LA NOSTALGIA DELL’ETA’ DELL’ORO E L’INFERNO DEI TRADITORI D’AMORE
(TIBULLO; Libro I, 3)
La seconda parte della terza elegia del libro I del Corpus tibulliano. In questa elegia, Tibullo si lamenta di non poter seguire il suo amico e mecenate, Messalla, in una spedizione militare in Oriente (egli infatti, a causa di una malattia, si è dovuto fermare a Corfù e, una volta guarito, dovrà presumibilmente ritornare a Roma!) e canta inoltre la sua nostalgia per l'amata Delia, rimasta sola a casa e separatasi a malincuore da lui.
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Tibullo (54 a.C.(?) – 19 a.C.) fu il più grande poeta della cerchia di Messalla, come - più o meno negli stessi anni - Virgilio e Orazio lo furono di quella di Mecenate.
I poeti del primo circolo si distinsero tuttavia rispetto ai secondi per la centralità assunta nelle loro opere dalle tematiche intimistiche e amorose, e per il disinteresse verso i temi politici (laddove invece Virgilio, ad esempio, celebrava la grandezza della neonata Roma imperiale, vista – ipocritamente – come custode dei valori della tradizione repubblicana!) anticipando una sensibilità che diventerà sempre più centrale nella letteratura posteriore e in generale nello spirito stesso della civiltà imperiale (…una delle espressioni di questa nostalgia e di questo profondo desiderio di pace e sicurezza, la ritroviamo nella diffusione sempre più pervasiva dei molteplici culti di salvezza - tra i quali, secoli dopo, prevarrà il Cristianesimo).
L’opera di Tibullo è tutta impregnata di una sorta di "trasognata nostalgia " per qualcosa di irreale e mitizzato: una leggendaria “età dell’oro” segnata da una pace agreste e da sentimenti familiari e raccolti, che il poeta cerca di far rivivere nella sua vita privata, estremamente ritirata e priva di ambizioni di successo mondano e materiale!
Nell’opera di Tibullo e dei suoi seguaci, vediamo confluire due interessi o valori essenzialmente nuovi per il mondo antico e fondamentalmente estranei alla cultura greca, sia classica sia ellenistica:
l'interesse verso la persona, vista nella sua dimensione profonda e individuale, quindi irripetibile (un atteggiamento che, seppure in modo diverso, già vediamo affacciarsi nell’opera, di carattere biografico, del grande Catullo e che verrà sviluppato ulteriormente da un autore come S. Agostino, con le sue modernissime analisi della psicologia umana),
e l’aspirazione e il vagheggiamento di una “realtà soprasensibile, simbolica e trasfigurata” (Francesco Della Corte) che liberi l’uomo dalle ingiustizie e dalle atrocità della vita reale e quotidiana (...altro tema che gli autori cristiani, con la centralità data all'idea del premio o della punizione divina e della vita eterna, svilupperanno ulteriormente.)
Di questi due temi, è il secondo quello che vediamo meglio rappresentato in questo brano, dove a una prima parte in cui si ricorda una mitica età dell’oro e della pace (quella di Saturno), fa seguito un’altra in cui si descrivono sia il premio destinato dopo la morte a coloro che, come il poeta, sono rimasti fedeli al dio Amore, sia le tremende punizioni destinate a coloro che, al contrario, hanno osato disobbedirgli.
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TESTO LATINO:
[…] Quam bene Saturno vivebant rege, priusquam
Tellus in longas est patefacta vias!
Nondum caeruleas pinus contempserat undas,
Effusum ventis praebueratque sinum,
Nec vagus ignotis repetens conpendia terris
Presserat externa navita merce ratem.
Illo non validus subiit iuga tempore taurus,
Non domito frenos ore momordit equus,
Non domus ulla fores habuit, non fixus in agris,
Qui regeret certis finibus arva, lapis.
Ipsae mella dabant quercus, ultroque ferebant
Obvia securis ubera lactis oves.
Non acies, non ira fuit, non bella, nec ensem
Inmiti saevus duxerat arte faber.
Nunc Iove sub domino caedes et vulnera semper,
Nunc mare, nunc leti mille repente viae.
Parce, pater. Timidum non me periuria terrent,
Non dicta in sanctos inpia verba deos.
Quodsi fatales iam nunc explevimus annos,
Fac lapis inscriptis stet super ossa notis:
'Hic iacet inmiti consumptus morte Tibullus,
Messallam terra dum sequiturque mari.'
Sed me, quod facilis tenero sum semper Amori,
Ipsa Venus campos ducet in Elysios.
Hic choreae cantusque vigent, passimque vagantes
Dulce sonant tenui gutture carmen aves,
Fert casiam non culta seges, totosque per agros
Floret odoratis terra benigna rosis;
Ac iuvenum series teneris inmixta puellis
Ludit, et adsidue proelia miscet Amor.
Illic est, cuicumque rapax mors venit amanti,
Et gerit insigni myrtea serta coma.
At scelerata iacet sedes in nocte profunda
Abdita, quam circum flumina nigra sonant:
Tisiphoneque inpexa feros pro crinibus angues
Saevit, et huc illuc inpia turba fugit.
Tum niger in porta serpentum Cerberus ore
Stridet et aeratas excubat ante fores.
Illic Iunonem temptare Ixionis ausi
Versantur celeri noxia membra rota,
Porrectusque novem Tityos per iugera terrae
Adsiduas atro viscere pascit aves.
Tantalus est illic, et circum stagna, sed acrem
Iam iam poturi deserit unda sitim,
Et Danai proles, Veneris quod numina laesit,
In cava Lethaeas dolia portat aquas.
Illic sit, quicumque meos violavit amores,
Optavit lentas et mihi militias.
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TRADUZIONE LETTERARIA
(...di tutta l’elegia, con la parte inerente il brano qui esaminato in grassetto!):
Sull'onde dell'Egeo senza di me, Messalla,
voi ve ne andrete. Oh, se almeno tu e gli amici
vi ricordaste di me! Qui, tra i feaci, ammalato
mi trattiene una terra sconosciuta.
Allontana le tue avide mani,
morte tenebrosa; tienle lontane,
ti prego, nera morte. Qui non c'è mia madre,
che mesta nel grembo raccolga le ossa bruciate,
né mia sorella, che sulle ceneri sparga
profumi di Siria e con i capelli sciolti
pianga alle mie esequie. E neppure c'è Delia,
che prima di lasciarmi partire da Roma,
dicono che consultasse tutti gli dei.
Tre volte dalle mani di un ragazzo
estrasse a sorte i presagi e tre volte
quello le diede responsi innegabili:
tutti promettevano il mio ritorno,
ma lei non seppe trattenere il pianto,
guardando con ansia al mio viaggio.
Ed io, per tentare di consolarla,
quando avevo ormai predisposto tutto,
cercavo angosciato ogni motivo per ritardare,
adducendo a pretesto ora gli auspici,
ora i presagi infausti o infine che mi tratteneva
la maledizione del giorno di Saturno.
Quante volte, messomi in cammino, mi sono detto:
'Inciampare col piede sulla soglia
è certo un segnale di malaugurio!'
Nessuno mai tenti di allontanarsi,
contro la volontà di Amore, oppure sappia
che parte con la proibizione del dio.
Che mi giova, Delia, la tua Iside ora?
che mi giovano quei bronzi che tante volte
la tua mano ha agitato
o quel tuo purificarti nell'acqua,
seguendo piamente il rito,
quel tuo dormire da sola, ricordo,
in un letto illibato?
Ora, ora, dea, soccorrimi (che tu mi possa guarire
lo mostrano tutti gli ex voto dei tuoi templi);
in cambio la mia Delia, sciogliendo i suoi voti,
sederà vestita di lino
davanti all'ingresso sacrato
e, sciolti i capelli, due volte al giorno
canterà le tue lodi come ti è dovuto,
distinguendosi tra la folla degli egizi.
Invece a me spetterà venerare i Penati paterni
e ogni mese offrire l'incenso al Lare antico.
Com'era felice la vita sotto il regno di Saturno,
prima che la terra fosse aperta a viaggi lontani!
Sfidato ancora non aveva il pino
le onde azzurre del mare e offerto al vento
vele spiegate, né in cerca di lucro,
battendo terre sconosciute, un marinaio
aveva colmato la nave di merci straniere.
Mai in quel tempo un toro
sottomise al giogo la propria forza,
né un cavallo con la bocca domata morse il freno;
nessuna casa aveva porte e
non si piantavano pietre nei campi
per fissare confini invalicabili ai poderi.
Stillavano miele le querce
e spontaneamente le agnelle
gonfie di latte offrivano le poppe
alla gente serena.
Non c'era esercito, né rabbia, guerre
o un fabbro disumano
che con arte crudele foggiasse le spade.
Ora sotto la signoria di Giove
non vi sono che ferite ed eccidi,
ora il mare, ora le mille vie
d'una morte improvvisa.
Padre mio, risparmiami! Timorato come sono
non mi rimordono spergiuri
o empie parole contro la santità degli dei.
Se oggi ho compiuto gli anni assegnati dal fato,
concedi che sulle mie ossa
si erga una lapide con questo inciso:
'Qui giace, consunto da morte crudele, Tibullo,
mentre seguiva Messalla per terra e mare'.
Ma, poiché sempre m'arrendo alle carezze d'amore,
Venere in persona mi guiderà nei campi Elisi.
Qui regnano danze e canzoni,
intrecciando voli, gli uccelli
con voce acuta intonano i loro dolci gorgheggi;
il suolo incolto genera cannella
e per tutta la campagna la terra
a profusione fiorisce di rose profumate,
mentre schiere di giovani folleggiano
insieme a fanciulle in fiore e l'amore
accende continue battaglie.
Tutti quaggiú sono gli amanti
che la rapacità della morte raggiunse
e sui capelli lucenti recano corone di mirto.
La sede dei reprobi invece
giace nascosta nella profondità della notte
circondata dal cupo rumore dei fiumi;
scarmigliata v'imperversa Tisífone,
che per capelli ha feroci serpenti,
e la turba degli empi si disperde in ogni dove.
All'ingresso con le fauci di drago
nero sibila Cerbero,
che dinnanzi ai battenti di bronzo monta la guardia.
Nel vortice di una ruota laggiú
gira il corpo scellerato d'Issione,
che non si peritò d'insidiare Giunone;
e disteso su nove iugeri di terra
Tizio con le sue nere viscere
nutre gli uccelli che imperversano.
Laggiú è Tantalo e intorno ha uno stagno,
ma quando è sul punto di bere
l'acqua elude la sua sete pungente;
e la prole di Dànao,
che ha offeso le leggi di Venere,
porta in botti senza fondo le acque del Lete.
Laggiú, laggiú finisca
chi tentò di violare il mio amore,
augurandomi una milizia senza fine.
Ma tu conservati pura, ti prego,
e custode del tuo casto pudore,
ti sieda sempre vicino una vecchia premurosa,
che raccontandoti favole, alla luce della lucerna,
tragga dalla gonfia conocchia
l'interminabile suo filo,
finché accanto la giovane,
al suo compito faticoso intenta,
non sia vinta dal sonno a poco a poco
e lasci in terra cadere il lavoro.
A quel punto vorrei d'improvviso arrivare,
senza che prima nessuno mi annunci,
comparirti davanti come piovuto dal cielo.
A quel punto, cosí come sarai,
con i lunghi capelli scarmigliati,
a piedi scalzi corrimi incontro, mia Delia.
Questo io prego: che su cavalli dorati
splendente l'aurora mi porti
l'alba radiosa di un giorno cosí.
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TRADUZIONE LETTERALE (SPIEGATA):
(…Per una guida alla traduzione: https://www.yumpu.com/it/document/read/16422065/elegie-scelte/30?fbclid=IwAR2tGG0d7QbfWTAMZerSe2hMTeFzIOQyJTOJXErF3MQXf0dnm74SXek8Rb8)
[…]]Quam bene Saturno vivebant rege, priusquam
Quando era re Saturno (Saturno rege: ablat. assol.) quanto vivevano bene (gli uomini…), prima che
Tellus in longas est patefacta vias!
la Terra era/fosse aperta aperta in lunghe strade (in longas vias)!
Nondum caeruleas pinus contempserat undas,
Non ancora (Nondum) il pino/la nave aveva disprezzato/sfidato (contempserat: piuccheperf. indic. da contemno) le onde cerulee (…del mare),
Effusum ventis praebueratque sinum,
e (non ancora…) aveva porto/esposto (praebuerat) ai venti la rete/vela (sinum),
Nec vagus ignotis repetens conpendia terris
Né vagabondo/inquieto (vagus) tendendo (repetens: part. da repeto: tendo a + acc.) con/attraverso terre ignote a guadagni (compendia)
Presserat externa navita merce ratem.
esterni/eteri il navigatore/marinaio (navita= nauta,ae) aveva premuto/calcava (presserat: da premo: schiaccio, opprimo) la zattera/nave (ratem).
Illo non validus subiit iuga tempore taurus,
In quel tempo (Illo tempore) il coraggioso (validus) toro non subì/fu sottomesso/era sottomesso ai gioghi (subiit iuga; subiit: perf. da subio: vado sotto, subisco + acc.),
Non domito frenos ore momordit equus,
il cavallo non morse/mordeva (momordit: perf. di mordeo: mordo) i freni con bocca domata (domito ore),
Non domus ulla fores habuit, non fixus in agris,
Nessuna (Non ulla=non alcuna) casa ebbe/aveva porte (fores), non/né nei campi (vi era…) pietra (lapis) fissa,
Qui regeret certis finibus arva, lapis.
che reggesse/decretasse (regeret: imperf. cong. da rego: reggo, decreto) i terreni (arva) con confini certi.
Ipsae mella dabant quercus, ultroque ferebant
Le querce stesse (Ipsae quercus->4^ declin.) davano il miele (mella: letter., i mieli; plur. da mel, melis: miele), e inoltre (ultroque) portavano
Obvia securis ubera lactis oves.
le pecore (oves) rigogliose poppe (obvia ubera) con sicuro/abbodante latte (securis lactis: plurale!)
Non acies, non ira fuit, non bella, nec ensem
Non eserciti, non ira/odio vi fu, non guerre, né il fabbro spietato (faber saevus) l’elsa/spada (ensem)
Inmiti saevus duxerat arte faber.
aveva inventato con arte/tecnica crudele (arte immiti).
Nunc Iove sub domino caedes et vulnera semper,
Ora sotto il dominatore Giove/col dominio di Giove (sub Iove domino) assassini/stragi e ferimenti sempre,
Nunc mare, nunc leti mille repente viae.
ora il mare/i pericoli del mare (mare,is: mare; qui indica il mare come fonte i pericoli…), ora mille (mille: indeclinabile) vie/strade di morte (leti: gen. di letum: morte) repentina (repente: letteralm. sarebbe un avverbio).
Parce, pater. Timidum non me periuria terrent,
Risparmia(mi), padre (->Giove!). Non mi atterriscono/spaventano (me terrent) gli spergiuri, (me…) cauto/pio (timidus),
Non dicta in sanctos inpia verba deos.
non (mi spaventano…) empi detti (impia dicta) contro i santi dei.
Quodsi fatales iam nunc explevimus annos,
Perciò se (Quodsi= quod si) già oramai (nunc) riempimmo/usammo (explevimus: perf. da expleo: riempio; si tratta di un plurale maiestatis! Il sogg. è quindi Tibullo…) gli anni fatali/del fato/assegnatici,
Fac lapis inscriptis stet super ossa notis:
fai (fac: imperat. di facio: faccio, determino) che stia/vi sia (stet: cong. con valore finale =ut stet) una pietra (lapis) sopra le (mie…) ossa con delle note/parole (notis) inscritte/scolpite:
'Hic iacet inmiti consumptus morte Tibullus,
“Qui giace Tibullo consumato/piegato da una morte crudele,
Messallam terra dum sequiturque mari.'
mentre (dum) accompagna/accompagnava (sequitur: 3^ sing. ind. pres. da sequor,eris: seguo, accompagno) Messalla per terra e per mare (terra et (-que) mari).”
Sed me, quod facilis tenero sum semper Amori,
Ma me, poiché da sempre sono remissivo al tenero Amore,
Ipsa Venus campos ducet in Elysios.
la stessa Venere porterà (ducet) nei campi Elisi (…cioè, il luogo della beatitudine eterna!)
Hic choreae cantusque vigent, passimque vagantes
Qui (…cioè, nei campi Elisi) vigeranno/domineranno le danze e i canti, qua e là (passim) vaganti/vagando
Dulce sonant tenui gutture carmen aves,
uccelli (aves) con dolce voce (tenui gutture) fanno risuonare (sonant) un canto/dei canti (carmen).
Fert casiam non culta seges, totosque per agros
La terra agricola (seges) non coltivata (non culta) porta la cassia (...una pianta profumata), e per tutti i campi
Floret odoratis terra benigna rosis;
la terra benigna/generosa fiorisce con rose prufumate;
Ac iuvenum series teneris inmixta puellis
E (Ac) una serie/un gruppo/tanti giovani mescolata/o/i a tenere giovinette
Ludit, et adsidue proelia miscet Amor.
gioca/si diverte, e Amore di continuo suscita battaglie (d’amore…).
Illic est, cuicumque rapax mors venit amanti,
Lì (Illic) è/si trova (colui… c’è un “is” sottinteso, da cui dipende “cuicumque”) al quale/presso al quale (cuiumque: dat. sing. di quicumque: “il quale”, con valore indeterminato), mentre amava (amanti: part. dat. sing. di amo,as), giunse la Morte rapace,
Et gerit insigni myrtea serta coma.
e porta (costui…) sulla bella chioma (insigni coma) serti di morto.
At scelerata iacet sedes in nocte profunda
Ma tremenda/punitiva (scelerata) giace/vi è una sede in una notte/oscurità profonda
Abdita, quam circum flumina nigra sonant:
nascosta (abdita), che tutt’attorno (circum) fiumi oscuri (flumina negra) fanno risuonare:
Tisiphoneque inpexa feros pro crinibus angues
Tisifone (Tisiphone,es; è una delle Furie) feroce (e…) spettinata (impexa) con serpenti (angues: si tratta di accusativo di relazione)al posto dei capelli (pro crinibus)
Saevit, et huc illuc inpia turba fugit.
infierisce/incrudelisce/infuria, e qui e là (huc illuc) l’empia turba/massa fugge. (L’empia turba è quella dei traditori dell’Amore!)
Tum niger in porta serpentum Cerberus ore
Allora/E poi (tum) il nero Cerbero sulla porta (in porta) con la bocca dei (suoi…) serpenti (ore serpentum) (N.B: Cerbero era custode dell’inferno e aveva tre teste irte di serpi!)
Stridet et aeratas excubat ante fores.
Stride e monta la guardia (excubat) davanti alle entrate di bronzo/impenetrabili (aeratas).
Illic Iunonem temptare Ixionis ausi
Lì avendo osato (ausi: partic. perf. di audeo,es, ausus, ere: oso -> verbo semideponente; il caso genitivo lo fa dipendere da Ixionis) tentare Giunone di Issione
Versantur celeri noxia membra rota,
le membra si rigirano (versantur: da versor,aris…: mi rigiro) con danno (noxia) sulla celere ruota (celeri rota),
Porrectusque novem Tityos per iugera terrae
Tizio (Tityos,yi) sdraiato per/lungo nove iugeri (porrectus per novem iugera) di terra
Adsiduas atro viscere pascit aves.
nutre uccelli assidui/assiduamente (aves adsiduas) col (suo…) nero viscere/stomaco.
Tantalus est illic, et circum stagna, sed acrem
Tantalo è lì, e attorno (circum) acque stagnanti (stagna), ma
Iam iam poturi deserit unda sitim,
l’onda (dello stagno…) già/continuamente (iam iam) diserta/si allontana da (deserit: da desero,is, serui, sertu, ere: mi separo da) l’acre/tremenda sete (acrem sitim) di colui che sta per bere (poturi: genit. sing. masc. di poturus: partic. futuro da poto…: bevo) (cioè, di Tantalo!),
Et Danai proles, Veneris quod numina laesit,
e la figliolanza di Danao (Danai), poiché lese/recò danno/disobbedì a gli ordini (numina) di Venere
In cava Lethaeas dolia portat aquas.
porta in secchi bucati (in dolia cava; nota l’accusativo che indica moto a luogo, non quiete…) le acque del Lete (Lethaeas).
Illic sit, quicumque meos violavit amores,
Lì sia/stia, colui che (chiunque sia…) (quicumque: pronome relativo indefinito) violò/insediò i miei amori,
Optavit lentas et mihi militias.
(e…) desiderò per me/mi augurò (optavit mihi) una lunga spedizione militare (lentas militias). (N.B: L’elegia infatti narra della malattia di Tibullo, che gli impedisce di partecipare a una spedizione militare, cosa che l’avrebbe allontanato a lungo dalla sua amante!)
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