te. più giovane: che cosa importa? Non si contano gli anni. Non si sa in quale luogo la morte ti attende; e quindi tu aspettala in ogni luogo.

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Testo spiegato:

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[1] Modo dicebam tibi in conspectu esse me senectutis: iam vereor ne senectutem post me reliquerim.

POCO FA TI DICEVO DI ESSERE PROSSIMO ALLA VECCHIAIA: ORAMAI TEMO DI ESSERMI LASCIATO DIETRO LA VECCHIAIA.

Aliud iam his annis, certe huic corpori, vocabulum convenit, quoniam quidem senectus lassae aetatis, non fractae nomen est: inter decrepitos me numera et extrema tangentis.

UN ALTRO TERMINE CONVIENE A QUESTI ANNI, DI CERTO PER QUANTO RIGUARDA IL CORPO, DAL MOMENTO CHE CERTO VECCHIAIA È SINONIMO DI ETÀ SPOSSATA, NON PIEGATA: ANNOVERAMI TRA I DECREPITI E COLORO CHE STANNO GIUNGENDO ALL’ESTREMO.

[2] Gratias tamen mihi apud te ago: non sentio in animo aetatis iniuriam, cum sentiam in corpore.

TUTTAVIA TI PORTO UNA NOTIZIA LIETA: NON SENTO NELL’ANIMO L’INGIURIA DELL’ETÀ, ANCHE SE LA SENTO NEL CORPO!

Tantum vitia et vitiorum ministeria senuerunt: viget animus et gaudet non multum sibi esse cum corpore; magnam partem oneris sui posuit.

SOLTANTO I VIZI E LE LORO SERVITÙ SONO INVECCHIATI! L’ANIMO È VIGILE E GODE DI NON ESSERE PIÙ MOLTO CON IL CORPO/CONDIZIONATO DAL CORPO (gaudet non multum sibi esse cum corpore); GRAN PARTE DEL SUO PESO L’HA COSì DEPOSTO.

Exsultat et mihi facit controversiam de senectute: hunc ait esse florem suum. Credamus illi: bono suo utatur.

ESULTA E MI FA UNA CONTROVERSIA SULLA VECCHIAIA/CORREGGE LE MIE CONVINZIONI SULLA VECCHIAIA (mihi facit controversiam de senectute): QUESTA – MI DICE – È IN VERITÀ IL SUO FIORE. CREDIAMOGLI: E SI GODA LA SUA FELICITÀ.

[3] Ire in cogitationem iubet et dispicere quid ex hac tranquillitate ac modestia morum sapientiae debeam, quid aetati, et diligenter excutere quae non possim facere, quae nolim, proinde habiturus atque si nolim quidquid non posse me gaudeo: quae enim querela est, quod incommodum, si quidquid debebat desinere defecit?

CHIEDE DI RITIRARSI IN MEDITAZIONE E DISTINGUERE QUEL CHE DI QUESTA TRANQUILLITÀ E MODERAZIONE DEI COSTUMI ESSA DEBBA ALLA SAPIENZA E COSA ALL’ETÀ, E DI INVESTIGARE LE COSE CHE NON POSSO PIÙ FARE E QUELLE CHE CHE NON VOGLIO, PER QUESTO SONO FELICE (proinde… gaudeo), AVENDO IN FUTURO (IO…) (IL PRIVILEGIO…) ANCHE/POICHÉ AVRÒ ANCHE IL PRIVILEGIO (habiturus atque) CHE, QUALORA NON VOGLIA (FARE…) QUALSIASI COSA (si nolim quidquid), (GIÀ…) NON POTRÒ (FARLA…) (non posse me)! INFATTI QUALE LAMENTELA POTREBBE SORGERE, QUALE INCOMODO, SE QUALSIASI COSA IO SIA COSTRETTO AD ABBANDONARE, GIÀ È CESSATA!?

[4] 'Incommodum summum est' inquis 'minui et deperire et, ut proprie dicam, liquescere. Non enim subito impulsi ac prostrati sumus: carpimur, singuli dies aliquid subtrahunt viribus.'

“IL SOMMO DOLORE – MI DICI/DIRAI – È INDEBOLIRSI E DEPERIRE E, PER DIRLA TUTTA, DISFARSI. INFATTI NON SI È IMPROVVISAMENTE ABBATTUTI E PROSTRATI: SIAMO PRESI/SIAMO COME PRIGIONIERI, I SINGOLI GIORNI TOLGONO QUALCOSA ALLE FORZE/OGNI SINGOLO GIORNO CI SOTTRAE UN PO’ DI FORZA (singuli dies aliquid subtrahunt viribus)!”

Ecquis exitus est melior quam in finem suum natura solvente dilabi? non quia aliquid mali ictus <est> et e vita repentinus excessus, sed quia lenis haec est via, subduci.

E QUALE (Ecquis) ESITO VI È/SAREBBE MIGLIORE CHE GIUNGERE, DISSOLVENDO(CI) LA NATURA/PER MANO DELLA NATURA (natura solvente), SINO ALLA SUA/PROPRIA FINE? (COSA MEGLIO CHE…) ESSERE ANNULLATI (dilabi), NON PERCHÉ UN QUALCOSA DI MALE (SIA…) UN ICTUS/COLPO E (AVVENGA…) UN’IMPROVVISA USICITA DALLA VITA (e vita repentinus excessus), MA PERCHÈ LA STRADA È DOLCE/LIEVE E PRIVA DI SCOSSE…

Ego certe, velut appropinquet experimentum et ille laturus sententiam de omnibus annis meis dies venerit, ita me observo et alloquor: [5] 'nihil est' inquam 'adhuc quod aut rebus aut verbis exhibuimus; levia sunt ista et fallacia pignora animi multisque involuta lenociniis: quid profecerim morti crediturus sum.

IO CERTAMENTE, AL PARI CHE SE (velut) SI APPROPINQUASSE UNA PROVA E FOSSE (GIÀ…) GIUNTO IL GIORNO CHE GIUDICHERÀ TUTTI GLI ANNI DELLA MIA VITA, COSÌ MI OSSERVO E PARLO A ME STESSO: “NULLA È – (MI…) DICO – FINORA (adhuc) CIÒ CHE ABBIAMO ESIBITO O CON PAROLE O CON AZIONI; SONO COSE DA POCO QUESTE, E INGANNEVOLI PEGNI DELLO SPIRITO E INTRISI DI TANTI ALLETTAMENTI: ALLA MORTE SARÒ CREDITORE DI /AFFIDERÒ ALLA MORTE/MOSTRERÒ (SOLO…) ALLA MORTE (morti crediturus sum) COSA REALMENTE HO CONQUISTATO/SONO DIVENUTO (quid profecerim).

Non timide itaque componor ad illum diem quo remotis strophis ac fucis de me iudicaturus sum, utrum loquar fortia an sentiam, numquid simulatio fuerit et mimus quidquid contra fortunam iactavi verborum contumacium.

PER QUESTO CON IMPEGNO (non timide) MI PREPARO A QUEL GIORNO IN CUI, (ESSENDO…) LONTANI ORAMAI ASTUZIE E INGANNI (remotis strophis ac fucis: è un ablativo assoluto!), SARò GIUDICATO RIGUARDO A ME STESSO/SI GIUDICHERÀ DI ME (de me iudicaturus sum) SE PROCLAMI COSE FORTI/COSE VIRILI (utrum loquar fortia) O SE (LE…) SENTA (ANCHE…) (an sentiam), SE SIA STATA TUTTA UNA FINZIONE (numquid simulatio fuerit) E (IO…), SOLO COME UN ATTORE (et mimus), HO SCAGLIATO QUALCOSA DI OSTILE DI PAROLE/MI SIA SCAGLIATO CONTRO L’AVVERSA FORTUNA (quidquid contumacium verborum contra fortunam iactavi).

[6] Remove existimationem hominum: dubia semper est et in partem utramque dividitur. Remove studia tota vita tractata: mors de te pronuntiatura est.

IGNORA LA STIMA DEGLI ALTRI UOMINI. ESSA È SEMPRE DUBBIA E SI DIVIDE IN CIASCUNA DELLE DUE PARTI/IN PARTI EGUALI (in partem utramque; uterque: “ciascuna delle due parti”). IGNORA GLI STUDI AFFRONTATI PER TUTTA LA VITA: LA MORTE SU DI TE SI PRONUNCERÀ (mors de te pronuntiatura est).

Ita dico: disputationes et litterata colloquia et ex praeceptis sapientium verba collecta et eruditus sermo non ostendunt verum robur animi; est enim oratio etiam timidissimis audax.

QUESTO DICO: LE DISPUTE, I COLLOQUI LETTERARI, LE FRASI PRESE DAI PRECETTI DEI SAPIENTI E IL PARLARE CON ERUDIZIONE NON MOSTRANO LA VERA TEMPRA DI UN’ANIMA; IL DISCORSO INFATTI È AUDACE ANCHE TRA I VIGLIACCHI/SE PRONUNCIATO DAI VIGLIACCHI.

Quid egeris tunc apparebit cum animam ages. Accipio condicionem, non reformido iudicium.'

QUEL CHE HAI FATTO DAVVERO (DI TE STESSO…), ALLORA APPARIRÀ: QUANDO TIRERAI FUORI LA TUA ANIMA/QUANDO MORIRAI (cum animam ages). ACCETTO LA CONDIZIONE/IL FATTO, NON TEMO IL GIUDIZIO.”

[7] Haec mecum loquor, sed tecum quoque me locutum puta. Iuvenior es: quid refert? non dinumerantur anni.

MI DICO QUESTE COSE, MA TU RITIENI CHE LE ABBIA DETTE ANCHE A TE. SEI PIÙ GIOVANE: MA COSA IMPORTA? NON CONTANO GLI ANNI.

Incertum est quo loco te mors exspectet; itaque tu illam omni loco exspecta.

È INCERTO IN QUALE LUOGO/ IL LUOGO E IL TEMPO NEI QUALI (quo loco) LA MORTE (TI…) ATTENDERÀ; PERCIÒ TU ATTENDILA IN OGNI LUOGO E TEMPO.

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