(Platone., Teeteto 174 b-e)
Introduzione:
Brano interessante ma molto complesso e difficile a tradursi.
Socrate, partendo dal famoso aneddoto di Talete che cadde in un pozzo per studiare le stelle, rimarca il fatto che colui che ha scelto di dedicarsi alla ricerca del Vero appare sempre estraneo al resto dell'umanità. Non ne è capito e, infondo, a sua volta non la capisce. Ma la stranezza del filosofo, la sua apparente “balordaggine” (ἀσχημοσύνη) è in realtà il segno della sua grandezza… che la maggior parte degli uomini tuttavia non riesce a vedere.
174b Σωκράτης ὥσπερ καὶ Θαλῆν ἀστρονομοῦντα, ὦ Θεόδωρε, καὶ ἄνω βλέποντα, πεσόντα εἰς φρέαρ, Θρᾷττά τις ἐμμελὴς καὶ χαρίεσσα θεραπαινὶς ἀποσκῶψαι λέγεται ὡς τὰ μὲν ἐν οὐρανῷ προθυμοῖτο εἰδέναι, τὰ δ’ ἔμπροσθεν αὐτοῦ καὶ παρὰ πόδας λανθάνοι αὐτόν. ταὐτὸν δὲ ἀρκεῖ σκῶμμα ἐπὶ πάντας ὅσοι ἐν φιλοσοφίᾳ διάγουσι. τῷ γὰρ ὄντι τὸν τοιοῦτον ὁ μὲν πλησίον καὶ ὁ γείτων λέληθεν, οὐ μόνον ὅτι πράττει, ἀλλ’ ὀλίγου καὶ εἰ ἄνθρωπός ἐστιν ἤ τι ἄλλο θρέμμα· τί δέ ποτ’ ἐστὶν ἄνθρωπος καὶ τί τῇ τοιαύτῃ φύσει προσήκει διάφορον τῶν ἄλλων ποιεῖν ἢ πάσχειν, ζητεῖ τε καὶ πράγματ’ ἔχει διερευνώμενος. μανθάνεις γάρ που, ὦ Θεόδωρε· ἢ οὔ;
Θεόδωρος ἔγωγε· καὶ ἀληθῆ λέγεις.
174c Σωκράτης τοιγάρτοι, ὦ φίλε, ἰδίᾳ τε συγγιγνόμενος ὁ τοιοῦτος ἑκάστῳ καὶ δημοσίᾳ, ὅπερ ἀρχόμενος ἔλεγον, ὅταν ἐν δικαστηρίῳ ἤ που ἄλλοθι ἀναγκασθῇ περὶ τῶν παρὰ πόδας καὶ τῶν ἐν ὀφθαλμοῖς διαλέγεσθαι, γέλωτα παρέχει οὐ μόνον Θρᾴτταις ἀλλὰ καὶ τῷ ἄλλῳ ὄχλῳ, εἰς φρέατά τε καὶ πᾶσαν ἀπορίαν ἐμπίπτων ὑπὸ ἀπειρίας, καὶ ἡ ἀσχημοσύνη δεινή, δόξαν ἀβελτερίας παρεχομένη· 174d ἔν τε γὰρ ταῖς λοιδορίαις ἴδιον ἔχει οὐδὲν οὐδένα λοιδορεῖν, ἅτ’ οὐκ εἰδὼς κακὸν οὐδὲν οὐδενὸς ἐκ τοῦ μὴ μεμελετηκέναι· ἀπορῶν οὖν γελοῖος φαίνεται. ἔν τε τοῖς ἐπαίνοις καὶ ταῖς τῶν ἄλλων μεγαλαυχίαις οὐ προσποιήτως ἀλλὰ τῷ ὄντι γελῶν ἔνδηλος γιγνόμενος ληρώδης δοκεῖ εἶναι. 174e τύραννόν τε γὰρ ἢ βασιλέα ἐγκωμιαζόμενον, ἕνα τῶν νομέων, οἷον συβώτην ἢ ποιμένα ἤ τινα βουκόλον, ἡγεῖται ἀκούειν εὐδαιμονιζόμενον πολὺ βδάλλοντα· δυσκολώτερον δὲ ἐκείνων ζῷον καὶ ἐπιβουλότερον ποιμαίνειν τε καὶ βδάλλειν νομίζει αὐτούς, ἄγροικον δὲ καὶ ἀπαίδευτον ὑπὸ ἀσχολίας οὐδὲν ἧττον τῶν νομέων τὸν τοιοῦτον ἀναγκαῖον γίγνεσθαι, σηκὸν ἐν ὄρει τὸ τεῖχος περιβεβλημένον. γῆς δὲ ὅταν μυρία πλέθρα ἢ ἔτι πλείω ἀκούσῃ ὥς τις ἄρα κεκτημένος θαυμαστὰ πλήθει κέκτηται, πάνσμικρα δοκεῖ ἀκούειν εἰς ἅπασαν εἰωθὼς τὴν γῆν βλέπειν. 175a τὰ δὲ δὴ γένη ὑμνούντων, ὡς γενναῖός τις ἑπτὰ πάππους πλουσίους ἔχων ἀποφῆναι, παντάπασιν ἀμβλὺ καὶ ἐπὶ σμικρὸν ὁρώντων ἡγεῖται τὸν ἔπαινον, ὑπὸ ἀπαιδευσίας οὐ δυναμένων εἰς τὸ πᾶν ἀεὶ βλέπειν οὐδὲ λογίζεσθαι ὅτι πάππων καὶ προγόνων μυριάδες ἑκάστῳ γεγόνασιν ἀναρίθμητοι, ἐν αἷς πλούσιοι καὶ πτωχοὶ καὶ βασιλῆς καὶ δοῦλοι βάρβαροί τε καὶ Ἕλληνες πολλάκις μυρίοι γεγόνασιν ὁτῳοῦν· 175b ἀλλ’ ἐπὶ πέντε καὶ εἴκοσι καταλόγῳ προγόνων σεμνυνομένων καὶ ἀναφερόντων εἰς Ἡρακλέα τὸν Ἀμφιτρύωνος ἄτοπα αὐτῷ καταφαίνεται τῆς σμικρολογίας, ὅτι δὲ ὁ ἀπ’ Ἀμφιτρύωνος εἰς τὸ ἄνω πεντεκαιεικοστὸς τοιοῦτος ἦν οἵα συνέβαινεν αὐτῷ τύχη, καὶ ὁ πεντηκοστὸς ἀπ’ αὐτοῦ, γελᾷ οὐ δυναμένων λογίζεσθαί τε καὶ χαυνότητα ἀνοήτου ψυχῆς ἀπαλλάττειν. ἐν ἅπασι δὴ τούτοις ὁ τοιοῦτος ὑπὸ τῶν πολλῶν καταγελᾶται, τὰ μὲν ὑπερηφάνως ἔχων, ὡς δοκεῖ, τὰ δ’ ἐν ποσὶν ἀγνοῶν τε καὶ ἐν ἑκάστοις ἀπορῶν.
Testo greco online:
http://perseus.uchicago.edu/perseus-cgi/citequery3.pl?dbname=GreekFeb2011&getid=0&query=Pl.%20Tht.%20174b&fbclid=IwAR3dgGTIcVg8Veh7GGEAOEAK_-r9c-gG32_vRJT0AO-eDjxkj7PGURM2gIs
Traduzione da libro:
SOCRATE: Come anche di Talete si racconta, o Teodoro, che mentre mirava gli astri e guardava in su, cadde nel pozzo: e una servetta di Tracia, piuttosto in gamba e carina, prendendolo in giro gli disse che lui desiderava conoscere i fenomeni celesti, ma si lasciava sfuggire quelli che aveva davanti a sé e sotto ai suoi piedi. Questo motteggio è ben appropriato a tutti coloro che si occupano di filosofia. In realtà a chi è tale non solo sfugge chi è presso di lui, e cosa fa il vicino, ma quasi è incerto se è un uomo o qualche altra creatura. Ma cosa mai è l'uomo e cosa a una tal natura conviene fare o subire, a differenza degli altri esseri, egli ricerca e di tale attività si occupa. Mi segui, ora, Teodoro, o no?
TEODORO: Io sì e tu dici bene.
SOCRATE: Dunque, amico mio, quando un simile individuo, in privato o in pubblico, come dicevamo all'inizio, si imbatte in qualcuno, e quando in tribunale o altrove è costretto a parlare di quello che ha tra i piedi o sotto gli occhi, offre materia di riso non solo alle donne di Tracia e a tutta la restante moltitudine, ma cade nel pozzo e in ogni sorta di difficoltà per inesperienza, perché la sua balordaggine è inusitata e offre l'immagine di ogni inettitudine. Infatti nelle ingiurie, poiché non conosce nessuna macchia di nessuno, per il fatto che non se n'è mai occupato, non ha alcuna capacità di ingiuriare direttamente nessuno, e trovandosi così incerto, diviene ridicolo. Ma durante le lodi ed esaltazioni attribuite ad altri, non per simulazione, ma facendosi vedere ridere schiettamente, sembra essere un motteggiatore. E quando viene elogiato un tiranno o un re come un pastore, egli ritiene di udire che costui venga lodato perché come allevatore di porci, o di pecore o di mucche, munge molto latte: egli pensa però che essi mungano e pascolino un animale più difficile a trattarsi e più pericoloso di quelli e che è necessario che questo tale diventi rozzo e incolto per tutti i suoi traffici non meno dei pastori, proteggendosi tutto intorno da un muro, come da un recinto i pastori in montagna. E quando sente dire che uno è proprietario di una quantità immensa di terra, perché ne possiede diecimila peltri e anche di più, crede di sentir parlare di una inezia, abituato com'è a considerare tutta la terra. E quando compongono inni sulle stirpi sostenendo che uno è nobile perché può mostrare sette antenati ricchi, egli ritiene che questo elogio è proprio di coloro che vedono poco e ottusamente, e che per la loro ignoranza non sono in grado di abbracciare con lo sguardo il tutto, né di considerare che ciascuno di avi e di progenitori ne ha un numero sterminato, nel quale si trovano i ricchi e i poveri, i re e gli schiavi, i Greci e i barbari, e ciascuno può averne ripetutamente un infinità. Ma per quelli che si esaltano per un catalogo di venticinque antenati e che riportano la loro ascendenza a Eracle figlio di Anfitrione tutto questo a lui appare alquanto strano e di grande piccineria, e se la ride di costoro che non riescono a comprendere che il venticinquesimo rampollo da Anfitrione in su e quello dei cinquanta di quelli venuti da lui furono tali e quali la sorte li combinò, e così non sono neanche in grado di allontanare la vuota alterigia della loro anima dissennata. In tutte queste situazioni dunque un uomo come questo viene deriso dai più, sia perché, come sembra, ha un atteggiamento insolente, sia perché ignora quel che ha tra i piedi e perde la bussola in ogni circostanza.
Traduzione inglese:
Socrates: Why, take the case of Thales, Theodorus. While he was studying the stars and looking upwards, he fell into a pit, and a neat, witty Thracian servant girl jeered at him, they say, because he was so eager to know the things in the sky that he could not see what was there before him at his very feet. The same jest applies to all who pass their lives in philosophy. 174bFor really such a man pays no attention to his next door neighbor; he is not only ignorant of what he is doing, but he hardly knows whether he is a human being or some other kind of a creature; but what a human being is and what is proper for such a nature to do or bear different from any other, this he inquires and exerts himself to find out. Do you understand, Theodorus, or not?
Theodorus: Yes, I do; you are right.
Socrates: Hence it is, my friend, such a man, both in private, when he meets with individuals, and in public, as I said in the beginning, 174cwhen he is obliged to speak in court or elsewhere about the things at his feet and before his eyes, is a laughing-stock not only to Thracian girls but to the multitude in general, for he falls into pits and all sorts of perplexities through inexperience, and his awkwardness is terrible, making him seem a fool; for when it comes to abusing people he has no personal abuse to offer against anyone, because he knows no evil of any man, never having cared for such things; so his perplexity makes him appear ridiculous; and as to laudatory speeches and the boastings of others, it becomes manifest that he is laughing at them—not pretending to laugh, but really laughing—and so he is thought to be a fool. When he hears a panegyric of a despot or a king he fancies he is listening to the praises of some herdsman—a swineherd, a shepherd, or a neatherd, for instance—who gets much milk from his beasts; but he thinks that the ruler tends and milks a more perverse and treacherous creature than the herdsmen, and that he must grow coarse and uncivilized, no less than they, for he has no leisure and lives surrounded by a wall, as the herdsmen live in their mountain pens. And when he hears that someone is amazingly rich, because he owns ten thousand acres of land or more, to him, accustomed as he is to think of the whole earth, this seems very little. And when people sing the praises of lineage and say someone is of noble birth, because he can show seven wealthy ancestors, he thinks that such praises betray an altogether dull and narrow vision on the part of those who utter them; because of lack of education they cannot keep their eyes fixed upon the whole and are unable to calculate that every man has had countless thousands of ancestors and progenitors, among whom have been in any instance rich and poor, kings and slaves, barbarians and Greeks. And when people pride themselves on a list of twenty-five ancestors and trace their pedigree back to Heracles, the son of Amphitryon, the pettiness of their ideas seems absurd to him; he laughs at them because they cannot free their silly minds of vanity by calculating that Amphitryon's twenty-fifth ancestor was such as fortune happened to make him, and the fiftieth for that matter. In all these cases the philosopher is derided by the common herd, partly because he seems to be contemptuous, partly because he is ignorant of common things and is always in perplexity.
Da: http://perseus.uchicago.edu/perseus-cgi/citequery3.pl?dbname=GreekFeb2011&query=Pl.%20Tht.%20174b&getid=1
TRADUZIONE E COMMENTO:
Σωκράτης ὥσπερ καὶ Θαλῆν ἀστρονομοῦντα, ὦ Θεόδωρε, καὶ ἄνω βλέποντα, πεσόντα εἰς φρέαρ, Θρᾷττά τις ἐμμελὴς καὶ χαρίεσσα θεραπαινὶς ἀποσκῶψαι λέγεται ὡς τὰ μὲν ἐν οὐρανῷ προθυμοῖτο εἰδέναι, τὰ δ’ ἔμπροσθεν αὐτοῦ καὶ παρὰ πόδας λανθάνοι αὐτόν.
Socrate Come si dice anche di Talete, o Teodoro, che mentre studiava gli astri e guardava in alto, fu visto da una servetta tracia, bella e piacente, cadere in un pozzo (letter.: Come anche (ὥσπερ καὶ) una servetta tracia è detta aver visto Talete che era caduto in un pozzo (Θαλῆν πεσόντα εἰς φρέαρ), mentre studiava gli astri e guardava su) come se si preoccupasse di guardare le cose in cielo, ma non riuscisse a vedere (ὡς … λανθάνοι αὐτόν: come se a lui fossero oscure) quelle davanti a sé e presso ai piedi (τὰ δ’ ἔμπροσθεν… λανθάνοι αὐτόν: il verbo λανθάνω significa: “sono oscuro a”, “mi nascondo a”; colui a cui ciò è oscuro, è indicato all’accusativo).
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ταὐτὸν δὲ ἀρκεῖ σκῶμμα ἐπὶ πάντας ὅσοι ἐν φιλοσοφίᾳ διάγουσι.
Lo stesso aneddoto si adatta a tutti coloro i quali (ὅσοι: i quali/tali) si occupano di filosofia.
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τῷ γὰρ ὄντι τὸν τοιοῦτον ὁ μὲν πλησίον καὶ ὁ γείτων λέληθεν, οὐ μόνον ὅτι πράττει, ἀλλ’ ὀλίγου καὶ εἰ ἄνθρωπός ἐστιν ἤ τι ἄλλο θρέμμα· τί δέ ποτ’ ἐστὶν ἄνθρωπος καὶ τί τῇ τοιαύτῃ φύσει προσήκει διάφορον τῶν ἄλλων ποιεῖν ἢ πάσχειν, ζητεῖ τε καὶ πράγματ’ ἔχει διερευνώμενος.
Infatti il vicino/chi ha accanto (ὁ γείτων: il vicino; si riferisce a chi sta vicino al filosofo…) rimane oscuro (λέληθεν: 3^ sing. att. indic. perfetto da λανθάνω: “sono oscuro a” + accusativo, in riferimento a chi resta all’oscuro) a un tale vicino (=τὸν τοιοῦτον (tale) πλησίον (vicino): cioè al filosofo; “tale” infatti allude a colui che è filosofo) per colui che è (τῷ ὄντι: a/per colui che è (filosofo, sott.))[*]: non solo cosa fa (ὅτι δέ πράττει) ma anche quasi (ὀλίγου) se è un uomo o qualche altra creatura; ma cosa mai è un uomo e quale differenza (τί διάφορον) appartiene (προσήκει) a tale natura rispetto alle altre (τῇ τοιαύτῃ φύσει… τῶν ἄλλων) nel fare e nel patire (il filosofo, sott.) ricerca, e alcune cose ha effettivamente compreso (ἔχει διερευνώμενος: letter., ha poiché investiga).
[*] Nota che τῷ ὄντι è difficilmente traducibile in italiano (se non alterando la struttura della frase greca), in quanto si riferisce al filosofo, cui si riferisce anche τὸν τοιοῦτον πλησίον, attaccato a esso e parte della stessa proposzione.
Inoltre il concetto di vicino è evocato due volte: una volta nel soggetto (ὁ γείτων) e una nel complemento oggetto (τὸν τοιοῦτον πλησίον)!
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μανθάνεις γάρ που, ὦ Θεόδωρε· ἢ οὔ;
Capisci difatti dunque (γάρ που), o Teodoro; o no?
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Θεόδωρος ἔγωγε· καὶ ἀληθῆ λέγεις.
Teodoro Sì; e dici una cosa vera.
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Σωκράτης τοιγάρτοι, ὦ φίλε, ἰδίᾳ τε συγγιγνόμενος ὁ τοιοῦτος ἑκάστῳ καὶ δημοσίᾳ, ὅπερ ἀρχόμενος ἔλεγον, ὅταν ἐν δικαστηρίῳ ἤ που ἄλλοθι ἀναγκασθῇ περὶ τῶν παρὰ πόδας καὶ τῶν ἐν ὀφθαλμοῖς διαλέγεσθαι, γέλωτα παρέχει οὐ μόνον Θρᾴτταις ἀλλὰ καὶ τῷ ἄλλῳ ὄχλῳ, εἰς φρέατά τε καὶ πᾶσαν ἀπορίαν ἐμπίπτων ὑπὸ ἀπειρίας, καὶ ἡ ἀσχημοσύνη δεινή, δόξαν ἀβελτερίας παρεχομένη·…
Socrate Perciò o amico, come dicevo iniziando, a chiunque (ἑκάστῳ) un tale compagno privatamente e pubblicamente (ἰδίᾳ καὶ δημοσίᾳ), qualora in un tribunale o in qualche altro luogo (που ἄλλοθι) (questi: si riferisce al filosofo…) sia stato costretto a parlare delle cose (che ha...) tra i piedi o davanti agli occhi, suscita il riso (γέλωτα παρέχει), non solo alle Tracie, ma anche al resto del popolo, cadendo nel pozzo e in ogni stranezza per la sua ignoranza (ὑπὸ ἀπειρίας), e tremenda (è, sott.) la sconvenienza (del filosofo, sott.), che induce un’immagine di stoltezza; [**]
[**] Struttura della proposizione:
principale: ἑκάστῳ συγγιγνόμενος ὁ τοιοῦτος γέλωτα παρέχει
dipendente 1^ grado: ὅταν (τοιοῦτος) ἀναγκασθῇ διαλέγεσθαι
dipendente 1^ grado: (τοιοῦτος) ἐμπίπτων ὑπὸ ἀπειρίας εἰς φρέατά τε καὶ πᾶσαν ἀπορίαν
principale (coordinata): καὶ ἡ ἀσχημοσύνη δεινή
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ἔν τε γὰρ ταῖς λοιδορίαις ἴδιον ἔχει οὐδὲν οὐδένα λοιδορεῖν, ἅτ’ οὐκ εἰδὼς κακὸν οὐδὲν οὐδενὸς ἐκ τοῦ μὴ μεμελετηκέναι· ἀπορῶν οὖν γελοῖος φαίνεται. ἔν τε τοῖς ἐπαίνοις καὶ ταῖς τῶν ἄλλων μεγαλαυχίαις οὐ προσποιήτως ἀλλὰ τῷ ὄντι γελῶν ἔνδηλος γιγνόμενος ληρώδης δοκεῖ εἶναι.
infatti nelle ingiurie non ha strumenti per ingiuriare alcuno (ἴδιον ἔχει οὐδὲν: nulla ha di proprio - οὐδένα λοιδορεῖν: per ingiuriare nessuno), così come (ἅτε) non avendo visto/conosciuto nulla di malvagio di nessuno (οὐδενὸς) per non essersene occupato (ἐκ τοῦ μὴ μεμελετηκέναι->inf. att. perfetto da μελετάω: mi prendo cura, mi occupo), (non ha alcuno strumento per ingiuriare, sott.); appare quindi indifeso e ridicolo. Poiché non si è associato negli elogi e nelle millanterie degli altri ma ride apertamente (ἔνδηλος: chiaro) (…τῷ ὄντι: verso chi è (lodato o lodante, sott.)) sembra essere (=γιγνόμενος: essente/uno che è) un inetto.
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τύραννόν τε γὰρ ἢ βασιλέα ἐγκωμιαζόμενον, ἕνα τῶν νομέων, οἷον συβώτην ἢ ποιμένα ἤ τινα βουκόλον, ἡγεῖται ἀκούειν εὐδαιμονιζόμενον πολὺ βδάλλοντα·
Infatti, quando un tiranno o un re, cioè uno dei pastori (di popoli…), viene lodato al pari di (οἷον: come) un guardiano di porci o un pastore di greggi o un qualche bifolco, gli sembra di capire (ἡγεῖται ἀκούειν: letter., ritiene di sentire) che è ritenuto felice (εὐδαιμονιζόμενον: letter., essente ritenuto felice/fortunato) perché munge molto latte;
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δυσκολώτερον δὲ ἐκείνων ζῷον καὶ ἐπιβουλότερον ποιμαίνειν τε καὶ βδάλλειν νομίζει αὐτούς, ἄγροικον δὲ καὶ ἀπαίδευτον ὑπὸ ἀσχολίας οὐδὲν ἧττον τῶν νομέων τὸν τοιοῦτον ἀναγκαῖον γίγνεσθαι, σηκὸν ἐν ὄρει τὸ τεῖχος περιβεβλημένον.
ma ritiene che essi facciano pascolare (ποιμαίνειν) e mungano un animale più irrequieto e più malizioso di quelli (degli altri pastori…), e che sia inevitabile (ἀναγκαῖον (εἶναι, sott.)) che tale animale (τὸν τοιοῦτον-> ζῷον) diventi rozzo e ignorante per la fatica non meno (οὐδὲν ἧττον: per nulla meno) dei (suoi, sott.) pastori, e che venga innalzato (per esso, sott.) un muro come un recinto su un’altura (τὸ τεῖχος περιβεβλημένον: trattasi di accusativo assoluto, una forma sintattica rara, equivalente più o meno al genitivo assoluto! - σηκὸν: recinto, ha valore aggettivale, cioè descrive la funzione del muro (τεῖχος)).
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γῆς δὲ ὅταν μυρία πλέθρα ἢ ἔτι πλείω ἀκούσῃ ὥς τις ἄρα κεκτημένος θαυμαστὰ πλήθει κέκτηται, πάνσμικρα δοκεῖ ἀκούειν εἰς ἅπασαν εἰωθὼς τὴν γῆν βλέπειν.
Qualora senta che qualcuno possiede (κέκτηται: 3^ sing. ind. perfetto da κτάομαι: guadagno) una grande quantità di plettri (di terra…) (θαυμαστὰ πλήθει: letter., cose mirabili per plettri), avendo guadagnato infatti (ἄρα) migliaia di (μυρία) plettri o ancora di più (ἔτι πλείω->avverbio da πλείων: maggiore), (gli) sembra di sentire di piccole cose, essendosi abituato (εἰωθὼς: part. perfetto att. da ἔθω: soglio/ho l’abitudine) a guardare alla terra intera.
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τὰ δὲ δὴ γένη ὑμνούντων, ὡς γενναῖός τις ἑπτὰ πάππους πλουσίους ἔχων ἀποφῆναι, παντάπασιν ἀμβλὺ καὶ ἐπὶ σμικρὸν ὁρώντων ἡγεῖται τὸν ἔπαινον, ὑπὸ ἀπαιδευσίας οὐ δυναμένων εἰς τὸ πᾶν ἀεὶ βλέπειν οὐδὲ λογίζεσθαι ὅτι πάππων καὶ προγόνων μυριάδες ἑκάστῳ γεγόνασιν ἀναρίθμητοι, ἐν αἷς πλούσιοι καὶ πτωχοὶ καὶ βασιλῆς καὶ δοῦλοι βάρβαροί τε καὶ Ἕλληνες πολλάκις μυρίοι γεγόνασιν ὁτῳοῦν·
Di coloro che magnificano le stirpi, poiché un qualche nobile potrebbe mostrare di avere ((ἐστὶ, sott.) ἔχων ἀποφῆναι: letter., (è; sott.) avente/uno che ha da mostrare) sette avi ricchi, pensa (essere…) l’elogio totalmente (παντάπασιν) sciocco e adatto a coloro che ragionano in modo miope (ἐπὶ σμικρὸν ὁρώντων: letter., dei vedenti per poco->ἐπὶ σμικρὸν), di coloro che non possono per ineducazione (ὑπὸ ἀπαιδευσίας) vedere l’interezza dei problemi (εἰς τὸ πᾶν ἀεὶ βλέπειν: letter., guardare sempre verso il tutto) né comprendere che degli avi e dei progenitori ve ne sono stati per ciascuno moltissimi e innumerabili, tra i quali (ἐν αἷς) ve ne sono stati per chiunque (ὁτῳοῦν: dat. sing. da ὅστις-οῦν) spesso molti ricchi e poveri e sovrani (βασιλῆς: forma eleatica per βασιλεῖς) e schiavi barbari e greci;
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ἀλλ’ ἐπὶ πέντε καὶ εἴκοσι καταλόγῳ προγόνων σεμνυνομένων καὶ ἀναφερόντων εἰς Ἡρακλέα τὸν Ἀμφιτρύωνος ἄτοπα αὐτῷ καταφαίνεται τῆς σμικρολογίας, ὅτι δὲ ὁ ἀπ’ Ἀμφιτρύωνος εἰς τὸ ἄνω πεντεκαιεικοστὸς τοιοῦτος ἦν οἵα συνέβαινεν αὐτῷ τύχη, καὶ ὁ πεντηκοστὸς ἀπ’ αὐτοῦ, γελᾷ οὐ δυναμένων λογίζεσθαί τε καὶ χαυνότητα ἀνοήτου ψυχῆς ἀπαλλάττειν.
Ma quando gli viene presentato un catalogo di 25 avi insigni risalenti a Eracle, figlio di Anfitrione, gli sembra questo un capolavoro di meschinità (letter.: ma per/su un catalogo di venticinque (πέντε 5 καὶ εἴκοσι 20) avi onorati (σεμνυνομένων) e risalenti a Eracle, figlio di Anfitrione (Ἡρακλέα τὸν Ἀμφιτρύωνος), gli appaiono cose assurde (di) meschinità-> genit. partitivo: τῆς σμικρολογίας), poiché tale venticinquesimo (πεντεκαιεικοστὸς) discendente da Eracle sarebbe (in ogni caso…) ciò che il destino lo ha portato a essere (letter.: poiché tale venticinquesimo da Eracle in su (εἰς τὸ ἄνω) sarebbe (ἦν: “era”, con valore di possibilità: se esistesse, sarebbe) le cose che (οἵα) il destino a lui assegnava), e il cinquantesimo (πεντηκοστὸς) da/dopo di lui (sarebbe lo stesso, sottint.), ride (quindi...) di costoro che non sanno (οὐ δυναμένων: letter., di coloro che non sanno) ragionare e allontanare dalla (loro, sott.) mente sciocca delle cose frivole.
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ἐν ἅπασι δὴ τούτοις ὁ τοιοῦτος ὑπὸ τῶν πολλῶν καταγελᾶται, τὰ μὲν ὑπερηφάνως ἔχων, ὡς δοκεῖ, τὰ δ’ ἐν ποσὶν ἀγνοῶν τε καὶ ἐν ἑκάστοις ἀπορῶν.
In tutte queste situazioni un tale individuo è deriso da molti, poiché da una parte affronterebbe (ἔχων) (per come sembra) con superbia queste situazioni, dall’altra ignorerebbe le cose (che ha…) in mezzo ai piedi (ποσὶν: dat. plur. da πούς, ποδός: piede) e sarebbe assurdo in tutte (riferito alle situazioni).
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