Sicuramente una delle tragedie greche più belle ed attuali di sempre, erroneamente attribuita ad Eschilo dalla tradizione (di cui non riflette difatti, né le tematiche né lo stile) il “Prometeo incatenato” è un’opera che anticipa in modo sorprendente e perfetto alcuni temi della letteratura e della sensibilità moderne: dal dramma del libero pensatore razionalista, condannato per le proprie idee, a quello dell’eroe romantico, ingiustamente perseguitato e caduto in disgrazia.
Senza dubbio quest'opera fu espressione (…molto probabilmente una tra le più alte a livello poetico) di quella temperie sofistica e laica, molto distante dalla sensibilità eschilea, decisamente più religiosa e “bigotta”, che si affermò nell’Atene classica e che costituì il nerbo della nascente tradizione filosofica e scientifica, e che sbocciò poi ulteriormente nel periodo ellenistico e romano.
Ironia della sorte tuttavia, la tradizione ha trasmesso quest’opera proprio sotto il nome di Eschilo, pur essendo essa tra tutte, all’interno del corpus delle tragedie rimasteci, quella forse più distante dai temi delle opere genuinamente eschilee, segnate da una profonda religiosità e dal principio indiscutibile della supremazia di Zeus, tutore della Legge e dell’Ordine cosmico.
In questo brano, Prometeo rivendica, contro l’autorità degli dei olimpici, la bellezza del suo operato, in particolare dei doni fatti agli uomini (il primo e più importante dei quali, come noto, fu quello del fuoco – a cui qui non si fa però nemmeno cenno).
Tutta l’opera, del resto, è un inno alla libertà individuale, contro qualsiasi costrizione autoritaria, compresa quella esercitata dal padre di tutti gli dei, Zeus, verso il quale invece Eschilo mostra sempre un timore reverenziale ed assoluto!
Προμηθεύς
μή τοι χλιδῇ δοκεῖτε μηδ᾽ αὐθαδίᾳ 436 σιγᾶν με: συννοίᾳ δὲ δάπτομαι κέαρ, ὁρῶν ἐμαυτὸν ὧδε προυσελούμενον. καίτοι θεοῖσι τοῖς νέοις τούτοις γέρα τίς ἄλλος ἢ 'γὼ παντελῶς διώρισεν; 440 ἀλλ᾽ αὐτὰ σιγῶ: καὶ γὰρ εἰδυίαισιν ἂν ὑμῖν λέγοιμι: τἀν βροτοῖς δὲ πήματα ἀκούσαθ᾽, ὥς σφας νηπίους ὄντας τὸ πρὶν ἔννους ἔθηκα καὶ φρενῶν ἐπηβόλους. λέξω δέ, μέμψιν οὔτιν᾽ ἀνθρώποις ἔχων, 445 ἀλλ᾽ ὧν δέδωκ᾽ εὔνοιαν ἐξηγούμενος:
οἳ πρῶτα μὲν βλέποντες ἔβλεπον μάτην, κλύοντες οὐκ ἤκουον, ἀλλ᾽ ὀνειράτων ἀλίγκιοι μορφαῖσι τὸν μακρὸν βίον ἔφυρον εἰκῇ πάντα, κοὔτε πλινθυφεῖς 450 δόμους προσείλους, ᾖσαν, οὐ ξυλουργίαν: κατώρυχες δ᾽ ἔναιον ὥστ᾽ ἀήσυροι μύρμηκες ἄντρων ἐν μυχοῖς ἀνηλίοις. ἦν δ᾽ οὐδὲν αὐτοῖς οὔτε χείματος τέκμαρ οὔτ᾽ ἀνθεμώδους ἦρος οὔτε καρπίμου 455 θέρους βέβαιον, ἀλλ᾽ ἄτερ γνώμης τὸ πᾶν ἔπρασσον, ἔστε δή σφιν ἀντολὰς ἐγὼ ἄστρων ἔδειξα τάς τε δυσκρίτους δύσεις.
καὶ μὴν ἀριθμόν, ἔξοχον σοφισμάτων, ἐξηῦρον αὐτοῖς, γραμμάτων τε συνθέσεις, 460 μνήμην ἁπάντων, μουσομήτορ᾽ ἐργάνην. κἄζευξα πρῶτος ἐν ζυγοῖσι κνώδαλα ζεύγλαισι δουλεύοντα σάγμασὶν θ᾽, ὅπως θνητοῖς μεγίστων διάδοχοι μοχθημάτων γένοινθ᾽ , ὑφ᾽ ἅρμα τ᾽ ἤγαγον φιληνίους 465 ἵππους, ἄγαλμα τῆς ὑπερπλούτου χλιδῆς. θαλασσόπλαγκτα δ᾽ οὔτις ἄλλος ἀντ᾽ ἐμοῦ λινόπτερ᾽ ηὗρε ναυτίλων ὀχήματα.
τοιαῦτα μηχανήματ᾽ ἐξευρὼν τάλας βροτοῖσιν, αὐτὸς οὐκ ἔχω σόφισμ᾽ ὅτῳ 470 τῆς νῦν παρούσης πημονῆς ἀπαλλαγῶ.
Traduzione:
PROMETEO
No, no. Se sto muto - credete - non è il mio amore di me, che mi scalda, ostinato. Rifletto, e intanto mi lacero, dentro: vedo me stesso coperto di fango! E sì che io - chi altri? - proprio io distinsi i poteri tra questi giovani dèi. Basta. Sto zitto. Che serve, spiegare a voi che sapete le cose? Sentite invece che dolori in mezzo ai viventi, creature puerili a quei tempi. Io li formai: riflessivi, sovrani del loro intelletto. Narrerò non a umiliare gli esseri umani, ma a svelare fino in fondo l'affetto che mi dettava quei doni. Anche prima di me guardavano, ed era cieco guardare; udivano suoni, e non era sentire; li vedevi, erano forme di sogni, la vita un esistere lento, un impasto opaco senza disegno; non sapevano case - trame di cotti mattoni - inondate di sole, né il mestiere del legno; l'alloggio era un buco sotterra - come formiche sul filo del vento - nel seno di grotte cieche di sole. Mancavano loro i fissi presagi del gelo che viene, della primavera fragrante, fiorita, del tempo caldo dei frutti. Era tutto un darsi da fare senza lume di mente. Finché io insegnai le aurore e i tramonti nella volta stellata: un problema, saperli! Fu mia - e a loro bene - l'idea del calcolo, primizia d'ingegno, e fu mio il sistema di segni tracciati, Memoria del mondo, fertile madre di Muse. Io, inventai l'attacco di bestie selvatiche al giogo, io le domavo sotto cinghie: dovevano essere loro gli eredi dell'uomo nella fatica pesante, che stronca. Io trassi il cavallo alle stanghe del carro, lo feci tutt'uno alle briglie: fregio stupendo del lusso che spicca e trionfa. Fu mia, solo mia, la scoperta di un mezzo marino - vele come ali - per la gente che corre le onde. Io che ho ideato tanti congegni per l'uomo non trovo per me uno scaltro pensiero, sollievo al tormento che ora m'assale. È la mia sofferenza!
TESTO E TRADUZIONE CON NOTE
μή τοι χλιδῇ δοκεῖτε μηδ᾽ αὐθαδίᾳ 436 Ohi!(=τοι) Non ritenete (δοκεῖτε è 2^ plur. modo imperativo) che per orgoglio né per presunzione
AIME’, NON CREDIATE CHE PER ORGOGLIO O PRESUNZIONE
σιγᾶν με: συννοίᾳ δὲ δάπτομαι κέαρ, io taccia; mi lacero il cuore (κέαρ= κῆρ) con la meditazione
IO TACCIA. MI LACERO IL CUORE INVECE, PENSANDO
ὁρῶν ἐμαυτὸν ὧδε προυσελούμενον. vedendo me stesso (ἐμαυτὸν) così (ὧδε) oltraggiato.
A COME SONO STATO OLTRAGGIATO.
καίτοι θεοῖσι τοῖς νέοις τούτοις γέρα Purtuttavia a questi nuovi dei, le cose antiche
EPPURE A QUESTI NUOVI DEI, LE ANTICHE DIMORE
τίς ἄλλος ἢ 'γὼ παντελῶς διώρισεν; 440 chi altro se non io (τίς ἄλλος ἢ ἐγὼ) spiegò compiutamente?
CHI ALTRO, SE NON IO, MOSTRO’ CHIARAMENTE?
ἀλλ᾽ αὐτὰ σιγῶ: καὶ γὰρ εἰδυίαισιν ἂν Ma queste cose tacerò; e infatti a coloro che hanno visto/sanno (εἰδυίαισιν: perfetto attivo partic. plur. dativo da εἶδον=vedo; perfetto att.: οἶδα)
MA DI CIO’ TACERO’, INFATTI A VOI CHE LE VEDESTE
ὑμῖν λέγοιμι: τἀν βροτοῖς δὲ πήματα a voi (collegato a εἰδυίαισιν) lo direi;
IO SPIEGHEREI COSE GIA’ NOTE.
ἀκούσαθ᾽, ὥς σφας νηπίους ὄντας τὸ πρὶν ascoltate (ἀκούσαθ᾽=ἀκούσατε: 2^ plur. modo imperativo) come quelli (σφας=αὐτοῦς; non ha valore riflessivo!) che prima (τὸ πρὶν) erano sprovveduti
ASCOLTATE PIUTTOSTO COME, PRIMA SPROVVEDUTI,
ἔννους ἔθηκα καὶ φρενῶν ἐπηβόλους. resi (ἔθηκα: li posi…, aor. da τίθημι) consapevoli e padroni delle proprie menti (φρενῶν ἐπηβόλους: letter., possessori di menti).
RESI ALTRI MATURI E PADRONI DEL PROPRIO DESTINO.
λέξω δέ, μέμψιν οὔτιν᾽ ἀνθρώποις ἔχων, 445 Dirò (ciò…->cioè “mi accingo a dire queste cose”), senza nessun (οὔ-τινα μέμψιν ἔχων: letter., non un qualche rimprovero avendo) biasimo per gli uomini,
VI DIRO’ QUESTE COSE, SENZA ALCUN BIASIMO PER GLI UOMINI,
ἀλλ᾽ ὧν δέδωκ᾽ εὔνοιαν ἐξηγούμενος:
ma per mostrare (ἐξηγούμενος: part. pres. da ἐξηγέομαι, con valore finale) la bontà (εὔνοιαν) delle cose che diedi (ad essi, sott.) (ὧν δέδωκα=τούτων ἅ δέδωκα);
PER MOSTRARVI QUANTO BENEVOLI FURONO I MIEI DONI.
οἳ πρῶτα μὲν βλέποντες ἔβλεπον μάτην, quelli (οἳ) prima (πρῶτα) guardando guardavano inutilmente (μάτην),
PRIMA, ANCHE SE ESSI GUARDAVANO, GUARDAVANO INVANO,
κλύοντες οὐκ ἤκουον, ἀλλ᾽ ὀνειράτων ascoltando non udivano, ma dei sogni
E SE ASCOLTAVANO, NON UDIVANO, E DEI SOGNI
ἀλίγκιοι μορφαῖσι τὸν μακρὸν βίον simili alle forme durante la (loro…) lunga vita (τὸν μακρὸν βίον: accusativo con valore durativo)
SIMILI ALLE PARVENZE LUNGO TUTTA UNA LUNGA VITA
ἔφυρον εἰκῇ πάντα, κοὔτε πλινθυφεῖς 450 mescolavano tutte le cose a caso, e né (=κοὔτε) di mattoni (πλινθυφεῖς )
ESSI MESCOLAVANO TRA LORO OGNI COSA, NE’ DI MATTONI
δόμους προσείλους, ᾖσαν, οὐ ξυλουργίαν: le case cotte al sole (προσείλους) avevano conosciuto (ᾖσαν=ᾔδεσαν: 3^ plur. att. piuccheperfetto da εἶδον=vedo; perfetto att.: οἶδα), né l’arte della lavorazione del legno (ξυλουργίαν);
COTTI AL SOLE CONOSCEVANO LE ABITAZIONI, NE’ LAVORAVANO IL LEGNO.
κατώρυχες δ᾽ ἔναιον ὥστ᾽ ἀήσυροι Abitavano caverne come piccole
ABITAVANO IN CAVERNE COME PICCOLE
μύρμηκες ἄντρων ἐν μυχοῖς ἀνηλίοις. formiche nei recessi senza luce degli antri.
FORMICHE, NEI RECESSI SENZA LUCE DELLE GROTTE.
ἦν δ᾽ οὐδὲν αὐτοῖς οὔτε χείματος τέκμαρ Non conoscevano nessun (ἦν δ᾽ οὐδὲν αὐτοῖς: letter., niente era a essi) segno (dell’arrivo…) dell’inverno
NE’ CONOSCEVANO I CERTI SEGNI DELL’INVERNO
οὔτ᾽ ἀνθεμώδους ἦρος οὔτε καρπίμου 455 né della primavera (ἦρος= ἔαρος) fiorita né della rigogliosa
E DELLA FIORITA PRIMAVERA, NE’ DELLA RIGOGLIOSA
θέρους βέβαιον, ἀλλ᾽ ἄτερ γνώμης τὸ πᾶν estate (che fosse…) certo (=βέβαιον, riferito a τέκμαρ: segno), ma senza conoscenza (ἄτερ γνώμης) tutto
ESTATE, MA PRIVI DI CONOSCENZA TUTTO
ἔπρασσον, ἔστε δή σφιν ἀντολὰς ἐγὼ compivano, finché (ἔστε=donec in latino) a essi io le levate (ἀν(α)τολὰς)
COMPIVANO, FINO A CHE IL SORGERE
ἄστρων ἔδειξα τάς τε δυσκρίτους δύσεις.
degli astri spiegai (ἔδειξα) e le complicate discese.
DEGLI ASTRI IO SPIEGAI LORO, E LE LORO COMPLICATE DISCESE.
καὶ μὴν ἀριθμόν, ἔξοχον σοφισμάτων, E in verità il numero, la più alta delle conoscenze (ἔξοχον σοφισμάτων)
E POI IL NUMERO, LA PIU’ GRANDE TRA TUTTE LE NOZIONI,
ἐξηῦρον αὐτοῖς, γραμμάτων τε συνθέσεις, 460 mostrai (ἐξ-ηῦρον: 1^ sing. ind. aor. att. da ἐξ- εὑρίσκω) loro, e le combinazioni delle parole,
IO GLI RIVELAI, E LE POSSIBILI COMBINAZIONI DELLE LETTERE,
μνήμην ἁπάντων, μουσομήτορ᾽ ἐργάνην. memoria di tutte le cose, operosa (riferito a μνήμην) madre delle muse (μουσομήτορα).
CHE SONO MEMORIA DI OGNI COSA, E OPEROSA MADRE DELLE ARTI.
κἄζευξα πρῶτος ἐν ζυγοῖσι κνώδαλα E aggiogai (κἄζευξα= καὶ ἔζευξα->1^ sing. aor. da ζεύγνυμι=aggiogo) per primo con gioghi le bestie selvagge (κνώδαλα)
E PER PRIMO AGGIOGAI CON GIOGHI LE BESTIE SELVAGGE
ζεύγλαισι δουλεύοντα σάγμασὶν θ᾽, ὅπως obbedenti ai collari e ai basti (θ᾽= τε=-que latino), cosicché
E LE RESI OBBEDIENTI ALLE CINGHIE E AI BASTI, COSICCHE’
θνητοῖς μεγίστων διάδοχοι μοχθημάτων per i mortali i sostituti (διάδοχοι: successori) delle più grandi fatiche
I MORTALI FURONO DISPENSATI DALLE FATICHE PEGGIORI.
γένοινθ᾽ , ὑφ᾽ ἅρμα τ᾽ ἤγαγον φιληνίους 465 divenissero (γένοινθ᾽= γένοιντο), sotto il carro portai gli amici delle redini
AL CARRO LEGAI, AMICI DELLE REDINI,
ἵππους, ἄγαλμα τῆς ὑπερπλούτου χλιδῆς. cavalli, ornamento (rif. ai cavalli) del lusso sfarzoso (ὑπερπλούτου).
I CAVALLI, ORNAMENTO DEL LUSSO PIU’ RICCO.
θαλασσόπλαγκτα δ᾽ οὔτις ἄλλος ἀντ᾽ ἐμοῦ Nessun’altro che me (οὔ-τις ἄλλος ἀντ᾽ ἐμοῦ: letter., non qualcun altro tranne me), vaganti per il mare (θαλασσόπλαγκτα)
NESSUN’ALTRO CHE ME, VEICOLI DEL MARE
λινόπτερ᾽ ηὗρε ναυτίλων ὀχήματα.
dalle ali di lino scoprì i veicoli dei marinai.
DALLE ALI DI LINO, SCOPRI’ I VASCELLI DEI MARINAI.
τοιαῦτα μηχανήματ᾽ ἐξευρὼν τάλας Infelice (τάλας), pur avendo scoperto queste invenzioni
EPPURE, INFELICE, DOPO QUESTE INVENZIONI
βροτοῖσιν, αὐτὸς οὐκ ἔχω σόφισμ᾽ ὅτῳ 470 per i mortali, proprio io (αὐτὸς) non ho un’idea con cui (ὅτῳ=ᾧτινι: con il quale)
DATE AGLI UOMINI, IO STESSO ORA NON SO
τῆς νῦν παρούσης πημονῆς ἀπαλλαγῶ.
mi libererò (ἀπ-αλλαγῶ è futuro asigmatica da ἀπ-αλλάσσω) dalla presente disgrazia.
COME LIBERARMI DA QUESTA CONDANNA.
Comments