LA SETE DI CONOSCENZA, LA CURIOSITÀ PER L’IGNOTO
(Seneca, De Otio - 5)
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Questo testo che parla del desiderio dell’uomo di conoscere ciò che lo circonda, di dare una risposta alle grandi questioni cosmologiche e filosofiche che da sempre lo attanagliano (Il nostro pensiero si apre un passaggio attraverso i baluardi del cielo e non si accontenta di conoscere ciò che si mostra: «Scruto» dice «ciò che si trova al di là dell’universo, se è una profondità sterminata, o se anch’esso è racchiuso all’interno dei suoi confini; qual è l’aspetto delle cose che stanno al suo esterno...»), si inserisce nel discorso – già precedentemente analizzato – sul valore della contemplazione nella vita del saggio, in particolare in quella del filosofo stoico.
È interessante notare come molte delle questioni sollevate abbiano valore e interesse ancora oggi, essendo però forse divenute argomento di studio, più che della filosofia, della scienza!
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È inoltre utile osservare che quel che Seneca afferma della Natura nei paragrafi 3, 4, 5, dove essa è in qualche modo personificata, attribuendole egli delle intenzioni e un piano preciso riguardo al ruolo dell’uomo come suo conoscitore e ammiratore (La natura ci ha dato un animo desideroso di sapere, e – consapevole della sua abilità e bellezza – ci ha generati spettatori per così grandi spettacoli, destinata – come sarebbe – a perdere il frutto del suo lavoro se mostrasse ad un deserto opere tanto grandi, tanto luminose, tanto accuratamente elaborate, tanto limpide e, per molti aspetti, belle…), non vada assolutamente inteso in senso figurato o metaforico, come sarebbe giusto fare se fosse un testo moderno.
Infatti, secondo la dottrina stoica, la Natura è un essere intelligente e divino, come tale dotato di intenzionalità e orientata al Bene. Nulla quindi avviene in essa a caso.
Si capisce allora che quando Seneca afferma: “(la Natura) ci ha posti al centro di sé, e ci ha concesso di vedere tutt’attorno ogni cosa; e non ha dato solamente la postura eretta all’uomo, ma – per renderlo adatto alla contemplazione, perché potesse seguire il corso degli astri dal sorgere al tramontare, e volgere intorno il suo sguardo insieme con tutto l’universo – gli ha fatto una testa rivolta verso l’alto e l’ha posta su un collo flessibile; quindi, facendo apparire sei costellazioni di giorno e sei di notte, non c’è parte di sé che non gli abbia dispiegato, per fargli nascere il desiderio di conoscere anche tutte gli altri fenomeni, attraverso questi che aveva posto sotto ai suoi occhi”, non stia affatto giocando con le parole o parlando per iperboli, ma stia al contrario descrivendo uno stato delle cose che Essa – secondo lui – ha realmente voluto e pianificato (e ciò – si badi – pur non essendo un essere trascendente e personale, come il Dio degli Ebrei e dei Cristiani): uno stato di cose che esiste, quindi, in modo necessario, e non per ragioni fortuite e casuali, come tenderemmo invece a intendere noi moderni sull’onda del nostro pensiero materialistico-meccanicistico.
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Questo brano, peraltro, mi ha richiamato alla mente alcuni brani delle Diatribe di Epitteto, laddove quest’ultimo fa affermazioni in gran parte analoghe a queste, come quando ad esempio dice:
“E dunque che avviene? I singoli animali Dio li conforma sì che l’uno debba essere mangiato, l’altro debba servire per i lavori nei campi: l’uno perché produca formaggio, l’altro per qualche simile utilità. Tutte cose per le quali che bisogno c’era d’intendere le percezioni sensibili e di saperle distinguere? Ma l’uomo egli lo introdusse nel mondo come contemplatore di Lui e delle opere sue, e non solo contemplatore, ma anche espositore. Perciò è vergogna per un uomo cominciare e finire dove le bestie; o piuttosto egli deve cominciare sì di lì, ma finire dove anche la natura finì per noi; ed essa finì nella contemplazione e nell’intelligenza e nel menare una vita consona alla natura. Badate dunque di non morire senza avere goduto tale spettacolo.” (*) (da Epitteto, Diatribe: I, 6: 18-21; traduzione di Piero Donnini)
Tutto ciò a riprova di quanto afferma lo stesso Seneca in questo breve testo sull’ozio: il fatto cioè di non essersi egli inventato nulla e di non avere introdotto nulla di personale nella sua filosofia, ma di essersi invece attenuto a quanto già detto in precedenza dai suoi maestri Zenone e Crisippo, e più in generale dagli altri pensatori stoici…
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(*) [18] τί οὖν; ἐκείνων ἕκαστον κατασκευάζει τὸ μὲν ὥστ᾽ ἐσθίεσθαι, τὸ δ᾽ ὥστε ὑπηρετεῖν εἰς γεωργίαν, τὸ δ᾽ ὥστε τυρὸν φέρειν, τὸ δ᾽ ἄλλο ἐπ᾽ ἄλλῃ χρείᾳ παραπλησίῳ, πρὸς ἃ τίς χρεία τοῦ παρακολουθεῖν ταῖς φαντασίαις καὶ ταύτας διακρίνειν δύνασθαι; [19] τὸν δ᾽ ἄνθρωπον θεατὴν εἰσήγαγεν αὐτοῦ τε καὶ τῶν ἔργων τῶν αὐτοῦ, καὶ οὐ μόνον θεατήν, ἀλλὰ καὶ ἐξηγητὴν αὐτῶν. [20] διὰ τοῦτο αἰσχρόν ἐστι τῷ ἀνθρώπῳ ἄρχεσθαι καὶ καταλήγειν ὅπου καὶ τὰ ἄλογα, ἀλλὰ μᾶλλον ἔνθεν μὲν ἄρχεσθαι, καταλήγειν δὲ ἐφ᾽ ὃ κατέληξεν ἐφ᾽ ἡμῶν καὶ ἡ φύσις. [21] κατέληξεν δ᾽ ἐπὶ θεωρίαν καὶ παρακολούθησιν καὶ σύμφωνον διεξαγωγὴν τῇ φύσει. ὁρᾶτε οὖν, μὴ ἀθέατοι τούτων ἀποθάνητε. . (http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text...)
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TESTO ORIGINALE:
(per testo latino e traduzione libera: http://www2.classics.unibo.it/Did.../LatBC/SenOtioTxt.pdf...)
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5. 1. Solemus dicere summum bonum esse secundum naturam vivere: natura nos ad utrumque genuit, et contemplationi rerum et actioni. Nunc id probemus quod prius diximus. Quid porro? hoc non erit probatum, si se unusquisque consuluerit quantam cupidinem habeat ignota noscendi, quam ad omnis fabulas excitetur? 2. Navigant quidam et labores peregrinationis longissimae una mercede perpetiuntur cognoscendi aliquid abditum remotumque. Haec res ad spectacula populos contrahit, haec cogit praeclusa rimari, secretiora exquirere, antiquitates evolvere, mores barbararum audire gentium. 3. Curiosum nobis natura ingenium dedit et artis sibi ac pulchritudinis suae conscia spectatores nos tantis rerum spectaculis genuit, perditura fructum sui, si tam magna, tam clara, tam subtiliter ducta, tam nitida et non uno genere formosa solitudini ostenderet. 4. Ut scias illam spectari voluisse, non tantum aspici, vide quem nobis locum dederit: in media nos sui parte constituit et circumspectum omnium nobis dedit; nec erexit tantummodo hominem, sed etiam habilem contemplationi factura, ut ab ortu sidera in occasum labentia prosequi posset et vultum suum circumferre cum toto, sublime fecit illi caput et collo flexili inposuit; deinde sena per diem, sena per noctem signa producens nullam non partem sui explicuit, ut per haec quae optulerat oculis eius cupiditatem faceret etiam ceterorum. 5. Nec enim omnia nec tanta visimus quanta sunt, sed acies nostra aperit sibi investigandi viam et fundamenta vero iacit, ut inquisitio transeat ex apertis in obscura et aliquid ipso mundo inveniat antiquius: unde ista sidera exierint; quis fuerit universi status, antequam singula in partes discederent; quae ratio mersa et confusa diduxerit; quis loca rebus adsignaverit, suapte natura gravia descenderint, evolaverint levia, an praeter nisum pondusque corporum altior aliqua vis legem singulis dixerit; an illud verum sit quo maxime probatur homines divini esse spiritus, partem ac veluti scintillas quasdam astrorum in terram desiluisse atque alieno loco haesisse. 6. Cogitatio nostra caeli munimenta perrumpit nec contenta est id quod ostenditur scire: ‘illud’ inquit ‘scrutor quod ultra mundum iacet, utrumne profunda vastitas sit an et hoc ipsum terminis suis cludatur; qualis sit habitus exclusis, informia et confusa sint, [an] in omnem partem tantundem loci optinentia, an et illa in aliquem cultum discripta sint; huic cohaereant mundo, an longe ab hoc secesserint et hic in vacuo volutetur; individua sint per quae struitur omne quod natum futurumque est, an continua eorum materia sit et per totum mutabilis; utrum contraria inter se elementa sint, an non pugnent sed per diversa conspirent.’ 7. Ad haec quaerenda natus, aestima quam non multum acceperit temporis, etiam si illud totum sibi vindicat. Qui licet nihil facilitate eripi, nihil neglegentia patiatur excidere, licet horas suas avarissime servet et usque in ultimum aetatis humanae terminum procedat nec quicquam illi ex eo quod natura constituit fortuna concutiat, tamen homo ad inmortalium cognitionem nimis mortalis est. 8. Ergo secundum naturam vivo si totum me illi dedi, si illius admirator cultorque sum. Natura autem utrumque facere me voluit, et agere et contemplationi vacare: utrumque facio, quoniam ne contemplatio quidem sine actione est.
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TESTO TRADOTTO:
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5.1. Siamo soliti dire che il sommo bene consiste nel vivere secondo natura: la natura ci ha generato per tutte e due le attività, per la contemplazione e per l’azione. Dimostriamo ora la prima affermazione. Che poi? Ciò non sarà dimostrato, se ciascuno si chiederà quanto desiderio abbia dell’ignoto, quanto sia attratto da ogni racconto? 2. Alcuni vanno per mare e sopportano le fatiche di un lunghissimo viaggio per il solo compenso di conoscere qualcosa di nascosto e di lontano. Questo fatto richiama le folle agli spettacoli; questo induce a scrutare cercando di penetrare ciò che è precluso, a investigare ciò che è più segreto, a srotolare i volumi del passato, ad ascoltare i racconti sui costumi dei popoli barbari. 3. La natura ci ha dato un animo desideroso di sapere, e – consapevole della sua abilità e bellezza – ci ha generati spettatori per così grandi spettacoli, destinata – come sarebbe – a perdere il frutto del suo lavoro se mostrasse ad un deserto opere tanto grandi, tanto luminose, tanto accuratamente elaborate, tanto limpide e, per molti aspetti, belle. 4. Perché tu sappia che essa ha voluto che la contemplassimo, e non le rivolgessimo solamente uno sguardo, considera che posto ci ha assegnato: ci ha posti al centro di sé, e ci ha concesso di vedere tutt’attorno ogni cosa; e non ha dato solamente la postura eretta all’uomo, ma – per renderlo adatto alla contemplazione, perché potesse seguire il corso degli astri dal sorgere al tramontare, e volgere intorno il suo sguardo insieme con tutto l’universo – gli ha fatto una testa rivolta verso l’alto e l’ha posta su un collo flessibile; quindi, facendo apparire sei costellazioni di giorno e sei di notte, non c’è parte di sé che non gli abbia dispiegato, per fargli nascere il desiderio di conoscere anche tutte gli altri fenomeni, attraverso questi che aveva posto sotto ai suoi occhi. 5. Non le vediamo infatti tutte né tanto grandi quanto sono, ma la nostra vista si apre la via per investigare e getta le fondamenta per la verità, in modo che la ricerca passi da ciò che è evidente a ciò che è oscuro, e scopra qualcosa di più antico del mondo stesso: da dove sono venuti fuori questi astri; quale fosse la condizione dell’universo prima che i singoli elementi si separassero per formare diverse aggregazioni; quale principio razionale abbia separato le cose ammassate e confuse, chi abbia assegnato il loro posto alle cose; se per loro natura i corpi pesanti sono scesi verso il basso, e quelli leggeri si sono sollevati verso l’alto, o se, indipendentemente dalla spinta e dal peso, una qualche forza superiore abbia stabilito una legge per i singoli corpi; se sia vera l’affermazione – con la quale si proverebbe che gli uomini sono di spirito divino – che una parte e per così dire delle scintille di astri sono cadute sulla terra e si sono fissate in un luogo a loro estraneo. 6. Il nostro pensiero si apre un passaggio attraverso i baluardi del cielo e non si accontenta di conoscere ciò che si mostra: «Scruto» dice «ciò che si trova al di là dell’universo, se è una profondità sterminata, o se anch’esso è racchiuso all’interno dei suoi confini; qual è l’aspetto delle cose che stanno al suo esterno; se sono informi e confuse, se occupano in ogni direzione la stessa quantità di spazio, o se sono organizzate a costituire un qualche cosmo; se sono unite a questo nostro mondo, o si sono ritirate lontano da questo, ed esso si volge nel vuoto; se atomi indivisibili costituiscono tutto ciò che è nato e che sarà, oppure la loro materia è un tutto unico, e soggetta a cambiamenti nel suo insieme; se gli elementi sono contrari tra di loro, o se invece non lottano tra di loro, ma per vie opposte tendano ad un medesimo fine». 7. Nato per queste ricerche, considera quanto poco tempo abbia ricevuto l’uomo, anche se lo rivendica interamente per sé. Quand’anche egli non lasciasse che a questo tempo fosse sottratto neppure un attimo per troppa condiscendenza, non fosse portato via neppure un momento per trascuratezza, custodisse le sue ore con la più grande avarizia, e giungesse al limite estremo concesso all’uomo, e la sorte non gli scuotesse via nulla di ciò che la natura ha posto per lui, tuttavia, per la conoscenza delle realtà immortali l’uomo è troppo mortale. 8. Dunque vivo secondo natura, se mi sono dato tutto ad essa, se l’ammiro e la contemplo. La natura infatti ha voluto che io mi dedicassi ad entrambe le attività, all’azione e alla contemplazione: io mi dedico ad entrambe, poiché neppure la contemplazione è senza azione.
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TESTO LATINO SPIEGATO:
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5. 1. Solemus dicere summum bonum esse secundum naturam vivere: natura nos ad utrumque genuit, et contemplationi rerum et actioni. Nunc id probemus quod prius diximus. Quid porro? hoc non erit probatum, si se unusquisque consuluerit quantam cupidinem habeat ignota noscendi, quam ad omnis fabulas excitetur?
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5.1. Siamo soliti dire che il sommo bene consiste nel vivere secondo natura (Solemus dicere summum bonum esse secundum naturam vivere): la natura ci ha generato per tutte e due le attività (natura nos ad utrumque genuit; ad utrumque: letter.: “per ciascuna delle due cose”), per la contemplazione e per l’azione (et contemplationi rerum et actioni). Dimostriamo ora la prima affermazione (Nunc id probemus quod prius diximus). Che poi (Quid porro)? Ciò non sarà dimostrato (hoc non erit probatum), se ciascuno si chiederà quanto desiderio abbia dell’ignoto (si se unusquisque consuluerit quantam cupidinem habeat ignota noscendi; se unusquisque consuluerit: letter.: “se ciascuno consulterà se stesso su/in merito a…”), quanto sia attratto da ogni racconto (quam ad omnis fabulas excitetur: letter.: “la quale (=la sete di conoscere cose ignote: cupidinem ignota noscendi) è eccitata/portata ad ogni racconto”)?
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2. Navigant quidam et labores peregrinationis longissimae una mercede perpetiuntur cognoscendi aliquid abditum remotumque. Haec res ad spectacula populos contrahit, haec cogit praeclusa rimari, secretiora exquirere, antiquitates evolvere, mores barbararum audire gentium.
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2. Alcuni vanno per mare e sopportano le fatiche di un lunghissimo viaggio per il solo compenso di conoscere qualcosa di nascosto e di lontano (Navigant quidam et labores peregrinationis longissimae una mercede perpetiuntur cognoscendi aliquid abditum remotumque). Questo fatto richiama le folle agli spettacoli; questo induce a scrutare cercando di penetrare ciò che è precluso, a investigare ciò che è più segreto, a srotolare i volumi del passato, ad ascoltare i racconti sui costumi dei popoli barbari (Haec res ad spectacula populos contrahit, haec cogit praeclusa rimari, secretiora exquirere, antiquitates evolvere, mores barbararum audire gentium).
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3. Curiosum nobis natura ingenium dedit et artis sibi ac pulchritudinis suae conscia spectatores nos tantis rerum spectaculis genuit, perditura fructum sui, si tam magna, tam clara, tam subtiliter ducta, tam nitida et non uno genere formosa solitudini ostenderet.
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3. La natura ci ha dato un animo desideroso di sapere (Curiosum nobis natura ingenium dedit), e – consapevole della sua abilità e bellezza (et artis sibi ac pulchritudinis suae conscia) – ci ha generati spettatori per così grandi spettacoli (spectatores nos tantis rerum spectaculis genuit), destinata – come sarebbe – a perdere il frutto del suo lavoro (perditura fructum sui; letter.: “perdendo il frutto suo/dal momento che avrebbe perso il suo frutto”; perditura: partic. futuro di perdo…) se mostrasse ad un deserto opere tanto grandi, tanto luminose, tanto accuratamente elaborate, tanto limpide e, per molti aspetti, belle (si tam magna, tam clara, tam subtiliter ducta, tam nitida et non uno genere formosa solitudini ostenderet; si solitudini ostenderet: “se avesse mostrato a un luogo solitario/desolato”… l’oggetto è: tam magna, tam clara, ecc.; non uno genere formosa: “bella non secondo un solo genere/in una sola direzione”).
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4. Ut scias illam spectari voluisse, non tantum aspici, vide quem nobis locum dederit: in media nos sui parte constituit et circumspectum omnium nobis dedit; nec erexit tantummodo hominem, sed etiam habilem contemplationi factura, ut ab ortu sidera in occasum labentia prosequi posset et vultum suum circumferre cum toto, sublime fecit illi caput et collo flexili inposuit; deinde sena per diem, sena per noctem signa producens nullam non partem sui explicuit, ut per haec quae optulerat oculis eius cupiditatem faceret etiam ceterorum.
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4. Perché tu sappia che essa ha voluto che la contemplassimo (Ut scias illam spectari voluisse), e non le rivolgessimo solamente uno sguardo (non tantum aspici), considera che posto ci ha assegnato (vide quem nobis locum dederit): ci ha posti al centro di sé (nos in media parte sui constituit), e ci ha concesso di vedere tutt’attorno ogni cosa (et circumspectum omnium nobis dedit; circumspectum omnium: “la visione circolare di tutte le cose”); e non ha dato solamente la postura eretta all’uomo (nec erexit tantummodo homine; tantummodo: “solamente così”), ma – per renderlo adatto alla contemplazione (sed etiam habilem contemplationi factura; factura habilem… “facendolo abile/capace di…”; factura è partic. futuro che esprime scopo: “per farlo…”), perché potesse seguire il corso degli astri dal sorgere al tramontare (ut ab ortu sidera in occasum labentia prosequi posset; ab ortu in occasum: “dal sorgere al tramonto”), e volgere intorno il suo sguardo insieme con tutto l’universo (et vultum suum circumferre cum toto; circumferre cum toto: letter.: “portarlo (il volto) in circolo con tutto/seguendo il tutto”) – gli ha fatto una testa rivolta verso l’alto e l’ha posta su un collo flessibile (sublime fecit illi caput et collo flexili inposuit; sublime: “rivolto in alto”); quindi, facendo apparire sei costellazioni di giorno e sei di notte, non c’è parte di sé che non gli abbia dispiegato (deinde sena per diem, sena per noctem signa producens, nullam non partem sui explicuit; sena signa: “sei per volta segni/costellazioni” (ancora oggi diciamo “il segno del….” Intendendo la costellazione del…!; nullam non partem sui explicuit= nullam partem sui non explicuit), per fargli nascere il desiderio di conoscere anche tutte gli altri fenomeni, attraverso questi che aveva posto sotto ai suoi occhi (ut per haec quae optulerat oculis eius cupiditatem faceret etiam ceterorum: letter.: “affinché, attraverso queste cose che aveva posto (optulerat: indic. piuccheperf. da obfero: pongo sotto) sotto ai suoi occhi, creasse (in lui…) il desiderio (di conoscenza…) anche dei rimanenti”).
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5. Nec enim omnia nec tanta visimus quanta sunt, sed acies nostra aperit sibi investigandi viam et fundamenta vero iacit, ut inquisitio transeat ex apertis in obscura et aliquid ipso mundo inveniat antiquius: unde ista sidera exierint; quis fuerit universi status, antequam singula in partes discederent; quae ratio mersa et confusa diduxerit; quis loca rebus adsignaverit, suapte natura gravia descenderint, evolaverint levia, an praeter nisum pondusque corporum altior aliqua vis legem singulis dixerit; an illud verum sit quo maxime probatur homines divini esse spiritus, partem ac veluti scintillas quasdam astrorum in terram desiluisse atque alieno loco haesisse.
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5. Non le vediamo infatti tutte né tanto grandi quanto sono (Nec enim omnia nec tanta visimus quanta sunt; letter.: “né infatti tutte né tante le vediamo quante sono”), ma la nostra vista si apre la via per investigare e getta le fondamenta per la verità (sed acies nostra aperit sibi investigandi viam et fundamenta vero iacit), in modo che la ricerca passi da ciò che è evidente a ciò che è oscuro (ut inquisitio transeat ex apertis in obscura), e scopra qualcosa di più antico del mondo stesso (et aliquid ipso mundo inveniat antiquius): da dove sono venuti fuori questi astri (unde ista sidera exierint); quale fosse la condizione dell’universo prima che i singoli elementi si separassero per formare diverse aggregazioni (quis fuerit universi status, antequam singula in partes discederent); quale principio razionale abbia separato le cose ammassate e confuse (quae ratio mersa et confusa diduxerit), chi abbia assegnato il loro posto alle cose (quis loca rebus adsignaverit); se per loro natura i corpi pesanti sono scesi verso il basso, e quelli leggeri si sono sollevati verso l’alto ((an…) suapte natura gravia descenderint, evolaverint levia; questa e la proposizione seguente (an praeter nisum pondusque…) sono due interrogative indirette, ma solo la seconda è introdotta da “an” (“se”), nella prima la particella è sottintesa: così anche avanti in altre interrogat. indirette), o se, indipendentemente dalla spinta e dal peso, una qualche forza superiore abbia stabilito una legge per i singoli corpi (an praeter nisum pondusque corporum altior aliqua vis legem singulis dixerit; praeter nisum pondusque: “al di là della forza e del peso”; aliqua vis legem singulis dixerit: “una qualche forza alle singole cose abbia detto/dato la legge”); se sia vera l’affermazione – con la quale si proverebbe che gli uomini sono di spirito divino (an illud verum sit quo maxime probatur homines divini esse spiritus; verum sit illud quo: “vera sia quella affermazione secondo cui”; probatur homines divini esse spiritus: è provato esseregli uomini spiriti divini: l’infinitiva ha il nominativo e non l’accus. perché essa è il soggetto e non l’oggetto del verbo probatur!!!) – che una parte e per così dire delle scintille di astri sono cadute sulla terra e si sono fissate in un luogo a loro estraneo (partem ac veluti scintillas quasdam astrorum in terram desiluisse atque alieno loco haesisse; altra infinitiva, retta da verum sit…; veluti: “per così dire”; haesisse è infinito passato di haereo,es…: persisto, rimango).
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6. Cogitatio nostra caeli munimenta perrumpit nec contenta est id quod ostenditur scire: ‘illud’ inquit ‘scrutor quod ultra mundum iacet, utrumne profunda vastitas sit an et hoc ipsum terminis suis cludatur; qualis sit habitus exclusis, informia et confusa sint, [an] in omnem partem tantundem loci optinentia, an et illa in aliquem cultum discripta sint; huic cohaereant mundo, an longe ab hoc secesserint et hic in vacuo volutetur; individua sint per quae struitur omne quod natum futurumque est, an continua eorum materia sit et per totum mutabilis; utrum contraria inter se elementa sint, an non pugnent sed per diversa conspirent.’
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6. Il nostro pensiero si apre un passaggio attraverso i baluardi del cielo e non si accontenta di conoscere ciò che si mostra (Cogitatio nostra caeli munimenta perrumpit nec contenta est id quod ostenditur scire; caeli munimenta perrumpit: “rompe i baluardi del cielo”): «Scruto» dice «ciò che si trova al di là dell’universo (‘illud’ inquit ‘scrutor quod ultra mundum iacet: illud scrutor quod: “quello/ciò scruto il quale…”), se è una profondità sterminata, o se anch’esso è racchiuso all’interno dei suoi confini (utrumne profunda vastitas sit an et hoc ipsum terminis suis cludatur; utrumne… an: “se (utrum)… o se (an)”; utrum e an sonno correlati; il -ne di utrumne ha valore interrogativo); qual è l’aspetto delle cose che stanno al suo esterno: se sono informi e confuse, se occupano in ogni direzione la stessa quantità di spazio, o se sono organizzate a costituire un qualche cosmo (qualis sit habitus exclusis: informia et confusa sint, an in omnem partem tantundem loci optinentia, an et illa in aliquem cultum discripta sint; “(an…) informia… an in omnem… an te illa…”; exclusis: le cose chiuse fuori, esterne (al Cosmo…); in omnem parte: “da ogni parte/in ogni direzione”; tantundem loci: letter. “altrettanto di luogo/spazio”; optinentia: partic. plur. neutro di obtineor: “mantengo, tengo”: optinentia sint: “siano ottenenti; tengano, possiedano”; in aliquem cultum discripta sint: “in una qualche armonia siano distribuite/organizzate”); se sono unite a questo nostro mondo, o si sono ritirate lontano da questo, ed esso si volge nel vuoto (huic cohaereant mundo, an longe ab hoc secesserint et hic in vacuo volutetur; “(an…) huic mundo cohaerant”); se atomi indivisibili costituiscono tutto ciò che è nato e che sarà ((an…) individua sint per quae struitur omne quod natum futurumque est: letter.: “se separate tra loro (individua) siano (le cose…) attraverso cui (per quae) è creato tutto ciò che (omne quod) è nato/generato e sarà in futuro”), oppure la loro materia è un tutto unico, e soggetta a cambiamenti nel suo insieme (an continua eorum materia sit et per totum mutabilis; per totum: “da per tutto/dovunque”); se gli elementi sono contrari tra di loro, o se invece non lottano tra di loro, ma per vie opposte tendano ad un medesimo fine (utrum contraria inter se elementa sint, an non pugnent sed per diversa conspirent; utrum… an: “se… o se”); per diversa conspirent: “collaborino attraverso diverse cose/strade”».
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7. Ad haec quaerenda natus, aestima quam non multum acceperit temporis, etiam si illud totum sibi vindicat. Qui licet nihil facilitate eripi, nihil neglegentia patiatur excidere, licet horas suas avarissime servet et usque in ultimum aetatis humanae terminum procedat nec quicquam illi ex eo quod natura constituit fortuna concutiat, tamen homo ad inmortalium cognitionem nimis mortalis est.
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7. Nato per queste ricerche, considera quanto poco tempo abbia ricevuto l’uomo, anche se lo rivendica interamente per sé (Ad haec quaerenda natus, aestima quam non multum acceperit temporis, etiam si illud totum sibi vindicat). Quand’anche egli non lasciasse che a questo tempo fosse sottratto neppure un attimo per troppa condiscendenza (Qui licet nihil (patiatur…) facilitate eripi: letter.: “Il quale (qui: il pronome relativo è riferito al soggetto della frase precedente!) anche se (licet) niente lasciasse/permettesse essere sottratto per condiscendenza/faciloneria”), non fosse portato via neppure un momento per trascuratezza ((licet…) nihil neglegentia patiatur excidere), custodisse le sue ore con la più grande avarizia, e giungesse al limite estremo concesso all’uomo (licet horas suas avarissime servet et usque in ultimum aetatis humanae terminum procedat), e la sorte non gli scuotesse via nulla di ciò che la natura ha posto per lui (nec quicquam illi ex eo quod natura constituit fortuna concutiat; letter.: “né qualsiasi cosa (nec quicquam) da ciò che (ex eo quod) la natura a quello assegnò (illi natura constituit) la fortuna gli rubi”), tuttavia, per la conoscenza delle realtà immortali l’uomo è troppo mortale (tamen homo ad inmortalium cognitionem nimis mortalis est; nimis: “troppo”).
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8. Ergo secundum naturam vivo si totum me illi dedi, si illius admirator cultorque sum. Natura autem utrumque facere me voluit, et agere et contemplationi vacare: utrumque facio, quoniam ne contemplatio quidem sine actione est.
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8. Dunque vivo secondo natura, se mi sono dato tutto ad essa (Ergo secundum naturam vivo si totum me illi dedi; totum me: “tutto me stesso”, accusat. retto da dedi), se l’ammiro e la contemplo (si illius admirator cultorque sum: letter.: “se di quella ammiratore e cultore sono”). La natura infatti ha voluto che io mi dedicassi ad entrambe le attività, all’azione e alla contemplazione (Natura autem utrumque facere me voluit: et agere et contemplationi vacare; utrumque: neutro sing di uterque: ciascuno dei due: quindi: “ciascuna delle due cose”; et agere et contemplationi vacare: “sia agire sia dedicarmi alla contemplazione”): io mi dedico ad entrambe (utrumque facio: letter.: “faccio ciascuna delle due cose”), poiché neppure la contemplazione è senza azione (quoniam ne contemplatio quidem sine actione est: letter.: “poiché nemmeno una qualche contemplazione è/esiste senza azione”).
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