UNA LETTERA DI PLINIO IL GIOVANE A TACITO SULLA TECNICA ORATORIA
(Plinio il Giovane, Epistole: I, 20: 14-21) . . . . . .
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. Un estratto da un’interessante lettera inviata da Plinio il Giovane all’amico Tacito, in cui si discute su quale sia lo stile più opportuno da tenersi in un discorso pubblico (in particolare, in una causa in tribunale!) Tesi dell’autore è che uno stile troppo stringato e succinto toglierebbe ai discorsi l’incisività e lo spessore richiesti per vincere una causa. Secondo Plinio infatti, l’essere maggiormente prolissi aiuterebbe a risultare più incisivi e convincenti agli occhi e alle orecchie del pubblico (…relinquere vero aculeum in audientium animis, is demum potest, qui non pungit, sed infigit). Anche se bisogna pur sempre conservare una misura (modus) nell’esporre le proprie argomentazioni, è meglio non soffermarsi solamente su pochi punti essenziali, bensì piuttosto cercare di approfondire tutti gli aspetti della questione trattata (Utque in agricultura non vineas tantum, verum etiam arbusta, nec arbusta tantum, verum etiam campos curo et exerceo, utque in ipsis campis non far aut siliginem solam, sed hordeum, fabam, ceteraque legumina fero, sic in actione plura quasi semina latius spargo, ut quae provenerint colligam)! . Questa lettera, come del resto pressoché quasi tutte quelle di Plinio, brilla non solo per lucidità d’analisi, ma anche e soprattutto per uno stile terso e preciso, per l’eleganza insuperabile con cui è scritta. Splendida, a mio avviso, è anche la traduzione di Luigi Rusca, che riesce a restituire in italiano le molteplici sfumature di significato e di stile dell’originale latino…. . . TESTO ORIGINALE: - I; xx C. PLINIUS CORNELIO TACITO SUO S. (…) 14 Dixit aliquando mihi Regulus, cum simul adessemus: 'Tu omnia quae sunt in causa putas exsequenda; ego iugulum statim video, hunc premo.' Premit sane quod elegit, sed in eligendo frequenter errat. 15 Respondi posse fieri, ut genu esset aut talus, ubi ille iugulum putaret. At ego, inquam, qui iugulum perspicere non possum, omnia pertempto, omnia experior, πάντα denique λίθον κινῶ; 16 utque in cultura agri non vineas tantum, verum etiam arbusta, nec arbusta tantum verum etiam campos curo et exerceo, utque in ipsis campis non far aut siliginem solam, sed hordeum fabam ceteraque legumina sero, sic in actione plura quasi semina latius spargo, ut quae provenerint colligam. 17 Neque enim minus imperspicua incerta fallacia sunt iudicum ingenia quam tempestatum terrarumque. Nec me praeterit summum oratorem Periclen sic a comico Eupolide laudari:
"πρὸς δέ γ᾽ αὐτοῦ τῷ τάχει πειθώ τις ἐπεκάθητο τοῖσι χείλεσιν. οὕτως ἐκήλει, καὶ μόνος τῶν ῥητόρων τὸ κέντρον ἐγκατέλειπε τοῖς ἀκροωμένοις."
18 Verum huic ipsi Pericli nec illa πειθὼ nec illud ἐκήλει brevitate vel velocitate vel utraque — differunt enim — sine facultate summa contigisset. Nam delectare persuadere copiam dicendi spatiumque desiderat, relinquere vero aculeum in audientium animis is demum potest qui non pungit sed infigit. 19 Adde quae de eodem Pericle comicus alter:
"ἤστραπτ᾽, ἐβρόντα, συνεκύκα τὴν . . . ῾ελλάδα"
Non enim amputata oratio et abscisa, sed lata et magnifica et excelsa tonat fulgurat, omnia denique perturbat ac miscet. 20 'Optimus tamen modus est': quis negat? sed non minus non servat modum qui infra rem quam qui supra, qui astrictius quam qui effusius dicit. 21 Itaque audis frequenter ut illud: 'immodice et redundanter', ita hoc: 'ieiune et infirme'. Alius excessisse materiam, alius dicitur non implesse. Aeque uterque, sed ille imbecillitate hic viribus peccat; quod certe etsi non limatioris, maioris tamen ingeni vitium est.
(http://www.poesialatina.it/_ns/ProsaLat/PlinIun/Epist01.html) . . TESTO TRADOTTO DA LUIGI RUSCA: - Un giorno che discutevo una causa assieme a Regolo, questi mi disse: “Tu ritieni si debbano sviscerare tutti gli elementi della causa; io invece afferro subito uno per la gola e su questo pigio.” (Certamente egli fa leva su ciò che ha prescelto, ma sovente erra nello scegliere.) Gli risposi che poteva trattarsi di un ginocchio o di un tallone quella che egli riteneva una gola. “Io invece – dissi – non sapendo individuare bene la gola, esamino tutto, approfondisco ogni cosa, infine smuovo ogni pietra. Come in agricoltura non curo soltanto la vite, ma anche gli alberi, e non soltanto gli alberi ma anche i campi, e così negli stessi campi non semino soltanto farro o frumento, ma anche orzo, fave e gli altri legumi; così nella discussione di una causa, io vado come spargendo a larga mano delle sementi, per raccogliere quello che ne nascerà. E davvero le disposizioni dei giudici non sono meno impenetrabili, incerte e ingannevoli di quelle delle stagioni e dei terreni. Non ignoro che Pericle, sommo oratore, è lodato dal comico Eupoli con questi versi: “Oltre la sua rapidità, sulle sue labbra riposava una divina persuasione, egli incantava i propri uditori, solo fra gli oratori, al punto di lasciare il proprio dardo confitto nei cuori.” Ma quel grande Pericle non avrebbe conseguito né quella “persuasione” né quell’”incanto” vuoi con la concisione, vuoi con la rapidità, vuoi con ambedue congiunte (sono infatti qualità diverse tra loro), se non avesse avuto anche una grande forza oratoria. Giacché per dilettare, per persuadere si esige abbondanza di parole e di tempo, e non può lasciar confitto il dardo negli animi degli ascoltatori, chi si accontenta di pungere, ma solo chi sappia configgere. Aggiungi ciò che ha detto un altro comico dello stesso Pericle: “Coi suoi lampi e tuoni commuoveva la Grecia.” Non si tratta infatti di un discorso limitato e smozzicato, ma ampio, magnifico, sublime, che tuona, lampeggia, sconvolge e turba il tutto. Si dirà: ottima cosa tuttavia è la misura. Chi lo nega? Ma chi dice meno di quanto meno di quanto l’argomento richiede viola la misura non meno di chi dice di più, e così chi ha un parlare troppo sbrigativo e troppo diffusoÈ per questo che senti dire sovente di taluno che parla in modo “eccessivo e ridondante”, di un altro in modo “arido e debole”. Dell’uno si dice che è andato oltre l’argomento, dell’altro che non l’ha sviscerato. Difettano ambedue, ma l’uno per debolezza, l’altro per eccesso di vigore; e quest’ultimo è senz’altro difetto di un ingegno più potente, anche se meno controllato. . . TESTO TRADOTTO E SPIEGATO: - Dixit aliquando mihi Regulus, cum simul adessemus: "Tu omnia quae sunt in causa putas exsequenda; ego iugulum statim video; hunc premo.” (Premit sane quod elegit, sed in eligendo frequenter errat). Respondi posse fieri ut genu esset, aut tibia, aut talus, ubi ille iugulum putaret. "At ego" inquam, "qui iugulum perspicere non possum, omnia pertento, omnia experior." Panta denique lithon kino (=πάντα λίθον κινῶ). … UNA VOLTA MI DISSE REGOLO (Dixit aliquando mihi Regulus), QUANDO CONTEMPORANEAMENTE ERAVAMO/ERAVAMO INSIEME (cum simul adessemus): “TU TUTTE LE COSE CHE SONO NELLA CAUSA RITIENI DA ESEGUIRE/TRATTARE (Tu omnia quae sunt in causa putas exsequenda); IO SUBITO VEDO/GUARDO IL COLLO (ego iugulum statim video); QUESTO PREMO/ESSO AZZANNO (hunc premo)”. (AZZANNA CERTAMENTE CIÒ CHE SCEGLIE, MA NELLO SCEGLIERE SPESSO ERRA (Premit sane quod elegit, sed in eligendo frequenter errat)). RISPOSI POTER ACCADERE/CHE Può SUCCEDERE CHE VI FOSSE IL GINOCCHIO, O LA TIBIA, O IL TALLONE (Respondi posse fieri ut genu esset, aut tibia, aut talus), DOVE EGLI RITENEVA/VALUTAVA VI FOSSE IL COLLO (ubi ille iugulum putaret). “E IO – DICEVO – CHE IL COLLO NON SO DISTINGUERE (At ego" inquam, "qui iugulum perspicere non possum), TUTTE LE COSE APPROFONDISCO, TUTTE LE COSE ESPERISCO/MISURO (omnia pertento, omnia experior).” INSOMMA OGNI PIETRA SMUOVO (denique πάντα λίθον κινῶ).
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====> Un giorno che discutevo una causa assieme a Regolo, questi mi disse: “Tu ritieni si debbano sviscerare tutti gli elementi della causa; io invece afferro subito uno per la gola e su questo pigio.” (Certamente egli fa leva su ciò che ha prescelto, ma sovente erra nello scegliere.) [Dixit aliquando mihi Regulus, cum simul adessemus: "Tu omnia quae sunt in causa putas exsequenda; ego iugulum statim video; hunc premo.” (Premit sane quod elegit, sed in eligendo frequenter errat).] gli risposi che poteva trattrsi di un ginocchio o di un tallone quella che egli riteneva una gola. “Io invece – dissi – non sapendo individuare bene la gola, esamino tutto, approfondisco ogni cosa, infine smuovo ogni pietra; [Respondi posse fieri ut genu esset, aut tibia, aut talus, ubi ille iugulum putaret. "At ego" inquam, "qui iugulum perspicere non possum, omnia pertento, omnia experior." Panta denique lithon kino (=πάντα λίθον κινῶ)].
- - - - - Utque in agricultura non vineas tantum, verum etiam arbusta, nec arbusta tantum, verum etiam campos curo et exerceo, utque in ipsis campis non far aut siliginem solam, sed hordeum, fabam, ceteraque legumina fero, sic in actione plura quasi semina latius spargo, ut quae provenerint colligam. … E COME IN AGRICOLTURA NON LE VITI SOLTANTO, (MA…) INVERO ANCHE GLI ALBERI, NÉ GI ALBERI SOLTANTO, (MA…) INVERO ANCHE I CAMPI CURO E METTO A COLTURA (Utque in agricultura non vineas tantum, verum etiam arbusta, nec arbusta tantum, verum etiam campos curo et exerceo), E COME NEGLI STESSI CAMPO NON FARRO O FRUMENTO SOLTANTO, MA ORZO, FAVE, E I RESTANTI LEGUMI PIANTO (utque in ipsis campis non far aut siliginem solam, sed hordeum, fabam, ceteraque legumina fero), COSÌ NELL’AZIONE (GIUDIZIARIA…) PIÙ COSE COME SE (FOSSERO…) SEMI (sic in actione plura quasi semina) PIÙ ESTESAMENTE/QUA E LÀ SPARGO (latius spargo), AFFINCHÉ (LE COSE…) CHE SIANO SORTE (ut quae provenerint) (IO…) RACCOLGA/POSSA RACCOGLIERE (colligam).
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====> Come in agricoltura non curo soltanto la vite, ma anche gli alberi, e non soltanto gli alberi ma anche i campi, e così negli stessi campi non semino soltanto farro o frumento, ma anche orzo, fave e gli altri legumi; così nella discussione di una causa, io vado come spargendo a larga mano delle sementi, per raccogliere quello che ne nascerà. [Utque in agricultura non vineas tantum, verum etiam arbusta, nec arbusta tantum, verum etiam campos curo et exerceo, utque in ipsis campis non far aut siliginem solam, sed hordeum, fabam, ceteraque legumina fero, sic in actione plura quasi semina latius spargo, ut quae provenerint colligam.]
- - - - - Neque enim minus imperspicua, incerta, fallaciaque sunt iudicum ingenia, quam tempestatum terrarumque. Nec me praeterit summum oratorem Periclem sic a comico Eupolide laudari: "πρὸς δέ γ᾽ αὐτοῦ τῷ τάχει πειθώ τις ἐπεκάθητο τοῖσι χείλεσιν. οὕτως ἐκήλει, καὶ μόνος τῶν ῥητόρων τὸ κέντρον ἐγκατέλειπε τοῖς ἀκροωμένοις." … NÉ INFATTI MENO IMPENETRABILI, INCERTI E INGANNEVOLI SONO I GIUDIZI/GLI ESITI DEI GIUDICI (DEI TRIBUNALI…) CHE (QUELLI…) DELLE TEMPESTE/DEI CIELI E DELLE TERRA/DELLA TERRA (Neque enim minus imperspicua, incerta, fallaciaque sunt iudicum ingenia, quam tempestatum terrarumque). NÉ MI SFUGGE (Nec me praeterit) CHE IL SOMMO ORATORE PERICLE SIA STATO LODATO COSÌ DAL COMICO EUPOLIDE (summum oratorem Periclem sic a comico Eupolide laudari): “E OLTRE ALLA SUA VELOCITÀ (πρὸς δέ γ᾽ αὐτοῦ τῷ τάχει) UNA QUALCHE (CAPACITÀ DI…) PERSUASIONE SEDEVA/SI TROVAVA SULLA (SUE…) LABBRA (πειθώ τις ἐπεκάθητο τοῖσι χείλεσιν). COSÌ/A TAL PUNTO INCANTAVA, E SOLO/UNICO DEGLI ORATORI (οὕτως ἐκήλει, καὶ μόνος τῶν ῥητόρων) IL PUNGOLO/UNA FRECCIA LASCIAVA NEGLI ASCOLTATORI (τὸ κέντρον ἐγκατέλειπε τοῖς ἀκροωμένοις).”
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====> E davvero le disposizioni dei giudici non sono meno impenetrabili, incerte e ingannevoli di quelle delle stagioni e dei terreni. Non ignoro che Pericle, sommo oratore, è lodato dal comico Eupoli con questi versi: [Neque enim minus imperspicua, incerta, fallaciaque sunt iudicum ingenia, quam tempestatum terrarumque. Nec me praeterit summum oratorem Periclem sic a comico Eupolide laudari]
“Oltre la sua rapidità, sulle sue labbra
riposava una divina persuasione, egli incantava i propri uditori,
solo fra gli oratori, al punto di lasciare
il proprio dardo confitto nei cuori.” [πρὸς δέ γ᾽ αὐτοῦ τῷ τάχει/ πειθώ τις ἐπεκάθητο τοῖσι χείλεσιν./ οὕτως ἐκήλει, καὶ μόνος τῶν ῥητόρων/ τὸ κέντρον ἐγκατέλειπε τοῖς ἀκροωμένοις]
- - - - - Verum huic ipsi Pericli nec illa Peitho (=πειθώ), nec illud ekelei (=ἐκήλει) brevitate, vel velocitate, vel utraque (differunt enim) sine facultate summa contigisset. Nam delectare, persuadere, copiam dicendi spatiumque desiderant; relinquere vero aculeum in audientium animis, is demum potest, qui non pungit, sed infigit. Adde quae de eodem Pericle comicus alter: "ἤστραπτ᾽, ἐβρόντα, συνεκύκα τὴν . . . Ἡλλάδα". … INVERO A/DI QUESTO STESSO PERICLE NÉ QUELLA (CAPACITÀ DI….) “PERSUASIONE”, NÉ QUELL’”INCANTAVA”/QUELLA CAPACITÀ DI INCANTARE (Verum huic ipsi Pericli nec illa Peitho (=πειθώ), nec illud ekelei (=ἐκήλει)) SAREBBE RIGUARDATA/SAREBBERO STATE CARATTERISTICHE PROPRIE (contigisset) CON LA CONCISIONE, O CON LA VELOCITÀ (DIFFERISCONO INFATTI) SENZA LA SOMMA FACOLTÀ/IL SOMMO TALENTO (brevitate, vel velocitate, vel utraque (differunt enim) sine facultate summa). INFATTI DILETTARE, PERSUADERE RICHIEDONO ABBONDANZA E SPAZIO/LARGHEZZA DEL DIRE/DEL DISCORSO (Nam delectare, persuadere, copiam dicendi spatiumque desiderant); IL LASCIARE INVERO UN ACULEO NEGLI ANIMI DEGLI UDITORI (relinquere vero aculeum in audientium animis), QUESTI APPUNTO (LO…) PUÒ (is demum potest), IL QUALE NON PUNGE, MA/BENSÌ CONFIGGE (qui non pungit, sed infigit). AGGIUNGI (LE COSE..) CHE SULLO STESSO PERICLE UN ALTRO COMICO (DISSE…) (Adde quae de eodem Pericle comicus alter): “FULMINAVA, TUONAVA, METTEVA IN SUBBUGLIO LA GRECIA (ἤστραπτ᾽, ἐβρόντα, συνεκύκα τὴν . . . Ἡλλάδα - ἤστραπτε, ἐβρόντα, συνεκύκα sono tre imperfetti 3^ sing. attivi dai verbi: ἀστράπτω, βροντάω, συγκυκάω (rispettivamente: fulmino, tuono, metto in subbuglio).”
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====> Ma quel grande Pericle non avrebbe conseguito né quella “persuasione” né quell’”incanto” vuoi con la concisione, vuoi con la rapidità, vuoi con ambedue congiunte (sono infatti qualità diverse tra loro), se non avesse avuto anche una grande forza oratoria. [Verum huic ipsi Pericli nec illa Peitho (=πειθώ), nec illud ekelei (=ἐκήλει) brevitate, vel velocitate, vel utraque (differunt enim) sine facultate summa contigisset.] Giacché per dilettare, per persuadere si esige abbondanza di parole e di tempo, e non può lasciar confitto il dardo negli animi degli ascoltatori, chi si accontenta di pungere, ma solo chi sappia configgere. [Nam delectare, persuadere, copiam dicendi spatiumque desiderant; relinquere vero aculeum in audientium animis, is demum potest, qui non pungit, sed infigit.] Aggiungi ciò che ha detto un altro comico dello stesso Pericle:
“Coi suoi lampi e tuoni commuoveva la Grecia.” [Adde quae de eodem Pericle comicus alter:
"ἤστραπτ᾽, ἐβρόντα, συνεκύκα τὴν . . . Ἡλλάδα".]
- - - - - Non enim amputata oratio et abscissa, sed lata et magnifica et excelsa tonat, fulgurat, omnia denique perturbat ac miscet. Optimus tamen modus est, quis negat? Sed non minus non servat modum qui infra rem quam qui supra, qui adstrictius, quam qui effusius dicit. Itaque audis frequenter ut illud immodice et redundanter, ita hoc ieiune et infirme. Alius excessisse materiam, alius dicitur non implesse. Aeque uterque ; sed ille imbecillitate, hic viribus peccat. Quod certe etsi non limatioris, maioris tamen ingenii vitium est. … NON INFATTI UN’ORAZIONE AMPUTATA E SCISSA, MA AMPIA E MAGNIFICA E ECCELSA TUONA/PUÒ TUONARE, FOLGORA/PUÒ FOLGORARE, TUTTE LE COSE INFINE PERTURBA E SCONVOLGE (Non enim amputata oratio et abscissa, sed lata et magnifica et excelsa tonat, fulgurat, omnia denique perturbat ac miscet). OTTIMA TUTTAVIA È LA MODERAZIONE, CHI (LO…) NEGA (Optimus tamen modus est, quis negat?)? MA NON DI MENO NON CONSERVA/SI DIMENTICA DI CONSERVARE (Sed non minus non servat) LA MISURA/MODERAZIONE COLUI CHE AL DI SOTTO DELLA COSA/DELL’ARGOMENTO (modum qui infra rem), CHE/RISPETTO A (quam) COLUI CHE AL DI SOPRA (DELL’ARGOMENTO…) DICE/PARLA (qui supra dicit), (OVVERO…) COLUI CHE PIÙ STRINGATAMENTE (PARLA…) CHE/RISPETTO A (qui adstrictius, quam) COLUI CHE PIÙ DIFFUSAMENTE (PARLA…) (qui effusius).L’UNO D’AVER ECCEDUTO LA MATERIA (Alius excessisse materiam) È DETTO (dicitur), L’ALTRO DI NON AVERLA APPROFONDITA (alius non implesse). EGUALMENTE CIASCUNO DEI DUE PECCA (Aeque uterque peccat); MA QUELLO PER DEBOLEZZA, QUESTO PER LE FORZE/PER ECCESSO DI ENERGIA (sed ille imbecillitate, hic viribus). LA QUAL COSA (=LA SECONDA!) CERTAMENTE (Quod certe) ANCHE SE NON DI UN INGENIO PIÙ LIMITATO/TROPPO LIMITATO (etsi non limatioris ingenii), DI UNO MAGGIORE/TROPPO GRANDE TUTTAVIA È IL VIZIO (maioris tamen vitium est).
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====> Non si tratta infatti di un discorso limitato e smozzicato, ma ampio, magnifico, sublime, che tuona, lampeggia, sconvolge e turba il tutto. [Non enim amputata oratio et abscissa, sed lata et magnifica et excelsa tonat, fulgurat, omnia denique perturbat ac miscet.] Ottima cosa tuttavia è la misura. Chi lo nega? Ma chi dice meno di quanto meno di quanto l’argomento richiede viola la misura non meno di chi dice di più, e così chi ha un parlare troppo sbrigativo e troppo diffuso. [Optimus tamen modus est, quis negat? Sed non minus non servat modum qui infra rem quam qui supra, qui adstrictius, quam qui effusius dicit.] È per questo che senti dire sovente di taluno che parla in modo “eccessivo e ridondante”, di un altro in modo “arido e debole”. Dell’uno si dice che è andato oltre l’argomento, dell’altro che non l’ha sviscerato. [Itaque audis frequenter ut illud immodice et redundanter, ita hoc ieiune et infirme. Alius excessisse materiam, alius dicitur non implesse.] Difettano ambedue, ma l’uno per debolezza, l’altro per eccesso di vigore; e quest’ultimo è senz’altro difetto di un ingegno più potente, anche se meno controllato. [Aeque uterque ; sed ille imbecillitate, hic viribus peccat. Quod certe etsi non limatioris, maioris tamen ingenii vitium est.]
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