Ἀθηναῖος
περὶ δὴ τούτων διανοηθῶμεν οὑτωσί. θαῦμα μὲν ἕκαστον ἡμῶν ἡγησώμεθα τῶν ζῴων θεῖον, εἴτε ὡς παίγνιον ἐκείνων εἴτε ὡς σπουδῇ τινι συνεστηκός· οὐ γὰρ δὴ τοῦτό [644e] γε γιγνώσκομεν, τόδε δὲ ἴσμεν, ὅτι ταῦτα τὰ πάθη ἐν ἡμῖν οἷον νεῦρα ἢ σμήρινθοί τινες ἐνοῦσαι σπῶσίν τε ἡμᾶς καὶ ἀλλήλαις ἀνθέλκουσιν ἐναντίαι οὖσαι ἐπ' ἐναντίας πράξεις, οὗ δὴ διωρισμένη ἀρετὴ καὶ κακία κεῖται. μιᾷ γάρ φησιν ὁ λόγος δεῖν τῶν ἕλξεων συνεπόμενον ἀεὶ καὶ μηδαμῇ ἀπολειπόμενον ἐκείνης, ἀνθέλκειν τοῖς ἄλλοις νεύροις ἕκαστον, ταύτην [645a] δ' εἶναι τὴν τοῦ λογισμοῦ ἀγωγὴν χρυσῆν καὶ ἱεράν, τῆς πόλεως κοινὸν νόμον ἐπικαλουμένην, ἄλλας δὲ σκληρὰς καὶ σιδηρᾶς, τὴν δὲ μαλακὴν ἅτε χρυσῆν οὖσαν, τὰς δὲ ἄλλας παντοδαποῖς εἴδεσιν ὁμοίας. δεῖν δὴ τῇ καλλίστῃ ἀγωγῇ τῇ τοῦ νόμου ἀεὶ συλλαμβάνειν· ἅτε γὰρ τοῦ λογισμοῦ καλοῦ μὲν ὄντος, πρᾴου δὲ καὶ οὐ βιαίου, δεῖσθαι ὑπηρετῶν αὐτοῦ τὴν ἀγωγήν, ὅπως ἂν ἐν ἡμῖν τὸ χρυσοῦν γένος νικᾷ τὰ ἄλλα [645b] γένη.
TRADUZIONE E COMMENTO
(Una versione molto difficile, piena di insidie sia sintattiche sia grammaticali, sia (più di tutto, secondo me) di difficoltà nell'individuare il senso delle parole e quindi nel comprendere il significato delle proposizioni!!! Qui più che mai è necessario un commento della traduzione...)
Ἀθηναῖος:
Ateniese:
περὶ δὴ τούτων διανοηθῶμεν οὑτωσί.
Su queste cose riflettiamo (διανοηθῶμεν:1^ plur. aor. ind. passivo di διανοέω, con valore attivo-medio) in questo modo.
θαῦμα μὲν ἕκαστον ἡμῶν ἡγησώμεθα τῶν ζῴων θεῖον, εἴτε ὡς παίγνιον ἐκείνων εἴτε ὡς σπουδῇ τινι συνεστηκός·
Consideriamo (ἡγησώμεθα: 1^ plur. futuro medio cong. di ἡγέομαι: letteralm., che noi stiamo per considerare) ciascuno di noi un prodigio divino (θαῦμα θεῖον) tra i viventi (τῶν ζῴων: genitivo con valore partitivo: “dell’insieme dei viventi”), o (εἴτε: sive… sive, latino) come trastullo di quelli (=degli dei) o creato (συνεστηκός: part. att. neutro perfetto di συνίστημι: produco, metto assieme; come si noterà, nonostante sia attivo, il partic. ha valore passivo!) come per uno scopo.
οὐ γὰρ δὴ τοῦτό [644e] γε γιγνώσκομεν, τόδε δὲ ἴσμεν,
questo difatti non sappiamo, ma sappiamo (ἴσμεν: 1^ plur. ind. da οἷδα: vedo, ho visto, so) quest’altra cosa (τόδε δὲ),
ὅτι ταῦτα τὰ πάθη ἐν ἡμῖν οἷον νεῦρα ἢ σμήρινθοί τινες ἐνοῦσαι σπῶσίν τε ἡμᾶς καὶ ἀλλήλαις ἀνθέλκουσιν ἐναντίαι οὖσαι ἐπ' ἐναντίας πράξεις,
che queste passioni dentro di noi, essendo in noi (ἐνοῦσαι: partic. femm. nomin. plur. da ἔνειμι, riferito a neutro e maschile, è femmin. per attrazione con il partic. seguente…!?) come nervi e cordicelle, ci tirano e le (nostre, sott.) azioni si ostacolano, essendo contrarie reciprocamente (ἐναντίαι οὖσαι ἐπ' ἐναντίας),
οὗ δὴ διωρισμένη ἀρετὴ καὶ κακία κεῖται.
laddove (οὗ, letter. “del quale”; ma qui ha valore avverbiale, di luogo) la virtù e i mali giacciono/si trovano (ἀρετὴ καὶ κακία κεῖται(*)) distinti tra loro (διωρισμένη: part. femm. perfetto medio-passivo di διορίζω; letteralm. significherebbe “distinta”, e sarebbe riferito alla virtù).
(*) Il verbo è al singolare perché: il primo soggetto è singolare, l'altro è un neutro plurale e come tale richiede un verbo al singolare... evidentemente non vi è effetto cumulativo: due singolari=un plurale.
μιᾷ γάρ φησιν ὁ λόγος δεῖν τῶν ἕλξεων [εἶναι] συνεπόμενον ἀεὶ καὶ μηδαμῇ [εἶναι] ἀπολειπόμενον ἐκείνης, ἀνθέλκειν τοῖς ἄλλοις νεύροις ἕκαστον,
Infatti la ragione dice essere necessario che ciascuno (ἕκαστον= soggetto dell’infinitiva) sia fedele (letter., essere seguente: [εἶναι] συνεπόμενον) a uno di quegli stimoli (letter., “a una delle trazioni”: μιᾷ τῶν ἕλξεων) e per nessuna ragione (μηδαμῇ) abbandoni (letter., essere abbandonante) quella (=la virtù), che contrasti le altre cordicelle/nervi,
ταύτην δ' εἶναι τὴν τοῦ λογισμοῦ ἀγωγὴν χρυσῆν καὶ ἱεράν, τῆς πόλεως κοινὸν νόμον ἐπικαλουμένην,
(e dice: καὶ φησιν; sottint.) essere questa la guida aurea e sacra del pensiero, chiamata legge comune della città,
ἄλλας δὲ σκληρὰς καὶ σιδηρᾶς, τὴν δὲ μαλακὴν ἅτε χρυσῆν οὖσαν, τὰς δὲ ἄλλας παντοδαποῖς εἴδεσιν ὁμοίας.
(e dice, sott.) le altre invece (essere guide, sott.) rigide e di ferro (=scadenti), l’altra (τὴν δὲ) (essere, sott.) dolce essendo (ἅτε οὖσαν: in quanto essente) d’oro, invece le altre uguali per forme di tutti i tipi (=tutte caratterizzate da forme incoerenti e confuse; tutte diverse tra loro).
δεῖν δὴ τῇ καλλίστῃ ἀγωγῇ τῇ τοῦ νόμου ἀεὶ συλλαμβάνειν·
(Dice infine che, sott.) è necessario seguire sempre la guida migliore della condotta;
ἅτε γὰρ τοῦ λογισμοῦ καλοῦ μὲν ὄντος, πρᾴου δὲ καὶ οὐ βιαίου, δεῖσθαι ὑπηρετῶν αὐτοῦ τὴν ἀγωγήν,
essendo difatti il pensiero (ἅτε: in quanto; avverbio (da ὅστις) che si accompagna spesso a un participio, evidenziandone il significato causale) bello, mansueto e non violento, la sua condotta (αὐτοῦ τὴν ἀγωγήν: cioè il seguire attivamente il pensiero razionale) (dice, sott.) richiedere (δεῖσθαι: nella sua forma medio-passiva, il verbo δέω significa: richiedo, ho bisogno) dei servitori,
ὅπως ἂν ἐν ἡμῖν τὸ χρυσοῦν γένος νικᾷ τὰ ἄλλα [645b] γένη.
affinché in noi la specie aurea (=la parte aurea di noi) vinca (νικᾷ: 3^ sing. cong. presente da νικάω) le altre specie.
Versione libera:
Ragioniamo su queste cose in questo modo. Dobbiamo considerare che ognuno di noi è un prodigio divino, in seno alla famiglia dei viventi, e ciò sia che gli dei ci abbiano creato per trastullarsi, sia per uno scopo preciso.
Anche se non sappiamo quale delle due, sappiamo di avere dentro noi stessi delle passioni che, come dei nervi o delle cordicelle, ci tirano da ogni parte ostacolandosi reciprocamente, poiché sono contrarie reciprocamente, laddove però virtù e mali sono certamente distinti tra loro.
La ragione difatti ci ammonisce affinché rimaniamo fedeli solo a una di quelle "cordicelle", che non la abbandoniamo mai per nessuna ragione e che contrastiamo l'azione delle altre.
Essa difatti è la guida aurea e inviolabile della città, quella che chiamiamo la legge comune. Le altre invece sono rigide e ferree, mentre essa è dolce, in quanto aurea. Le altre poi sono tutte uguali, nell'essere fatte di ogni tipo di forma, a caso.
E' necessario che si segua sempre la miglior guida della nostra condotta, e cioè il pensiero, in quanto esso è bello, pacifico e privo di arbitrio. Ma al tempo stesso esso richiede dei servitori fedeli, che facciano così trionfare la parte d'oro di noi stessi a scapito della altre.
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