L’«Ottavio», da cui è tratto questo brano, è una celebre opera di propaganda cristiana che fu molto probabilmente scritta in pieno III secolo: in un periodo cioè, in cui i cristiani erano ancora pesantemente perseguitati dallo stato romano.
Tale opera costituì perciò una coraggiosa sfida al potere costituito.
In essa l’autore, Marco Minucio Felice, rifacendosi alla tradizione del dialogo filosofico tanto cara ai romani colti (ai quali si rivolgeva), mostra le ragioni e lo spirito che animavano le sette cristiane, mettendole a confronto con le più antiche religioni pagane. Vi si racconta difatti del dibattito che ebbe luogo tra un certo Felice Cecilio, un romano vecchio stampo rimasto fedele al paganesimo (il quale alla fine del dialogo si convertirà al nuovo culto), e Ottavio, un amico di Minucio Felice da tempo convertitosi alla fede cristiana.
Il dialogo offre l’occasione per un serrato confronto tra due concezioni: l’una (quella pagana) mostrata come ormai obsoleta e inconsistente, e per molti aspetti anche incoerente, e la cui forza risiedeva soprattutto nel conformismo e nella riassicurante adesione alle tradizioni patrie, l’altra (quella cristiana) caratterizzata invece da una vitalità dirompente, ed anche concettualmente molto più solida della prima (il dialogo ha infatti i caratteri tipici del dibattito filosofico antico, e si rifà in particolare alla tradizione della trattatistica ciceroniana…)
Agli dei classici e pagani, espressione di un’etica individualistica e edonistico-materialistica (anche se, per certi versi, timidi difensori di valori umanitari e di giustizia…), si contrappone il dio dei cristiani, che fa della solidarietà tra gli uomini l’unica vera legge sia dell’esistenza umana sia del proprio culto (adorare dio=servire i propri simili). Il dialogo cerca di mostrare a un mondo oramai in profonda crisi spirituale, la superiorità del dio cristiano rispetto ai propri dei, e di illuminarne e risolverne i dubbi e le contraddizioni più profondi.
Si può forse dire che l’autore “scommise” (e, col senno di poi, possiamo dire anche molto giustamente!) sulla forza e sulla superiorità di un’idea che nel suo tempo appariva ancora ai più come marginale e “patologica”, ma di cui egli, con la forza della propria fede e delle proprie convinzioni, già intuiva il destino di redenzione per l’intera umanità e, in particolare, per quella società cui egli apparteneva come membro della classe colta.
Il brano qui proposto è quello nel quale più chiaramente emerge la natura profonda e rivoluzionaria della spiritualità cristiana, basata sull’idea di un dio misericordioso che – contrariamente agli dei pagani classici – non chiede ai suoi fedeli sacrifici per sé, ma per gli altri uomini, che rifugge dalla ricchezza e dallo sfarzo per concentrarsi sulla carità, che (contrariamente alle divinità precedenti, che avevano connotazioni fisiche molto precise) rimane del tutto invisibile agli occhi essendo però chiaramente avvertibile attraverso lo spirito…
Esso illustra molto bene, a mio avviso, la portata rivoluzionaria dell’idea cristiana all’interno della cultura antica, la capacità che essa ebbe di sconvolgere e rinnovare l’antico complesso di certezze etiche e morali di un mondo ormai pluri-millenario, dando vita ad un’ultima, potente fiammata di pensiero e di civiltà, prima dell’involuzione economica, sociale e culturale costituita da quel lungo periodo che oggi chiamiamo “Medioevo”.
TESTO LATINO
XXXII.
"Putatis autem nos occultare quod colimus, si delubra et aras non habemus? Quod enim simulacrum deo fingam, cum, si recte existimes, sit dei homo ipse simulacrum? Templum quod ei extruam, cum totus hic mundus eius opere fabricatus eum capere non possit? Et cum homo latius maneam, intra unam aediculam vim tantae maiestatis includam? Nonne melius in nostra dedicandus est mente? in nostro intimo consecrandus est pectore? Hostias et victimas deo offeram, quas in usum mei protulit, ut reiciam ei suum munus? Ingratum est, cum sit litabilis hostia bonus animus et pura mens et sincera sententia. Igitur qui innocentiam colit, deo supplicat; qui iustitiam, deo libat; qui fraudibus abstinet, propitiat deum; qui hominem periculo subripit, optimam victimam caedit. Haec nostra sacrificia, haec dei sacra sunt: sic apud nos religiosior est ille qui iustior. "At enim quem colimus deum, nec ostendimus nec videmus. Immo ex hoc deum credimus, quod eum sentire possumus, videre non possumus. In operibus enim eius et in mundi omnibus motibus virtutem eius semper praesentem aspicimus, cum tonat, fulgurat, fulminat, cum serenat. Nec mireris, si deum non vides: vento et flatibus omnia impelluntur, vibrantur, agitantur, et sub oculis tamen non venit ventus et flatus. In solem adeo, qui videndi omnibus causa est, videre non possumus: radiis acies submovetur, obtutus intuentis hebetatur, et si diutius inspicias, omnis visus extinguitur. Quid? ipsum solis artificem, illum luminis fontem possis sustinere, cum te ab eius fulgoribus avertas, a fulminibus abscondas? Deum oculis carnalibus vis videre, cum ipsam animam tuam, qua vivificaris et loqueris, nec aspicere possis nec tenere? "Sed enim deus actum hominis ignorat et in caelo constitutus non potest aut omnes obire aut singulos nosse. Erras, o homo, et falleris: unde enim deus longe est, cum omnia caelestia terrenaque et quae extra istam orbis provinciam sunt, deo plena sint? Ubique non tantum nobis proximus, sed infusus est. In solem adeo rursus intende: caelo adfixus, sed terris omnibus sparsus est; pariter praesens ubique interest et miscetur omnibus, nusquam eius claritudo violatur. Quanto magis deus auctor omnium ac speculator omnium, a quo nullum potest esse secretum, tenebris interest, interest cogitationibus nostris, quasi alteris tenebris! Non tantum sub illo agimus, sed et cum illo, ut prope dixerim, vivimus.
Testo online: http://www.thelatinlibrary.com/minucius.html
TESTO + TRADUZIONE E COMMENTO
XXXII.
Putatis autem nos occultare quod colimus, si delubra et aras non habemus?
Ma ritenete che noi nascondiamo ciò che facciamo, dal momento che (si=se) non abbiamo templi ed are?
Quod enim simulacrum deo fingam, cum, si recte existimes, sit dei homo ipse simulacrum?
Perché (Quod) difatti dovremmo costruire (fingam: 1^ sing. cong. con valore esortativo: letter., dovrei rappresentare) un simulacro di dio, dal momento che (cum + cong.), se lo valuti rettamente, l’uomo stesso è un simulacro di dio?
Templum quod ei extruam, cum totus hic mundus eius opere fabricatus eum capere non possit?
Perché (Quod) dovrei costruirgli un tempio, dal momento che tutto questo mondo, creato per opera sua, non potrebbe/riuscirebbe a contenerlo?
Et cum homo latius maneam, intra unam aediculam vim tantae maiestatis includam?
E, pur trovandovisi stretto (pure…) un uomo (cum homo latius maneam: letter., trovandosi (in essa…->=edicola) un uomo più/piuttosto sovrabbondantemente-> latius), dovrei includere in un’edicola la forza di una tanto grande maestà?
Nonne melius in nostra dedicandus est mente? in nostro intimo consecrandus est pectore?
Non forse (Nonne est) meglio (melius) è il consacrarlo/venerarlo ((is, soggetto sott.) dedicandus est: letter., (non forse meglio) egli è da consacrare) nella nostra mente? (Non è forse meglio, sott.) consacrarlo nel nostro intimo cuore?
Hostias et victimas deo offeram, quas in usum mei protulit, ut reiciam ei suum munus?
Dovrei offrire a dio sacrifici e vittime, che (egli…) elargì per il mio uso (in usum mei), per restituirgli il suo dono?
Ingratum est, cum sit litabilis hostia bonus animus et pura mens et sincera sententia.
Cosa ingrata sarebbe (=est: letter., è… ->fare tutto ciò), dal momento che sarebbe (cum sit: essendo) un sacrificio apprezzato (da lui…) un buon animo e una mente pura e un pensiero sincero.
Igitur qui innocentiam colit, deo supplicat; qui iustitiam, deo libat; qui fraudibus abstinet, propitiat deum; qui hominem periculo subripit, optimam victimam caedit.
Pertanto colui che coltiva l’innocenza, supplica dio; colui che (coltiva…) la giustizia, offre libagioni a dio; colui che si astiene dalle menzogne, si propizia dio; colui che allontana un uomo dal pericolo, dona/immola (a dio…) un’ottima vittima.
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Haec nostra sacrificia, haec dei sacra sunt: sic apud nos religiosior est ille qui iustior.
Questi (sono, sott.) i nostri sacrifici, queste cose sono sacre a dio: così presso di noi più religioso è colui che (è, sottint.) più giusto.
At enim quem colimus deum, nec ostendimus nec videmus.
E infatti colui che veneriamo come dio, né lo mostriamo/descriviamo, né lo vediamo.
Immo ex hoc deum credimus, quod eum sentire possumus, videre non possumus.
Anzi (Immo) da questo (ex hoc) lo crediamo un dio: che (quod: il fatto che) lo possiamo sentire/avvertire, (ma…) non possiamo veder(lo).
In operibus enim eius et in mundi omnibus motibus virtutem eius semper praesentem aspicimus, cum tonat, fulgurat, fulminat, cum serenat.
Infatti nelle sue opera e in tutti i moti del mondo ammiriamo la sua virtù sempre presente, quando tuona, folgora e fulmina, (così come…) quando rasserena.
Nec mireris, si deum non vides: vento et flatibus omnia impelluntur, vibrantur, agitantur, et sub oculis tamen non venit ventus et flatus.
Nè devi stupirti (mireris: 2^ sing. cong. da miror: mi stupisco, con valore esortativo: “che tu (non) ti stupisca”) se non vedi dio:tutte le cose sono spinte, fatte vibrare e agitate dal vento e dai (suoi…) soffi, e tuttavia il vento e il (suo…) soffio non cade sotto gli occhi.
In solem adeo, qui videndi omnibus causa est, videre non possumus: radiis acies submovetur, obtutus intuentis hebetatur, et si diutius inspicias, omnis visus extinguitur.
Allo stesso modo (adeo) all’interno del sole, che per tutti è la causa del vedere (=videndi), non possiamo guardare: l’acutezza della vista (=acies) è offuscata (submovetur) dai raggi solari (radiis), lo sguardo di chi osserva (=intuentis: part. da intubo, eris: guardo;…il sole, ovviamente) è reso debole, e se più lungamente (diutius: avverbio, forma comparativa di diu: lungamente) lo fissi, tutta la capacità di visione (visus) viene estinta.
Quid? ipsum solis artificem, illum luminis fontem possis sustinere, cum te ab eius fulgoribus avertas, a fulminibus abscondas?
E quindi? (Quid: letter., Cosa?) Lo stesso artifice del sole, la fonte della luce (illum luminis fontem) presumi di poter sostenere (possis sustinere: letter., potresti sostenere), quando (egli->cioè dio) (già…) ti distoglie dalle sue folgori (cum te avertas: cum + cong.), (ti…) nasconde dai (suoi…) fulmini?
Deum oculis carnalibus vis videre, cum ipsam animam tuam, qua vivificaris et loqueris, nec aspicere possis nec tenere?
Vuoi vedere (vis videre) dio con occhi carnali, quando (cum + cong.) nemmeno puoi guardare né comprendere (tenere) (con essi…) la tua stessa anima?
Sed enim deus actum hominis ignorat et in caelo constitutus non potest aut omnes obire aut singulos nosse.
“Ma infatti dio ignora ciò che fa l’uomo (actum hominis: letter., il fatto dell’uomo) e, collocato in cielo, non può al tempo stesso (=aut… aut…) occuparsi di tutti (omnes obire) e (aut) conoscere (nosse: infinito perfetto att. di nosco: conosco) i singoli.”
Erras, o homo, et falleris: unde enim deus longe est, cum omnia caelestia terrenaque et quae extra istam orbis provinciam sunt, deo plena sint?
Erri, o uomo, e sei tratto in errore: infatti da cosa (unde?) dio è lontano, quando (cum + cong.) tutte le cose (omnia) celesti e terrene e quelle che sono al fuori di questa regione terrena (provinciam orbis: regione del mondo), sono piene di dio (plena deo)?
Ubique non tantum nobis proximus, sed infusus est.
Dovunue (Ubique) (egli…) non è tanto vicino a noi, quanto infuso (cioè sparso, riversato).
In solem adeo rursus intende: caelo adfixus, sed terris omnibus sparsus est; pariter praesens ubique interest et miscetur omnibus, nusquam eius claritudo violatur.
Di nuovo (rursus) volgiti/pensa (intende) al sole: (è…) fisso in cielo (caelo adfixus), ma (allo stesso tempo…) è diffuso su tutte le terre; parimenti, (esso…) è presente ovunque (praesens ubique interest) ed è congiunto a tutte le cose, (ma…) in nessun modo (nusquam) il suo splendore è violato.
Quanto magis deus auctor omnium ac speculator omnium, a quo nullum potest esse secretum, tenebris interest, interest cogitationibus nostris, quasi alteris tenebris!
Quanto più (Quanto magis) dio, autore di tutte le cose e osservatore di tutte le cose, al quale niente può essere/rimanere nascosto, rimane (per noi…) tra le tenebre (tenebris interest), (tanto più...) rimane tra i nostri pensieri, come (quasi) tra altre tenebre!
Non tantum sub illo agimus, sed et cum illo, ut prope dixerim, vivimus.
Non soltanto (Non tantum) agiamo sotto il suo sguardo (sub illo: letter., sotto di lui), ma anche (sed et), per dire con più precisione (ut prope dixerim: letter., perché propriamente io abbia detto->dixerim=2^ sing. cong. perfetto da dico), viviamo con lui.
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